Va in pensione il prof. Luciano Gaudio

“Oggi come ieri, per un docente il primo incontro con il suo pubblico ha una forte carica emotiva: gli studenti sono tante unità sconosciute e attraverso le parole ci si mette a nudo. Metti a nudo il tuo cervello. Guardi gli studenti e cerchi di capirli, di distinguere chi pensa ad altro da quelli che stanno veramente seguendo e ti aggrappi a loro per calibrare l’intonazione delle cose che cerchi di insegnare”. Il prof. Luciano Gaudio, un veterano delle aule universitarie, ricorda con queste parole e questo sentimento i primi passi come insegnante, nella seconda
metà degli anni ‘70. Laureato in Scienze Biologiche nel 1974, il professore ha iniziato la sua carriera nel ‘75 come assistente incaricato alla cattedra di Genetica del prof. Mario Carfagna. Conclude quest’anno il suo percorso accademico da Ordinario di Genetica presso il Dipartimento di Biologia dell’Università Federico II. “I primi anni – racconta – avevo anche un ruolo come incaricato a tempo indeterminato nella scuola superiore. Un periodo importante perché mi ha permesso, quando sono arrivato all’Università, di avere anche una conoscenza su quello che era il bagaglio degli studenti delle superiori, sapevo da dove venivano e cosa avevano studiato. Rispetto a
quello alle superiori l’insegnamento universitario ti fa sentire più pronto e capace di trasferire ai ragazzi, che
sono più maturi, le conoscenze sviluppate negli anni, nella ricerca di laboratorio, attivando così un circuito virtuoso tra lavoro scientifico e lezioni in aula”.
I professori “portatori di chiavi della conoscenza, non di nozioni”
Il modo di rapportarsi agli studenti è cambiato negli anni, anche perché sono cambiati gli studenti: “All’inizio della mia carriera erano più timidi però interagivano più proficuamente, poi sono diventati meno timidi ma l’interazione è più superficiale. Non è fondata sulla voglia di comprendere, ma solo sulla fretta di impossessarsi di un minimo indispensabile di nozioni utili a superarel’esame. Questo ha portato anche ad un cambiamento nella figura del docente. Prima il professore era l’unico punto di riferimento per lo studente, oltre al libro naturalmente. Adesso è un personaggio reale in un mondo virtuale. Se prima quello che dicevi era vero per assunto, adesso basta un clik su un sito internet per sconfessarti: da un lato è positivo perché offre ai ragazzi un universo più vasto di conoscenze, a volte, però, può deviare verso informazioni sbagliate e confuse. Il punto, anche in questo caso, è che il docente non deve dare nozioni da accumulare, ma deve fornire la chiave per comprendere una disciplina, gli strumenti per avvicinare alla conoscenza. Non posso negare che ci siano studenti brillanti, ma mediamente il ragazzo di oggi si considera come un otre vuoto che si deve riempire via via fino all’esame, per poi svuotarsi e riempirsi per il prossimo test”. Il trasferimento di conoscenza e amore per la materia è molto di più, e il prof. Gaudio ricorda proprio come questo gli sia stato inculcato dai suoi Maestri: “Tra i primi sicuramente il prof. Carfagna, che mi istillò l’amore per la Genetica, che all’epoca era un esame complementare”. Fa una piccola digressione: “avevo scelto di studiare Chimica, poi, dopo due anni, cambiai idea e proseguii con Biologia. Mi aveva affascinato l’idea di studiare la materia vivente e mi incuriosì molto la Genetica che all’epoca era un insegnamento a scelta, nonostante proprio a Napoli nel dopoguerra fosse stata istituita la prima cattedra di Genetica con Giuseppe Montalenti. Divenne obbligatorio solo verso il ‘73. In quegli anni vennero molti ricercatori da fuori. Tra questi Guerrini, altro docente che considero un Maestro: fu lui a farmi capire che dovevamo essere portatori di chiavi della conoscenza, non portatori di nozioni. Il corso, dunque, visto come uno strumento teso alla formazione dello studente, non solo alla sua informazione. La trasmissione della conoscenza avviene di continuo: in aula, negli studi o nei corridoi in maniera più diretta”. Ricorda la volta in cui dopo un corso “un docente di Campobasso mi chiese delle spiegazioni su alcune cose che non aveva ben compreso. Siccome andavo di fretta, gli chiesi di camminare con me, strappai un manifesto funerario da un muro e gli fornii la spiegazione che chiedeva”. È una visione dell’insegnamento che va in profondità: “Spesso oggi lo studente conosce la definizione, ma non sa cosa c’è dietro. Quando si va in aula bisogna pensare che sono tanti gli ingredienti da cui tirar fuori una buona lezione: l’età, l’esperienza, il background, capire chi hai davanti per trasmettere il giusto interesse”. Così, tra i momenti più significativi della sua carriera, il prof. Gaudio non può che annoverare i successi dei suoi studenti: “Sicuramente una grande soddisfazione sta nell’avviare gli allievi verso tesi sperimentali, verso il dottorato, ritrovarli docenti universitari. Questo significa che avevi visto giusto, che la tua scelta è stata riconosciuta dall’intera comunità accademica. Sai che una parte della loro maturità scientifica, dei loro successi, è dovuta a te. Vedi il tuo lavoro realizzato nei successi dei tuoi allievi: forse è un po’ come brillare di luce riflessa”.
