Qualche giorno fa ha compiuto vent’anni. Davanti a sé una vita intera per realizzare i suoi sogni: continuare a giocare a pallavolo – è una delle schiacciatrici della Original Marines, squadra napoletana al primo posto in classifica nel campionato di A2 – e diventare, una volta appese le scarpette al chiodo, una brava allenatrice. Meglio però tenere i piedi per terra: Valentina Aprea, è questo il nome della pallavolista, da due anni studia Scienze Motorie: “Arrivata ad una certa età, dovrò smettere di giocare. Il mio obiettivo, però, è rimanere nell’ambito sportivo, anche come fisioterapista. Di qui la necessità di frequentare l’università”.
Una passione, quella per la pallavolo, nata appena sei anni fa, guardando i cartoni animati in tv “e le ragazze che si allenavano allo stadio Collana, dove accompagnavo mio fratello impegnato nell’atletica”. In poco tempo, bravura e determinazione l’hanno portata a giocare in A2: “Ho cominciato con la Megaride di Napoli. Successivamente sono stata tre anni con la Effe Isernia, conquistando una promozione dalla B2 alla B1. Per poi approdare alla Original Marines di Arzano. A sedici anni ho fatto anche parte del giro della Nazionale pre-juniores, senza però riuscire a rientrare nelle prime dodici”. Napoletana lei e napoletana la sua squadra: un binomio che molti giovani giocatori rincorrono, perché permette di coltivare gli affetti di sempre, perché fa risparmiare sulle spese, perché garantisce una vita meno stressata: “Durante la mia prima stagione ad Isernia andavo ancora a scuola, ultimo anno di ragioneria. Tutti i giorni facevo la spola tra le due città per via degli allenamenti. Negli ultimi due anni, poi, mi sono trasferita, dividendo un appartamento con altre compagne di squadra. Adesso sono tornata dai miei genitori”.
A Campobasso (ad Isernia non c’è l’Università) Valentina ha frequentato il suo primo anno da universitaria, dove è riuscita a dare tre esami: “Quello di Biologia mi è piaciuto particolarmente. Fra un po’ ne sosterrò altri tre, Didattica, Anatomia e Biochimica, ma al Parthenope, Università dove mi sono iscritta da quando sono tornata a Napoli”. Valentina, comunque, non ha fretta: “So che non ce la farò a terminare gli studi in cinque anni. Mi rendo conto di aver fatto ben poco sino ad oggi, ma voglio andare avanti”. I sacrifici sono continui se si vuole giocare a certi livelli: “Ci alleniamo due volte al giorno, tra pesi, lezioni di tecnica ed attività in palestra. Ci riposiamo solo la domenica ed il lunedì, tranne quando siamo in trasferta, perché scendiamo in campo proprio la domenica”. Poco spazio, quindi, ai libri: “Riesco a seguire solo un paio di giorni a settimana; studio nel primo pomeriggio o dopo cena, a seconda degli allenamenti”. Seminari, ricevimenti dei professori, un lusso che Valentina non può permettersi: “Anche volendo, non saprei proprio dove trovare il tempo”.
A detta dei tanti studenti-sportivi, il sistema universitario italiano non tiene conto delle loro esigenze: “La mia compagna di squadra americana – Elizabeth Bachman – è riuscita a laurearsi in California tranquillamente pur giocando in Nazionale, oltre che in squadre di club. È la struttura del college che facilita il doppio impegno”, chiosa Valentina. Che reclama una maggiore organizzazione per il suo corso di laurea: “Mi rendo conto che è difficile esportare quel modello in Italia, ma che almeno rispettassero le date d’esame così come fissate. A dicembre, infatti, mi hanno spostato tre esami che ero pronta a sostenere e sino ad oggi non sono ancora riuscita a darli per via della concomitanza con le partite”. Un metro e ottanta di altezza, Valentina non passa certo inosservata: “All’Università di Campobasso alcuni professori mi conoscevano e capivano la mia condizione di studente e di sportiva; qui non ho ancora avuto modo di presentarmi. Le mie speranze, comunque, sono riposte nel prof. Tafuri, coordinatore dei corsi, cui segnalare il mio caso”. In ogni modo, “non ho notato grosse differenze tra i due Atenei, quello napoletano e quello molisano. Il vantaggio di studiare a Campobasso è stato di tipo quantitativo: lì eravamo appena un centinaio di matricole, quindi molto seguiti; al Parthenope ne siamo cinquecento…”.
Un tipo caparbio, Valentina Aprea: “Lo sport mi ha insegnato ad essere costante e tenace, qualità che risultano utili nello studio come nella vita”. Mollare la pallavolo per l’università? Neanche a parlarne: “Tra dare un esame e vincere una partita preferisco quest’ultima, perché c’è sempre tempo per studiare”. Organizzarsi, la parola d’ordine per ottenere risultati, nello studio e nello sport. E porsi traguardi a breve termine: tre gli esami universitari da superare nelle prossime settimane, “per i quali mi sento preparata, non dovrei avere grosse difficoltà”; giocare titolare in A2, l’obiettivo sportivo da raggiungere al più presto. Tuttavia, “la serie A1 e la Nazionale sono mete difficilmente raggiungibili per me: non sono all’altezza (nel senso di centimetri, ndr) per giocare a quei livelli”, commenta Valentina Aprea, maglia numero dieci dell’Original Marines di Arzano, vent’anni e che, tra sogno e realtà, studia e gioca a pallavolo.
