Una storia che ha dell’incredibile, che fa rimanere a bocca aperta ma che c’è bisogno di raccontare perché tutti sappiano quanto la forza, la passione, la determinazione, l’onestà debbano essere da traino per riuscire nella vita di ogni giorno. L’ha vissuta una giovane neo-laureata in Scienze Biologiche della Seconda Università, che, per riservatezza, chiameremo B.
La vicenda ha inizio circa cinque anni fa, quando B. è quasi al termine del suo percorso accademico triennale (le mancano tre esami e sta già lavorando alla tesi in Anatomia) e purtroppo si ammala di leucemia. “E’ stato un colpo molto duro per me ma ho cercato di farmi forza per proseguire gli studi. Mi recavo comunque in Facoltà, anche se, ad un certo punto, ho dovuto cominciare a chiedere permessi per le assenze che ero costretta a fare o a chiedere di rimandare gli esami in altre giornate per sottopormi alle visite mediche e per le cure …”.
Una malattia il cui decorso è durato quattro anni circa, ma che, in tutta questa storia, resta assurdamente in secondo piano. “E’ stato a quel punto che una mia collega, una ragazza che conoscevo semplicemente perché la vedevo ogni giorno a lezione, ha messo in giro la voce che io avrei finto la mia malattia per ottenere una risoluzione degli esami in modo più semplice. Non solo, ha fatto di peggio: ha usato il mio nome, ha creato un indirizzo e-mail con il mio nome e cognome in modo da scrivere ai docenti e prendere appuntamenti, prenotare gli esami…”. Racconta B.: “già quando seguivo, mi ero resa conto che era una persona particolare, molto morbosa, ad esempio si presentava agli esami solo per sapere come andava agli altri…”. B. ha cominciato a sospettare di lei nel momento in cui alcuni docenti le riferivano di aver ricevuto varie sue e-mail per definire i giorni degli esami. “Io, invece, non avevo inviato nulla”. In ogni caso, restavano sospetti. “Sì, poi, però, ho cominciato a ricevere telefonate anonime ricche di insulti, in alcune mi veniva anche detto che non meritavo di stare all’Università e altro. Ho deciso così di sporgere denuncia ai Carabinieri di Caserta i quali, però, mi hanno risposto di non potermi aiutare in alcun modo. Da quel momento, mi sono data da fare: ho applicato, al telefono di casa, un dispositivo per rilevare il numero delle chiamate in entrata. Ho fatto una ricerca e ho scoperto che il numero delle chiamate anonime corrispondeva a quello di casa della mia collega. Solo quando ho avuto questa certezza, ho potuto denunciarla”. B. ha anche provato ad affrontarla direttamente in Facoltà: “le ho chiesto espressamente il motivo del suo comportamento. Mi ha risposto che ‘quelle come me non meritano di stare all’Università, che non dovevo andare avanti’. Neanche quando le ho comunicato che l’avrei denunciata, ha fatto una piega. Anzi mi sono sentita dire che nessuno mi avrebbe creduta e sarei passata per una pazza!”. Perché, in effetti, è difficile, che chi ti sta vicino creda a ciò che può sembrare un’ossessione. “Intorno a me c’era l’omertà, tutti sminuivano l’accaduto. Non ho ricevuto alcun appoggio, né dai colleghi né dai docenti”.
Un episodio increscioso: “quella donna è riuscita anche a sottrarre dalla mia borsa il libretto universitario, l’ha scarabocchiato, ha scritto a penna la dicitura di un altro esame… è stato ritrovato in bagno dal personale addetto alle pulizie”. B., nonostante i problemi derivanti dalla malattia, ha deciso comunque di procedere. “All’inizio, ero nello sconforto più totale, volevo abbandonare tutto. Anche lo studio. Ho sofferto molto, la vita era diventata impossibile, stavo subendo una vera e propria sostituzione di persona a scopo lesivo. La sofferenza, però, mi è servita da spinta perché dovevo reagire. Ho chiesto aiuto alla Fondazione Doppia Difesa, una Onlus che fornisce sostegno e assistenza a chi subisce discriminazioni, violenze e abusi, e loro mi hanno incitata ad andare avanti, e soprattutto mi sono resa conto che ci sono tante altre vittime come lo ero io…”.
B. alla fine si è rivolta ad un avvocato. “C’è stato un processo. Le accuse di calunnia e diffamazione erano fondate; il giudice ha condannato la donna che mi ha perseguitata al pagamento di un risarcimento di 50mila euro per danni morali. Solo in tribunale, quella donna ha ammesso le sue colpe anche se ha ribadito di non essere pentita di ciò che ha fatto”. “Penso che faccia parte di quella tipologia di persone che non ha ideali, è frustrata, ha sempre agito al limite della crudeltà e dell’odio. Non so spiegare il suo comportamento in altro modo”, commenta B.. Certo nessuno potrà risarcirla per tutto ciò che ha subito. “L’Università dovrebbe essere un luogo di cultura, frequentata da persone spinte dalla passione per il sapere e le competizioni non possono sfociare in invidia, in odio…”. A breve B. si trasferirà a Firenze per continuare i suoi studi nell’ambito delle neuroscienze. “Voglio fare la ricercatrice e studiare le malattie neuro-patologiche…”.