Napoli, “un importante centro per la Genetica”
Momenti importanti sono derivati anche dalla ricerca scientifica: “un insieme di avvenimenti, di progetti che si sono realizzati e da ognuno dei quali ho tratto emozioni, soddisfazioni. La mia attività scientifica è cominciata con i polimorfismi dellepopolazioni, in particolare la Drosophilia. Poi Carfagna migrò alla Seconda Università e io rimasi orfano. Fu grazie ai colleghi che arrivarono da fuori che mi interessai alla mutagenesi e alla genotossicità, arrivando ai vegetali, prima utilizzando metodiche molecolari e poi avvicinandomi sempre più ai problemi genetici. Devo dire di essere stato un po’ eclettico e la mia curiosità mi ha portato in vari campi”. Numerosi i viaggi all’estero alla ricerca di materiale di studio o per partecipare a conferenze o come ricercatore ospite. “Oggi Napoli è un importante centro per la genetica: gli studi del Policlinico, la genetica di Agraria, le tecnologie della next generation sequences a Scienze. È un momento molto positivo per la genetica. Da un punto di vista concettuale è trasversale a molte materie sperimentali. Io ho sempre cercato di costruire un percorso multidisciplinare con tutte le materie della biologia”.
Comunità e senso di appartenenza
Una carriera lunga ed intensa, durante la quale il professore, un volto noto per chi studia o lavora con l’Università, ha conciliato l’impegno accademico con quello istituzionale camminando su un doppio binario. Il prof. Gaudio, oltre a guidare numerosi progetti e ad aver ricoperto incarichi regionali, è stato tra i più presenti nelle istituzioni accademiche degli ultimi anni: tra gli altri, è stato membro del Consiglio di Amministrazione, di numerose Commissioni permanenti dell’Ateneo, della Facoltà, Presidente del Corso di Laurea in Scienze Biologiche, direttore del Dipartimento di Scienze Biologiche, delegato del Rettore nel Consiglio dell’Azienda per il Diritto allo Studio Universitario, nonché vicepresidente dell’Azienda, coordinatore del ciclo di incontri “Come alla Corte di Federico II”. “Più che un doppio binario, direi che è stato come camminare sullo stesso binario con due treni! Io ho sempre pensato che se si haqualcosa da offrire alla comunità, bisogna farlo: con l’Adisu alla comunità studentesca, come direttore alla comunità scientifica, con il Corso di Laurea ascoltando le richieste degli studenti e perseguendo i propri obiettivi. È giusto così. Siamo definiti una comunità, ma perché non sia individualista bisogna operarsi per condividere le proprie capacità e il proprio tempo”, afferma. E aggiunge: quando si incontrano difficoltà, per superarle lo spirito giusto sta nell’attribuirvi il giusto peso: “L’Università è un microcosmo all’interno del quale viviamo in maniera a volte esasperata alcuni eventi. Se si riesce a guardarli dal di fuori, però, si comprende che rispetto ai problemi del mondo reale sono banalità”. Una strana coincidenza astrale: “Sono nato il 31 ottobre e proprio quello sarà il mio ultimo giorno di lavoro: il giorno in cui compirò 70 anni. L’anno accademico inizia il primo novembre e io quest’anno non insegnerò. Sono date che ritornano!”. Sui progetti per il futuro il professore nicchia. Il suo desiderio: “aver lasciato all’Ateneo uno ‘spirito’, condiviso da altri, per cui la nostra sia intesa come una comunità. Tra docenti e studenti ci deve essere un senso di appartenenza che si deve esprimere in positività, nell’orgoglio di appartenere ad una classe dirigente ben preparata. L’Università deve essere una realtà in cui si addestrano in maniera eccellente i quadri dirigenti del futuro. È un impegno della comunità per la comunità. Da qui anche l’impegno sociale verso la comunità cittadina. L’Ateneo non è una turris eburnea, ma fa parte della Città. I nostri campus sono le nuove piazze del sapere. E questo deve essere un sapere condiviso e scambiato perché anche il sapere che può venire da fuori, come quello artigiano, è un sapere utile alla comunità intera”.
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