Paola Mantovano
Una passione, quella per la pallavolo, nata appena sei anni fa, guardando i cartoni animati in tv “e le ragazze che si allenavano allo stadio Collana, dove accompagnavo mio fratello impegnato nell’atletica”. In poco tempo, bravura e determinazione l’hanno portata a giocare in A2: “Ho cominciato con la Megaride di Napoli. Successivamente sono stata tre anni con la Effe Isernia, conquistando una promozione dalla B2 alla B1. Per poi approdare alla Original Marines di Arzano. A sedici anni ho fatto anche parte del giro della Nazionale pre-juniores, senza però riuscire a rientrare nelle prime dodici”. Napoletana lei e napoletana la sua squadra: un binomio che molti giovani giocatori rincorrono, perché permette di coltivare gli affetti di sempre, perché fa risparmiare sulle spese, perché garantisce una vita meno stressata: “Durante la mia prima stagione ad Isernia andavo ancora a scuola, ultimo anno di ragioneria. Tutti i giorni facevo la spola tra le due città per via degli allenamenti. Negli ultimi due anni, poi, mi sono trasferita, dividendo un appartamento con altre compagne di squadra. Adesso sono tornata dai miei genitori”.
A Campobasso (ad Isernia non c’è l’Università) Valentina ha frequentato il suo primo anno da universitaria, dove è riuscita a dare tre esami: “Quello di Biologia mi è piaciuto particolarmente. Fra un po’ ne sosterrò altri tre, Didattica, Anatomia e Biochimica, ma al Parthenope, Università dove mi sono iscritta da quando sono tornata a Napoli”. Valentina, comunque, non ha fretta: “So che non ce la farò a terminare gli studi in cinque anni. Mi rendo conto di aver fatto ben poco sino ad oggi, ma voglio andare avanti”. I sacrifici sono continui se si vuole giocare a certi livelli: “Ci alleniamo due volte al giorno, tra pesi, lezioni di tecnica ed attività in palestra. Ci riposiamo solo la domenica ed il lunedì, tranne quando siamo in trasferta, perché scendiamo in campo proprio la domenica”. Poco spazio, quindi, ai libri: “Riesco a seguire solo un paio di giorni a settimana; studio nel primo pomeriggio o dopo cena, a seconda degli allenamenti”. Seminari, ricevimenti dei professori, un lusso che Valentina non può permettersi: “Anche volendo, non saprei proprio dove trovare il tempo”.
A detta dei tanti studenti-sportivi, il sistema universitario italiano non tiene conto delle loro esigenze: “La mia compagna di squadra americana – Elizabeth Bachman – è riuscita a laurearsi in California tranquillamente pur giocando in Nazionale, oltre che in squadre di club. È la struttura del college che facilita il doppio impegno”, chiosa Valentina. Che reclama una maggiore organizzazione per il suo corso di laurea: “Mi rendo conto che è difficile esportare quel modello in Italia, ma che almeno rispettassero le date d’esame così come fissate. A dicembre, infatti, mi hanno spostato tre esami che ero pronta a sostenere e sino ad oggi non sono ancora riuscita a darli per via della concomitanza con le partite”. Un metro e ottanta di altezza, Valentina non passa certo inosservata: “All’Università di Campobasso alcuni professori mi conoscevano e capivano la mia condizione di studente e di sportiva; qui non ho ancora avuto modo di presentarmi. Le mie speranze, comunque, sono riposte nel prof. Tafuri, coordinatore dei corsi, cui segnalare il mio caso”. In ogni modo, “non ho notato grosse differenze tra i due Atenei, quello napoletano e quello molisano. Il vantaggio di studiare a Campobasso è stato di tipo quantitativo: lì eravamo appena un centinaio di matricole, quindi molto seguiti; al Parthenope ne siamo cinquecento…”.
Un tipo caparbio, Valentina Aprea: “Lo sport mi ha insegnato ad essere costante e tenace, qualità che risultano utili nello studio come nella vita”. Mollare la pallavolo per l’università? Neanche a parlarne: “Tra dare un esame e vincere una partita preferisco quest’ultima, perché c’è sempre tempo per studiare”. Organizzarsi, la parola d’ordine per ottenere risultati, nello studio e nello sport. E porsi traguardi a breve termine: tre gli esami universitari da superare nelle prossime settimane, “per i quali mi sento preparata, non dovrei avere grosse difficoltà”; giocare titolare in A2, l’obiettivo sportivo da raggiungere al più presto. Tuttavia, “la serie A1 e la Nazionale sono mete difficilmente raggiungibili per me: non sono all’altezza (nel senso di centimetri, ndr) per giocare a quei livelli”, commenta Valentina Aprea, maglia numero dieci dell’Original Marines di Arzano, vent’anni e che, tra sogno e realtà, studia e gioca a pallavolo.
Paola Mantovano