Maddalena Esposito
La vicenda ha inizio circa cinque anni fa, quando B. è quasi al termine del suo percorso accademico triennale (le mancano tre esami e sta già lavorando alla tesi in Anatomia) e purtroppo si ammala di leucemia. “E’ stato un colpo molto duro per me ma ho cercato di farmi forza per proseguire gli studi. Mi recavo comunque in Facoltà, anche se, ad un certo punto, ho dovuto cominciare a chiedere permessi per le assenze che ero costretta a fare o a chiedere di rimandare gli esami in altre giornate per sottopormi alle visite mediche e per le cure …”.
Una malattia il cui decorso è durato quattro anni circa, ma che, in tutta questa storia, resta assurdamente in secondo piano. “E’ stato a quel punto che una mia collega, una ragazza che conoscevo semplicemente perché la vedevo ogni giorno a lezione, ha messo in giro la voce che io avrei finto la mia malattia per ottenere una risoluzione degli esami in modo più semplice. Non solo, ha fatto di peggio: ha usato il mio nome, ha creato un indirizzo e-mail con il mio nome e cognome in modo da scrivere ai docenti e prendere appuntamenti, prenotare gli esami…”. Racconta B.: “già quando seguivo, mi ero resa conto che era una persona particolare, molto morbosa, ad esempio si presentava agli esami solo per sapere come andava agli altri…”. B. ha cominciato a sospettare di lei nel momento in cui alcuni docenti le riferivano di aver ricevuto varie sue e-mail per definire i giorni degli esami. “Io, invece, non avevo inviato nulla”. In ogni caso, restavano sospetti. “Sì, poi, però, ho cominciato a ricevere telefonate anonime ricche di insulti, in alcune mi veniva anche detto che non meritavo di stare all’Università e altro. Ho deciso così di sporgere denuncia ai Carabinieri di Caserta i quali, però, mi hanno risposto di non potermi aiutare in alcun modo. Da quel momento, mi sono data da fare: ho applicato, al telefono di casa, un dispositivo per rilevare il numero delle chiamate in entrata. Ho fatto una ricerca e ho scoperto che il numero delle chiamate anonime corrispondeva a quello di casa della mia collega. Solo quando ho avuto questa certezza, ho potuto denunciarla”. B. ha anche provato ad affrontarla direttamente in Facoltà: “le ho chiesto espressamente il motivo del suo comportamento. Mi ha risposto che ‘quelle come me non meritano di stare all’Università, che non dovevo andare avanti’. Neanche quando le ho comunicato che l’avrei denunciata, ha fatto una piega. Anzi mi sono sentita dire che nessuno mi avrebbe creduta e sarei passata per una pazza!”. Perché, in effetti, è difficile, che chi ti sta vicino creda a ciò che può sembrare un’ossessione. “Intorno a me c’era l’omertà, tutti sminuivano l’accaduto. Non ho ricevuto alcun appoggio, né dai colleghi né dai docenti”.
Un episodio increscioso: “quella donna è riuscita anche a sottrarre dalla mia borsa il libretto universitario, l’ha scarabocchiato, ha scritto a penna la dicitura di un altro esame… è stato ritrovato in bagno dal personale addetto alle pulizie”. B., nonostante i problemi derivanti dalla malattia, ha deciso comunque di procedere. “All’inizio, ero nello sconforto più totale, volevo abbandonare tutto. Anche lo studio. Ho sofferto molto, la vita era diventata impossibile, stavo subendo una vera e propria sostituzione di persona a scopo lesivo. La sofferenza, però, mi è servita da spinta perché dovevo reagire. Ho chiesto aiuto alla Fondazione Doppia Difesa, una Onlus che fornisce sostegno e assistenza a chi subisce discriminazioni, violenze e abusi, e loro mi hanno incitata ad andare avanti, e soprattutto mi sono resa conto che ci sono tante altre vittime come lo ero io…”.
B. alla fine si è rivolta ad un avvocato. “C’è stato un processo. Le accuse di calunnia e diffamazione erano fondate; il giudice ha condannato la donna che mi ha perseguitata al pagamento di un risarcimento di 50mila euro per danni morali. Solo in tribunale, quella donna ha ammesso le sue colpe anche se ha ribadito di non essere pentita di ciò che ha fatto”. “Penso che faccia parte di quella tipologia di persone che non ha ideali, è frustrata, ha sempre agito al limite della crudeltà e dell’odio. Non so spiegare il suo comportamento in altro modo”, commenta B.. Certo nessuno potrà risarcirla per tutto ciò che ha subito. “L’Università dovrebbe essere un luogo di cultura, frequentata da persone spinte dalla passione per il sapere e le competizioni non possono sfociare in invidia, in odio…”. A breve B. si trasferirà a Firenze per continuare i suoi studi nell’ambito delle neuroscienze. “Voglio fare la ricercatrice e studiare le malattie neuro-patologiche…”.
Maddalena Esposito