Caffè storici, un premio per il libro del prof. Massimo Cerulo

L’autore è neo ordinario di Sociologia alla Federico II

Rintracciare la memoria culturale, politica e sociale del Paese, nei Caffè storici. È questa l’idea che anima Andare per caffè storici, libro del prof. Massimo Cerulo, cosentino, dallo scorso dicembre ordinario di Sociologia al Dipartimento di Scienze sociali dopo l’esperienza da ricercatore a Torino e da associato a Perugia. La penultima fatica del docente, edita da Il Mulino nel 2021 per la collana ‘Ritrovare l’Italia’, si è classificata seconda alla finalissima del Premio nazionale di divulgazione scientifica Giancarlo Dosi del CNR. In questi luoghi, che oggi appaiono quasi dimenticati o lasciati al turismo ti massa, si è fatta l’Italia– spiega Cerulo – nasce la rivoluzione borghese, cioè vengono meno le forme di elitarismo legate ai salotti nobiliari e aristocratici. Si entra senza essere invitati”. Primi sentori di egualitarismo e democrazia. Come racconta bene un manifesto di una cafè house della Londra del ’600 che il docente ha riportato nell’introduzione del suo libro: “nessuno si alzi per lasciare il posto ad una persona più altolocata”. Seguendo l’itinerario disegnato dal docente, si procede da Nord a Sud della penisola. Da Trieste, fino a Cosenza. Tutti esempi di come movimenti politici, correnti letterarie e giornalismo moderno abbiano trovato terreno fertile in questi ‘tesori nazionali’. Una carrellata densa: “Basti pensare al Florian di Venezia (nato nel 1720, si dice sia il più antico d’Italia, ndr), che ha ospitato riunioni di patrioti come Daniele Manin, Silvio Pellico, Nicolò Tommaseo, per la resistenza al potere austriaco. Così come ai Caffè triestini, il Tommaseo per esempio, dove è germinata l’appartenenza all’Italia che stava nascendo, nei termini di resistenza al potere asburgico. Ancora, al Bicerin, nella Torino capitale di Cavour, l’antifascismo alimentato al Paszkowski di Firenze, l’antiborbonismo di alcuni Caffè del Meridione”. Emblematico un episodio riguardante il Pedrocchi di Padova, che racconta del fervore universitario. “L’8 febbraio del 1848 ci fu un’insurrezione degli studenti contro gli Austriaci, un ragazzo perse anche la vita. Sul muro della Sala Bianca del Caffè, nel punto colpito da un proiettile nemico, è affissa una targa che ricorda l’evento”. Immancabile i riferimenti al Gambrinus di Napoli, “è un museo ad aria chiusa sui naturalisti e paesaggisti campani, e all’Antico Caffè Greco di Roma, che “ospita la più grande sala di arte aperta al pubblico e, per questo, è protetto dal Ministero dei Beni Culturali”. A ben vedere, l’atmosfera dinamica e liquida dei Caffè, anticipando i tempi, avrebbe pure posto le basi per la parità di genere: “Alle donne, con il passare dei secoli, verranno riconosciuti pienamente i diritti, oltre il mero lavoro di pulizia, di cucina o di prostituzione e intrattenimento”. Ed è così che si arriva a oggi. Com’è cambiato il ruolo dei Caffè? La questione centrale riguarda il turismo di massa: il fenomeno ha globalizzato e internazionalizzato “lo stimolo alla socialità e alla conversazione” o ne ha limitato l’esperienza all’usa e getta? La risposta del docente è doppia. “Questi luoghi manifestano ancora una solidarietà sociale nei termini di accoglienza di persone in difficoltà, disoccupati, precari, anziani, diversamente abili. Restano una palestra di socialità, anche per i giovani. Ricerche sociologiche recenti dimostrano che i ragazzi dai 18 ai 25 anni necessitano dell’incontro, per commentare e confrontarsi su quanto postato o letto sui social”. D’altra parte non si può evitare una considerazione sul profitto, vero nucleo del moto perpetuo della nostra economia: “In questi luoghi l’innalzamento dei prezzi è evidente. Ed è un punto importante soprattutto per i giovani, che spesso non riescono ad ordinare prodotti in Caffè storici di città metropolitane” (in quel di Venezia, un caffè può arrivare a costare anche 6 euro). Questo, come altri testi del docente – che è pure chercheur associé del laboratorio CERLIS della Sorbona di Parigi e Direttore della collana ‘Teoria sociale’ per l’editore Orthotes – vanno ricondotti all’orizzonte di ricerca dominante della sua carriera: il ruolo delle emozioni nelle interazioni sociali contemporanee. “Il tentativo è quello di provare a capire come le emozioni creino il legame sociale. Cioè come, attraverso la regola sociale e le forme di potere, ci troviamo costretti a mettere in scena e a recitare determinate emozioni piuttosto che altre. Non è una questione biologica, perché è il palcoscenico sociale sul quale recitiamo che ci impone la manifestazione di certi comportamenti corporali, abiti e linguaggi”.

Claudio Tranchino

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