“Sotto le vesti di una meritocrazia inesistente, si nasconde la volontà di un ridimensionamento degli Atenei nelle regioni del Sud Italia”

 
66.000 studenti in meno in 10 anni
 
 
Sono circa il 20% in meno gli studenti che si sono iscritti ad un Corso di Laurea universitario in Italia negli ultimi dieci anni: dati allarmanti che emergono dal rapporto 2015 della Fondazione RES, l’Istituto di Ricerca Economia e Società in Sicilia, elaborato da Gianfranco Viesti e che mette sotto la lente d’ingrandimento l’Università italiana. Secondo la ricerca della RES, infatti, rispetto al momento di massima dimensione (databile, a seconda delle variabili considerate, fra il 2004 e il 2008), al 2014-15 gli immatricolati si riducono di oltre 66 mila, passando da circa 326 mila a meno di 260.
A questo si accompagna un generale impoverimento dell’intero comparto università: i docenti passano da poco meno di 63 mila a meno di 52 mila (-17%) negli ultimi dieci anni e fra il 2008 e il 2013 si riducono del 15% circa, su un totale del pubblico impiego di meno del 4%; il personale tecnico amministrativo da 72 mila a 59 mila (-18%); i Corsi di studio scendono da 5634 a 4628 (-18%).
Ad incidere fortemente sono i tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario delle università (FFO) diminuito, in termini reali, del 22,5%.
Ma se le criticità sono generali, è al Sud che si concentra il numero maggiore di problematicità. Se è sempre più alto il numero di studenti che, per ragioni economiche e di opportunità, si iscrive in una regione diversa da quella di residenza (il 21,4%), la mobilità assume però dimensioni e caratteristiche assai diverse nelle grandi circoscrizioni del Paese: “Al Nord riguarda il 17,8% degli immatricolati, che rimangono quasi tutti (5/6) all’interno della circoscrizione – scrive Viesti – Al Centro è meno rilevante (il 14,5% degli immatricolati), specie per gli studenti toscani e laziali, ma orientata di più verso l’esterno: metà di chi cambia regione va al Nord, un terzo rimane al Centro, un sesto va al Sud. Al Sud la mobilità è molto maggiore: riguarda il 28,9% degli immatricolati; e 4 su dieci si spostano al Nord e altri 4 al Centro. Si parla della mobilità di circa 29.000 studenti meridionali: bassa (e in crescita moderata) in Campania e Sardegna; storicamente molto elevata in Calabria e in Puglia (e in crescita in Puglia ma non in Calabria); in fortissimo aumento, invece, in Sicilia, dove ormai riguarda quasi un terzo degli immatricolati a fronte di meno di un sesto nel 2003-04”.
Cause possibili per la RES possono essere “l’insoddisfazione degli studenti per le aule, ad esempio, così come mostrata dalle indagini Almalaurea, è assai maggiore al Sud e nei grandi atenei del Centro ed è correlata ai ritardi. Al Centro-Sud, specie nei grandi atenei, vi sono con tutta probabilità condizioni di studio più difficili. Certamente più studenti per ogni docente. Rilevano, infine, alcune condizioni relative all’organizzazione degli studi: ad esempio i ritardi sono maggiori per gli studenti che frequentano le lezioni meno assiduamente. In diversi atenei del Sud, stando sempre alle indagini Almalaurea, l’assiduità della frequenza è inferiore, pur in un quadro di grande varianza fra atenei”.
Ad incidere, anche i minori servizi relativi al diritto allo studio che le regioni riescono ad erogare con sempre più difficoltà in particolare al Sud, dove le risorse sono minori. “Sul totale dei fondi disponibili per le borse di studio pesa sempre di più il contributo delle famiglie, che è sensibilmente aumentato negli ultimi anni: la tassa regionale per il diritto allo studio è a 140 euro l’anno, in quasi tutte le regioni indipendentemente dal reddito – si legge nel rapporto – Essa produce un gettito di 225 milioni, copre oramai quasi metà delle risorse erogate per le borse. Poco più del 2% degli studenti è assegnatario di un posto alloggio nelle residenze universitarie. È disponibile un posto in mensa ogni 35 studenti iscritti”. Ma il quadro è ancora peggiore, e in peggioramento, nelle regioni del Mezzogiorno: “Nel 2013-14, nelle regioni del Sud continentale circa il 40% degli idonei non beneficiava di borsa per carenza di risorse; la percentuale arrivava al 60% nelle Isole: così che nell’area più povera del Paese il numero di studenti borsisti, rispetto al totale degli iscritti in corso, risultava paradossalmente ancor più basso della media nazionale. Questo si deve sia ad un minore impegno finanziario delle regioni (pur in un quadro molto diversificato), che erogano circa 40 euro per studente, e cioè la metà rispetto al Centro-Nord; sia all’azione del Fondo Nazionale, che, per i criteri con cui è regolato, incrementa le disparità invece di ridurle; ed eroga al Sud un importo per studente che è anch’esso la metà rispetto al Centro-Nord. Al Sud, ancora, la percentuale di studenti assegnatari di alloggio è meno della metà rispetto al Centro-Nord; per ogni posto mensa disponibile ci sono 60 studenti iscritti”.
 
