Il prof. Bartolomeo Pirone li aveva avvertiti sin dal primo giorno di lezione: “Napoli per voi sarà al contempo scuola di vita e Università”. E così è stato. Almeno per tre dei trenta studenti che, guidati dalla passione per il mondo islamico, hanno lasciato città come L’Aquila e Milano per approdare a L’Orientale e studiare Lingue, storia e culture dei paesi islamici, corso di laurea triennale della Facoltà di Studi Arabo-islamici e del Mediterraneo, indirizzo unico nel suo genere in Italia. Francesca Buzzelli, Stefano Torelli e Raffaella Minafra, poco più che ventenni, ora sono al capolinea: tra maggio e giugno discuteranno la loro tesi e dovranno decidere se proseguire gli studi con la Specialistica, se continuare a Napoli, se andare fuori, magari all’estero, per poter spendere al meglio una laurea così singolare.
Tutti studenti fuorisede – Francesca e Stefano abruzzesi dell’Aquila, Raffaella milanese di Buccinasco – hanno cercato di convivere col meglio e il peggio di una città che sfianca anche il più paziente degli uomini. “Napoli è una città difficile – ammette Francesca – perché ti condiziona negli aspetti semplici del quotidiano: ogni volta che esco penso a dove metto i soldi, a quanti ne porto con me, a restare sempre all’erta quando cammino per strada”. Ma c’è anche il lato buono della medaglia: “Napoli ti toglie e ti dà energia. E l’energia di questa città è la sua gente, così affettuosa e solare”, dice Francesca, che si è divisa in appartamenti tra piazza Garibaldi, Sanità e quartieri spagnoli.
300 euro per una stanza singola in un palazzo signorile di via Duomo; 130 per una doppia ai Quartieri Spagnoli: come fuorisede, abitano tutti al centro storico, nel ventre di Napoli. In case vecchie, spesso senza riscaldamenti, “senza lavatrici e, talvolta, senza neanche il forno per cucinare. Insomma, considerato quello che offrono, i fitti delle stanze sono alti”, commenta Stefano. A salvare chi, valigia alla mano, decide di studiare all’ombra del Vesuvio, il costo della vita, “molto basso rispetto ad altre parti d’Italia. Questa città dà la possibilità di campare a tutti, anche a chi ha pochi spiccioli in tasca”.
In ogni caso, se si vuole studiare in maniera seria ed approfondita la civiltà islamica, L’Orientale di Napoli resta una scelta obbligata. Certo, a Venezia esiste un corso simile, come pure alla Facoltà di Lettere de La Sapienza di Roma; nessun’altra Università italiana, però, ha una didattica peculiare come quella di Napoli. “Ho conosciuto studenti che dall’Università di Venezia si sono trasferiti a Napoli per la qualità della docenza e per la ricchezza della biblioteca, che rappresentano il valore aggiunto di questa Facoltà”, afferma Raffaella. Per i ragazzi, inoltre, “professori come Pirone, Lusini, Contini, Ventura si contraddistinguono per la loro capacità d’insegnare, per la passione che ci mettono, per il modo di rapportarsi agli studenti, mai con lezioni noiose”.
Peccato per l’organizzazione dell’Ateneo, deficitaria sotto troppi aspetti. Corsi che si accavallano, mancanza d’informazione, burocrazia spesso in tilt. “I seminari per le attività libere sono partiti con un anno di ritardo – fa sapere Francesca, che aggiunge – L’anno scorso poco ci è mancato che per sostenere l’esame di Arabo 3 ci accomodassimo per terra, visto che ci avevano assegnato un’aula dotata di sedie senza ribaltine”. Ancora più pungente la critica di Raffaella: “pensavo che all’università sarei riuscita sul serio ad imparare l’arabo. Invece, quel po’ che so comunicare lo devo ad un corso di due mesi fatto in Siria. La verità è che la modalità d’insegnamento è sbagliata, perché troppo improntata sulla grammatica e poco incentrata sulla conversazione”. “Insomma – taglia corto Stefano – l’Università dà solo una base di conoscenze, che vanno poi approfondite attraverso un congruo soggiorno in un paese arabo, altrimenti serve a poco”.
(continua a pag. seguente)
Tutti studenti fuorisede – Francesca e Stefano abruzzesi dell’Aquila, Raffaella milanese di Buccinasco – hanno cercato di convivere col meglio e il peggio di una città che sfianca anche il più paziente degli uomini. “Napoli è una città difficile – ammette Francesca – perché ti condiziona negli aspetti semplici del quotidiano: ogni volta che esco penso a dove metto i soldi, a quanti ne porto con me, a restare sempre all’erta quando cammino per strada”. Ma c’è anche il lato buono della medaglia: “Napoli ti toglie e ti dà energia. E l’energia di questa città è la sua gente, così affettuosa e solare”, dice Francesca, che si è divisa in appartamenti tra piazza Garibaldi, Sanità e quartieri spagnoli.
300 euro per una stanza singola in un palazzo signorile di via Duomo; 130 per una doppia ai Quartieri Spagnoli: come fuorisede, abitano tutti al centro storico, nel ventre di Napoli. In case vecchie, spesso senza riscaldamenti, “senza lavatrici e, talvolta, senza neanche il forno per cucinare. Insomma, considerato quello che offrono, i fitti delle stanze sono alti”, commenta Stefano. A salvare chi, valigia alla mano, decide di studiare all’ombra del Vesuvio, il costo della vita, “molto basso rispetto ad altre parti d’Italia. Questa città dà la possibilità di campare a tutti, anche a chi ha pochi spiccioli in tasca”.
In ogni caso, se si vuole studiare in maniera seria ed approfondita la civiltà islamica, L’Orientale di Napoli resta una scelta obbligata. Certo, a Venezia esiste un corso simile, come pure alla Facoltà di Lettere de La Sapienza di Roma; nessun’altra Università italiana, però, ha una didattica peculiare come quella di Napoli. “Ho conosciuto studenti che dall’Università di Venezia si sono trasferiti a Napoli per la qualità della docenza e per la ricchezza della biblioteca, che rappresentano il valore aggiunto di questa Facoltà”, afferma Raffaella. Per i ragazzi, inoltre, “professori come Pirone, Lusini, Contini, Ventura si contraddistinguono per la loro capacità d’insegnare, per la passione che ci mettono, per il modo di rapportarsi agli studenti, mai con lezioni noiose”.
Peccato per l’organizzazione dell’Ateneo, deficitaria sotto troppi aspetti. Corsi che si accavallano, mancanza d’informazione, burocrazia spesso in tilt. “I seminari per le attività libere sono partiti con un anno di ritardo – fa sapere Francesca, che aggiunge – L’anno scorso poco ci è mancato che per sostenere l’esame di Arabo 3 ci accomodassimo per terra, visto che ci avevano assegnato un’aula dotata di sedie senza ribaltine”. Ancora più pungente la critica di Raffaella: “pensavo che all’università sarei riuscita sul serio ad imparare l’arabo. Invece, quel po’ che so comunicare lo devo ad un corso di due mesi fatto in Siria. La verità è che la modalità d’insegnamento è sbagliata, perché troppo improntata sulla grammatica e poco incentrata sulla conversazione”. “Insomma – taglia corto Stefano – l’Università dà solo una base di conoscenze, che vanno poi approfondite attraverso un congruo soggiorno in un paese arabo, altrimenti serve a poco”.
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