“Mostruosi accoppiamenti”, il Novecento letterario sotto una nuova luce

Il sopra e il sotto. Il dritto e il rovescio. Nel mezzo, il corto circuito scatenato da voci critiche che tentano di guardare da un polo all’altro, affidandosi a temi e tempi comuni del primo Novecento letterario. Un lavoro poderoso, non senza difficoltà, figlio di una precisa ambizione: straripare dagli argini e fertilizzare di nuovo la terra. Il faro è la narrativa, che illumina il buio fitto del secolo breve attraverso “Mostruosi accoppiamenti”, fil rouge dell’omonimo seminario a cura dei professori Francesco de Cristofaro, Giovanni Maffei e Ugo Maria Olivieri che, dall’11 marzo al 20 maggio ogni giovedì (ore 16 su Teams, codice 1jhviua), chiameranno a turno una coppia di autori (uno italiano, l’altro straniero) per stringersi idealmente la mano ex post e generare un confronto dialettico senza barriere. Dall’entroterra sondato da Franz Kafka e Federigo Tozzi (tema del primo incontro, avvenuto proprio l’11 marzo in compagnia di Leonardo Distaso e Riccardo Castellana) alle evanescenze in Aldo Palazzeschi e Miguel de Unamuno (prossimo appuntamento, 26 marzo). Insomma, coppie dai tratti comuni non immediati. Il tempo ad esempio, che gioca una strana coincidenza nella data del 16 giugno 1904 per Luigi Pirandello e James Joyce; così come lo sguardo rivolto al passato in Marcel Proust e Cesare Pavese. L’orecchio che si presta alle voci di dentro di Carlo Emilio Gadda e Samuel Beckett, che richiamano a loro volta le voci della guerra di Eduardo De Filippo. Ma il buio pesto del conflitto mondiale potrebbe diradarsi con la coppia Jerome Salinger/Elsa Morante che, come due genitori, crescono un nuovo figlio – rispettivamente Holden e Arturo. È la porta aperta ad una rinnovata adolescenza dell’uomo. “Si passa dalle grandi mostruosità di inizio Novecento, per arrivare ad un senso di speranza con i romanzi di formazione degli anni ’50”, sottolinea Olivieri, professore di Letteratura italiana. Nove incontri, arricchiti dalla presenza di 18 ospiti, che bandiscono gli steccati dell’ortodossia letteraria e lasciano campo libero ad un’arbitrarietà di fondo. Un’atmosfera surreale, che trova sbocco organico pure da un punto di vista visivo, nei disegni oblunghi di Claudia Cerulo, autrice delle immagini a sostegno delle locandine. “Per due stagioni proveremo a rispondere ad alcune domande – spiega de Cristofaro, docente di Critica letteraria e Letterature comparate – Quale dialogo intrattengono i capolavori romanzeschi della modernità italiana con quelli del grande canone occidentale? È possibile misurare le costanti e le varianti di tale rapporto attraverso un approccio comparatistico di carattere morfologico e/o tematico? Fino a che punto è vero ciò che si sente ripetere spesso, ossia che la nostra produzione narrativa non sarebbe in grado di ‘mantenere il passo’ con la coeva ricerca internazionale?”. Domande che non soffrono affatto l’obbligo di trovare una risposta netta. Piuttosto definiscono un orizzonte alternativo, poco interessato ai dogmi perché “gli accoppiamenti – ribadisce Maffei, professore di Letteratura italiana contemporanea – non devono rispondere ad un dato verificabile, ma sostanziarsi entro un raggio d’azione euristico. Tutto s’addensa attorno ad un reciproco illuminarsi”. Il richiamo definitivo: gli autori seduti a quel tavolo immaginario saranno “risonanza, come nell’acustica”. Ad ogni modo, lungi dall’essere un progetto recente, il seminario affonda le sue radici nel 2014, quando i coordinatori partorirono i primi accoppiamenti (quelli “giudiziosi”) sulla rappresentazione della borghesia e seguiti dal secondo ciclo con focus sull’Ottocento. Ma quasi come a pagare lo scotto di un contrappasso dovuto al nome, i mostruosi accoppiamenti hanno patito prima di sostanziarsi innanzi al pubblico (e continuano a farlo). Annunciato tre volte dal 2019, questo terzo ciclo ha conosciuto la luce solo ora, nel 2021. L’anno che ha dovuto ancora catalizzare tutta la propria attenzione sul Covid. Conseguenza? Pc acceso, connessione che va e viene, voci appiattite da casse poco funzionanti e iridescenza dell’atmosfera seminariale spodestata dalle quattro mura di una stanza. “La frustrazione è tanta – dice un amareggiato de Cristofaro – perché così si perde tantissimo. Chiaramente siamo in emergenza e abbiamo altre vie, ma queste esperienze sono incontri tra esseri umani in presenza, non come nel caso di Cablas che è un approfondimento pensato da remoto. È proprio in virtù di questo che nasce il seminario. Quello con cui stiamo facendo i conti è solo un surrogato”. Lo scoramento lascia poi spazio ad una speranza, fatta sì di confronto in presenza sui totem letterari novecenteschi, ma pure (e soprattutto) di “empatia, di aule gremite e vive, anche male illuminate, anche dai microfoni caduchi – conclude – ma per dir così, caricate dagli sguardi complici o critici degli spettatori; e perfino a quanti, rischiando di perdere il treno o agognando uno spritz, se ne vanno un po’ prima della fine”. 
 
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