Sono 55 mila gli studenti che lo scorso anno si sono immatricolati in una regione diversa da quella di provenienza e il flusso è unidirezionale da Sud verso Nord: il timore è la progressiva scomparsa degli Atenei meridionali. A lanciare l’allarme è l’autorevole voce di Adriano Giannola intervenuto al convegno ‘Innovazione e Mezzogiorno’ proprio in questi giorni, ma è già da diverso tempo che tra docenti e rettori delle università del Mezzogiorno si discute e ci si preoccupa circa l’inevitabile caduta nei nostri Atenei.
“C’è un’intera letteratura che sta venendo fuori sulla questione – fa presente il prof. Giannola, docente di Economia politica alla Federico II e Presidente dello Svimez – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – Come Svimez abbiamo voluto organizzare una Consulta dei Rettori del Mezzogiorno perché c’è sì una consapevolezza diffusa, ma ancora non esiste un vero accordo, una linea programmatica su cui muoverci per sollevare e porre all’attenzione nazionale la situazione dei nostri Atenei”.
“Se si leggono i dati – spiega il noto economista – è evidente come sia stato portato avanti negli ultimi nove anni, dalla Gelmini in poi, un sistema in cui vengono tagliati i fondi per la ricerca, e di come il peggioramento si concentri al Sud. C’è una politica che sotto le vesti di una meritocrazia inesistente nasconde la volontà di un ridimensionamento degli Atenei nelle regioni del Sud Italia”.
In atto già da tempo una campagna, anche mediatica, che ha messo sulla gogna l’intero sistema universitario, dove gli Atenei sono visti come i luoghi di potere di baronie, in un Paese dove laurearsi sembra non servire più a nulla, e dietro la quale sembrano trovare giustifica politiche che hanno portato a tagli ai fondi destinati all’università sempre più forti, con un ridimensionamento del Fondo di Finanziamento Ordinario di oltre il 22% negli ultimi anni.
Così nella classifica OCSE sul numero dei laureati nel 2015, l’Italia si posiziona all’ultimo posto fra i 34 Paesi più industrializzati al mondo, con 24 laureati su cento giovani tra i 25 e i 34 anni, contro i 41 della media.
E se il calo delle immatricolazioni è generale, è proprio al Sud che si concentra il fenomeno, accompagnato da un ridimensionamento generale dei dipendenti del comparto università: “In questo quadro, si inserisce una specifica politica che porterà a far sparire le università meridionali entro 15 anni”, avverte, quindi, Giannola.
Tra i meccanismi cui lo studioso fa riferimento ci sono proprio quelli che stanno dietro la distribuzione del FFO: “Uno dei criteri utilizzati, sempre dietro il manto della meritocrazia, è il numero di studenti fuori corso, ma c’è da considerare che al Sud ci sono più studenti fuori corso a causa di difficoltà oggettive, come essere pendolare e dover impiegare tutti i giorni ore per arrivare all’università”.
C’è anche un altro criterio che penalizza fortemente le università del Sud: “è legato alla capacità che le università hanno di procurarsi finanziamenti esterni, e va da sé che in un territorio con poche imprese è più difficile attrarre investimenti. Si tratta di una situazione prociclica, dove peggio stai e peggio starai. Nella distribuzione dei fondi bisognerebbe tener conto delle condizioni economico-sociali del territorio, mentre queste vengono volutamente ignorate”. Si creano situazioni paradossali – aggiunge – come quella degli aventi diritto non assegnatari, perché le regioni non hanno soldi per coprire le borse (nel 2013-14, nelle regioni del Sud continentale circa il 40% degli idonei non beneficiava di borsa per carenza di risorse; la percentuale arrivava al 60% nelle Isole): “Un diritto costituzionale è divenuto un lusso”. 
“La creatività dei giovani si esprime allora attraverso una migrazione. C’è un forte esodo di giovani che vanno dal Sud verso il Nord. Naturalmente questo è un privilegio riservato a chi può”, sottolinea amaramente Giannola.
Ma perché si è riusciti in questi anni a portare avanti queste politiche distruttive senza che la classe politica meridionale facesse nulla? “C’è molto senso di colpa, c’è un’incapacità di una classe politica sempre più piccola e rigirata su se stessa. Dobbiamo capire che bisogna cambiare verso: rovesciamo il baricentro, costruiamo la nostra ricchezza sul Mezzogiorno, che la sua posizione geografica diventi una opportunità”: è la sfida lanciata dal Presidente Svimez. 
Valentina Orellana
 
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