Ibi era una donna africana che per l’Italia è rimasta per ben 10 anni una migrante irregolare. Era soprattutto una donna forte e carismatica che per esistere ed uscire dall’invisibilità si è dedicata all’arte fotografica. Un modo per costruirsi un’altra vita dopo tre anni di carcere e di pena scontata a Napoli per aver trasportato droga durante il suo viaggio dalla Nigeria all’Italia, per uscire da una situazione economica disastrosa ed assicurare un futuro migliore ai suoi tre figli che poi non vedrà più. Per questo motivo Ibi ha deciso di filmarsi per raccontare alla sua famiglia lontana, da cui non è potuta tornare, la sua rinascita e la sua nuova vita a Castel Volturno e nel Movimento dei Migranti e dei Rifugiati di Caserta. Oggi Ibi non c’è più, è morta nel 2015, e con i suoi filmati di vita e testimonianza quotidiana è stato realizzato un documentario diretto dal regista Andrea Segre. Sessanta minuti di pura realtà che sono stati proiettati e discussi assieme agli studenti lunedì 23 ottobre nell’Aula 3 del Dipartimento di Scienze Politiche della Vanvitelli in una lezione diversa dalle altre che volge lo sguardo fuori dalle aule accademiche per abbracciare storie e contesti a due passi da noi che non dovrebbero lasciare indifferenti. Il nuovo documentario di Segre s’intitola “Ibi” ed è un tributo a questa donna, rinchiusa in un limbo di non appartenenza a nessuna terra, che ha lottato contro l’assenza affinché diventasse finalmente essenza. Lo ha fatto non solo filmando e fotografando tutta la sua vita in Italia ma anche guadagnandosi da vivere come fotografa professionista per documentare matrimoni, battesimi, feste religiose, tutte. Lo ha fatto per aiutare il Movimento, a cui prende parte con entusiasmo dal 2009, e, non da meno, per ottenere il permesso di soggiorno, purtroppo mai arrivato. La proiezione, introdotta dal Direttore di Dipartimento, prof. Gian Maria Piccinelli, ha ispirato poi un dibattito e una riflessione collettiva a cui hanno partecipato il regista e alcuni rappresentanti del Movimento casertano. “Disperazione è la parola meno appropriata per raccontare l’immigrazione oggi – interviene il regista – Chi parte ha con sé la speranza senza cui non potrebbe sopravvivere. Ibi aveva certamente una marcia in più, aveva una forza ed una energia artistica che contagiava chi le stava vicino. Queste persone, di contro, non hanno le stesse possibilità che abbiamo noi se decidiamo di lasciare l’Italia per andare in Francia o negli Stati Uniti. Ma se vogliamo solo riflettere, magari su quanto scritto e detto dai media inglesi all’indomani dell’approvazione della Brexit, secondo cui i polacchi e gli italiani sono tra gli indesiderati perché sottraggono impieghi nella ristorazione e, in particolare i secondi, anche lavoro intellettuale, abbiamo per un attimo capito come ci si sente”. I ragazzi che hanno creato e sostenuto il Movimento per gli immigrati e per i rifugiati hanno previsto questo clima di ostilità in tempi non sospetti e combattuto battaglie su battaglie non perché hanno un animo buono e solidale per fare mero volontariato ma per il semplice, ma non ovvio, motivo che sono tematiche che riguardano davvero tutti, non soltanto gli immigrati extracomunitari, come le ingiustizie che vincolano le vite della maggioranza dei migranti di qualsiasi nazionalità. Ibi credeva molto in questo, lo testimoniano le immagini del documentario di Segre di una spiccata delicatezza e sensibilità narrativa e lo testimonia chi ha avuto la fortuna di incontrarla e di conoscerla. Ibi fotografava non solo perché le piaceva farlo ma perché dietro all’obiettivo e con una videocamera in mano sentiva di esistere e di conseguenza di potersi esprimere, anche se il Paese dove viveva non le riconosceva legalmente la sua identità. La ricerca dell’essenza e dell’affermazione di sé attraversa tutta la pellicola e tutta la vita di Ibi, come quella di tutti gli altri come lei giunti qui su di un barcone e su mezzi di fortuna. Ibi ha avuto voce grazie alla fotografia. Ma questo non è stato abbastanza.
Claudia Monaco
Claudia Monaco