Tra allevamenti e città d’arte, con il sogno Perù

L’ospedale veterinario è importante per capire il valore del team, ma è presso le aziende che si impara, “toccando il letame”. Gli assegni di oggi sono cartastraccia rispetto alle uova fresche ricevute in passato, quando la veterinaria era “epica”. Gli studenti, il banco di prova più importante, quello di cui sentirà nostalgia. La campagna, il teatro di studi e di ricerca che non sarà abbandonata, salvo qualche piccola pausa per visitare le città d’arte. Ricordi e obiettivi per il futuro si sovrappongono nel racconto di un classe ’47, figlio di papà calabrese e mamma di Gragnano, che ha da poco raggiunto il traguardo pensione. 
È arrivata la pensione, ma lei con entusiasmo parla di progetti per il futuro. Quanti anni ha il prof. Zicarelli?
“Sono nato il 7 marzo del 1947, dopo la guerra, quando non c’era il problema dell’eccessivo consumo di carne, perché per carenze di soldi e di risorse si cucinava solo il giovedì e la domenica. Ho mangiato tanto di quel pane con la sugna che farei inorridire qualsiasi dietologo. Quando penso ai primi studi sulla dieta mediterranea, mi viene da ridere. A quei tempi si moriva di fame”.
Con il tempo il modo di mangiare è cambiato. E la Veterinaria?
“Ho vissuto l’ultimo sprazzo della veterinaria epica. Lavorare nelle piccole stalle era una cosa bellissima. Eri visto come il salvatore della patria. Si guadagnava molto poco, però quelle quattro uova fresche e quel pollo che ti davano a Natale ti facevano piangere perché sapevi che se lo erano tolto di bocca. Oggi ti danno un assegno, ma è un pezzo di carta”. 
Con la pensione avrà un po’ di tempo in più. Come pensa di spenderlo?
“Visitando le città d’arte. A ottobre scorso sono stato invitato a un congresso in Thailandia. A novembre, invece, sono stato a un altro congresso, in Messico. Lì mi sono attardato una settimana in più per vedere tutta la cultura dei Maya e degli Aztechi, una cosa bellissima. Mi manca ancora qualcosa da vedere, ma le gambe non mi aiutano più. Vorrei andare in Perù a Machu Picchu, ma lì è tutto in salita”. 
A dicembre i saluti in una lectio magistralis. Ha parlato di Carlo III, perché?
“Per quello che ha fatto in ambito zootecnico e agricolo in un momento in cui nessuno se ne fregava niente, perché alla sua epoca non c’erano né Istituti sperimentali di agricoltura né Facoltà di Agraria. È stato una pietra miliare dell’agricoltura e della zootecnia”. 
L’affetto non le è mancato. In aula il 19 dicembre erano in tanti. 
“Erano troppi. Come ho detto, spero che al mio funerale non siano così numerosi perché a Santa Maria degli Angeli alle Croci non c’entrerebbero tutti. Mi ha fatto piacere perché significa che sono in molti che hanno apprezzato quanto ho seminato”.
Cosa le mancherà di più?
“Gli studenti. Il feedback che ti danno loro non può dartelo nessuno. Quando spieghi e li guardi negli occhi, ti rendi conto se hanno capito oppure se stai dicendo delle cose che ignorano totalmente. A loro dico di apprendere al meglio le materie di base. Nessuno sa cosa ci riserva il futuro. Lo si può affrontare solo con un background solido”.
Come ha costruito il rapporto con i suoi allievi?
“All’inizio sono stato un fratello maggiore, poi un padre e ora un nonno. Non c’è mai stato distacco. Loro sapevano che la mia porta era sempre aperta. In cinquantuno anni qui è sempre stato così”.
Continuerà invece lo studio e il lavoro di ricerca?
“Sicuramente sì. La mia ricerca è sempre stata in campagna studiando le bufale”. 
Cosa non le mancherà?
“Le diatribe dei colleghi. Quando qualcuno viene a raccontarmi qualcosa dico che non ci sono più”.
La soddisfazione più grande durante gli anni da Preside e Direttore di Dipartimento?
“Quando siamo entrati in Europa. Siamo stati gli unici ad avere il riconoscimento con una vecchia sede. Vuol dire che hanno valutato la sostanza, non le pietre. Posso solo dire che tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto perché mi piaceva. Molti non l’hanno capito, ma questo è secondario, ci rido sopra”.
Quali sono le caratteristiche di una veterinaria europea?
“L’ospedale dovrebbe servire per dare la mentalità agli studenti di costruire una professione non individuale, ma fatta di collaborazione con colleghi con competenze diverse. Quello che hanno avuto finora gli studenti di Veterinaria di Napoli è la conoscenza del territorio, con pratica su bovini, ovini, maiali e cavalli in diverse aziende. Credo a una veterinaria spalmata sul territorio piuttosto che chiusa in quattro mura perché, in quest’ultimo caso, si subiscono le casistiche che vengono portate. Lavorare sul territorio, invece, offre varietà. Avere un’azienda zootecnica è inutile, perché ti dà una visione limitata. È importante toccare il letame”.
Dipartimento di Veterinaria. Quali i problemi più urgenti da risolvere?
“Il primo è sicuramente quello dell’edilizia. Pare che sia avviata la parte che riguarda l’ospedale veterinario al Frullone, ma il concorso europeo per la costruzione della sede, sempre al Frullone, non è ancora partito. Ho una grossa paura. In Italia siamo molto lenti dal punto di vista burocratico e fra due anni ritorna la Commissione europea che ci chiederà notizie in merito alle promesse del 2013, relative principalmente all’edilizia”. 
A proposito di edilizia. Uno degli episodi spiacevoli: il crollo di una palazzina del Dipartimento nel 2015.
“Ci ha insegnato che quello che è stato costruito dopo il 1960 è andato giù, mentre ciò che è stato costruito nel 1500 sta ancora là. I vecchi ‘Masterascio’, come diciamo noi in napoletano, erano molto più bravi di quelli moderni”.
È stato Presidente protempore della Scuola di Agraria e Medicina Veterinaria. Il rapporto tra i due ambiti?
“Per fare sinergia bisogna eliminare gli individualismi. Purtroppo non è semplice perché sia ad Agraria sia a Veterinaria sono notevoli. Ognuno crede di essere migliore dell’altro. Sarebbe necessario iniziare a pensare a un bisogno reciproco e fare delle cose concrete. Di possibilità ce ne sono tantissime”.
La scomparsa a fine dicembre del Presidente della Scuola, il prof. Pasquale Lombardi…
“Avevamo un rapporto di stretta amicizia. Da Presidente spesso ho collaborato con lui perché sapevo chi era e che affidabilità aveva. Purtroppo è venuto a mancare all’improvviso e mi dispiace moltissimo. È stata una brutta perdita per l’Ateneo”.
Un Ateneo che, in occasione della lectio magistralis, ha espresso la volontà di continuare a collaborare con lei.
“La mia porta è sempre aperta. Negli ultimi due anni non sono mai entrato in Presidenza, perché le persone che ci sono hanno capacità ed è giusto che camminino con le proprie gambe. Se hanno bisogno di qualcosa sanno dove trovarmi”.
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