Piante coltivabili nello spazio: un laboratorio ad Agraria in autunno

Orti marziani di lattuga e patate coltivati sul rosso pianeta a disposizione degli umani i quali decidano di trasferirsi fin laggiù. Messa così la prospettiva può apparire piuttosto bizzarra, certamente improbabile e forse perfino inquietante, se si considera che sulla nostra cara vecchia Terra milioni di persone continuano a morire di fame e a penare per la mancanza di acqua. Tuttavia l’idea è al centro di vari progetti di ricerca e di sperimentazioni avviate dalle Agenzie spaziali. Il Dipartimento di Agraria della Federico II è all’interno di alcuni di questi progetti. In autunno, infatti, sarà allestito a Portici un laboratorio molto particolare, dedicato a studi ed esperimenti sulle piante che potrebbero essere coltivate nello spazio come riserva alimentare per gli astronauti sulle stazioni orbitanti e come purificatrici dell’aria che si respira nelle navicelle oppure, in una fase ancora più avanzata, come orti e cibo per i colonizzatori dei pianeti spaziali. Se ne occuperanno le professoresse Giovanna Aronne, Stefania De Pascale, Roberta Paradiso, Veronica De Micco. De Pascale e Paradiso svolgono ricerche sugli aspetti più legati alla coltivazione. De Micco e Aronne concentrano i propri interessi in particolare sulle interazioni tra biologia delle piante e fattori spaziali. Ateneapoli ha intervistato la prof.ssa De Pascale. 
In che consisterà il laboratorio e quali esperimenti saranno effettuati?
“Sarà allestita una grande camera di crescita per la caratterizzazione di alcune delle piante candidate un giorno ad andare nello spazio. Per esempio il grano, il riso, la soia, il pomodoro, la lattuga o tuberi come le patate. Normalmente sono coltivazioni che si effettuano in campo aperto. Quello che stiamo per allestire sarà un sistema chiuso e verificheremo tutta una serie di parametri. Per esempio la capacità di rigenerazione delle risorse, il consumo di ossigeno e di anidride carbonica. La variazione dello spettro e dell’intensità della luce”. 
Nel laboratorio si faranno, dunque, le prove generali in previsione dell’invio di piante nello spazio?
“Diciamo che noi svolgeremo un pezzo del progetto che è molto più ampio. Sicuramente acquisiremo notizie utili. Naturalmente non potremo simulare le condizioni di assenza di gravità che si verificano nello spazio. Nello spazio non c’è gravità e per questa ragione le radici delle piante si accrescono in ogni direzione. Questa è una delle criticità della progettazione e della gestione dei sistemi di coltivazione delle piante nello spazio”. 
Lei parlava di un progetto più ampio del quale è parte Agraria? In che consiste?
“Facciamo parte del consorzio Melissa (Micro – Ecological Life Support System Alternative), che è stato promosso dall’Agenzia Spaziale Europea e che si propone, tra l’altro, di rispondere ad una esigenza sempre più pressante nell’ambito delle missioni spaziali, quella di dotare gli astronauti di riserve alimentari e di meccanismi capaci di rigenerare l’aria che respirano. Tutto ciò nell’ottica di missioni sempre più lunghe ed impegnative. In questo senso un filone di ricerca molto importante è quello di individuare le piante che, per le loro caratteristiche, meglio potrebbero adattarsi all’ambiente di una navicella spaziale, che assicurino cibo e che, attraverso la fotosintesi clorofilliana, assorbano anidride carbonica e producano ossigeno. Tra i filoni di ricerca di Melissa c’è il progetto Multi Trop, un esperimento selezionato dall’Agenzia Spaziale Italiana per la stazione spaziale internazionale. Obiettivo: far germinare semi sulla stazione per capire quale sia il comportamento delle radici. In sintesi, se acqua e sostanze nutritive siano sufficienti a guidare ed attrarre l’orientamento delle radici in condizioni di assenza di gravità”. 
Una previsione da esperta: quale sarà la pianta più adatta alle missioni spaziali?
“Non sarà una sola coltura. Ci saranno piante che forniscono carboidrati, soia che fornisce proteine, patate. Abbiamo un progetto finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea, ad esempio, per produrre tuberi di patate nello spazio. Le colture saranno scelte anche sulla base delle proprietà nutraceutiche, della presenza di elementi che possano contrastare gli effetti negativi che l’ambiente spaziale può provocare sulla salute dell’uomo”. 
È da tempo che lavora su queste tematiche?
“Sì, da molti anni. Diciamo che all’inizio, quando ho cominciato, c’era un certo scetticismo. C’era chi rideva, chi pensava che noi docenti impegnati su questi filoni di ricerca fossimo un po’ matti. Oggi non è più così”. 
Sta per realizzarsi, dunque, la trama di The Martian, il film di Ridley Scott nel quale ci si prepara alla conquista del pianeta da parte dell’uomo anche sperimentando cosa si coltiverà una volta giunti laggiù?
“Intendiamoci, non è che domani andremo su Marte e coltiveremo lattuga. Al momento l’applicazione più probabile delle nostre ricerche è quella relativa alla disponibilità per gli astronauti di cibo fresco e di aria pulita attraverso le piante che viaggeranno insieme a loro nelle navicelle spaziali e sulle stazioni orbitanti. Se poi, un giorno, si arriverà anche a coltivare verdure ed ortaggi su Marte, meglio ancora. Uno dei non pochi problemi da risolvere se manderemo davvero coloni su Marte sarà infatti quello di rifornirli di cibo. I costi del trasporto dalla Terra sarebbero astronomici”. 
Fabrizio Geremicca  
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