Fusione pulita: il ruolo del gruppo di ricerca multidisciplinare federiciano

“Lavorare su queste tematiche di frontiera è una bella sfida”, afferma il prof. Gianmaria De Tommasi in Giappone per la cerimonia di inaugurazione ufficiale del tokamak JT-60SA

Il Dipartimento di Ingegneria Elettrica e delle Tecnologie dell’Informazione (Dieti) ha ospitato, dal 20 al 24 novembre, a pochi giorni dalla cerimonia di inaugurazione ufficiale del tokamak (termine che indica una macchina adatta a produrre e contenere un plasma termonucleare) giapponese JT-60SA, lAdvanced Course on Plasma Control & CODAC, un corso tenuto nell’ambito della Scuola di Dottorato in Fusion Science and Engineering coordinato dal prof. Gianmaria De Tommasi, docente di Automatica al timone dei Corsi di Laurea Triennale e Magistrale in Ingegneria dell’Automazione. Le lezioni si sono tenute parte in presenza e parte da remoto.
Hanno partecipato circa 40 giovani ricercatori, la metà dei quali in presenza, provenienti da vari Atenei italiani (Federico II, Padova, Catania, Tuscia) e stranieri. Hanno seguito le lezioni anche ricercatori del CNR, di ITER (un progetto internazionale che si propone di realizzare un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale) e dipendenti dell’ENI. L’iniziativa è stata sostenuta anche dal Consorzio CREATE, che da più di 30 anni svolge attività di ricerca ai massimi livelli nell’ambito della fusione termonucleare controllata.
Un tema quest’ultimo di grande attualità perché la fusione nucleare è considerata dagli studiosi una ipotesi promettente ai fini della ricerca di energie diverse da quelle fossili nell’ottica della limitazione delle emissioni che concorrono a determinare alterazioni climatiche.
In sostanza, per voltare pagina rispetto al carbone, al metano e al petrolio, responsabili in buona misura dell’effetto serra. La Federico II è presente con alcuni ricercatori in taluni progetti che riguardano proprio questo settore. “Provengono dalla Federico II – dice il prof. De Tommasi – cinque componenti della squadra europea di circa 20 persone che ha seguito la prima fase di sperimentazione del reattore giapponese JT-60SA, nel quale si è ottenuto il primo plasma. Tre sono del Dieti (oltre a me i professori Alfredo Pironti e Massimiliano Mattei) e due sono dottorandi: Domenico Frattolillo (del dottorato Fusion Science and Engineering) e Federico Fiorenza (del dottorato Information Technology Electrical Engineering), che è coordinato dal prof. Stefano Russo. È la testimonianza del ruolo che il gruppo di ricerca multidisciplinare della Federico II ricopre in tutti i maggiori progetti internazionali legati al mondo della fusione pulita”.
Il dottorato di ricerca in Fusion Science and Engineering, informa il docente, “è attivo da almeno venti anni. Napoli vi partecipa da cinque anni e i docenti fanno parte del Collegio di dottorato. Finanziamo un certo numero di borse di studio. Altre le garantisce l’Università di Padova ed altre ancora aziende ed enti esterni. Coloro che conseguono il dottorato si collocano poi nel mondo della ricerca e dell’università o in grandi gruppi aziendali. Prevalentemente, come è ovvio, del settore energetico”.

La fusione nucleare come fonte energetica

Si dibatte molto sulle potenzialità per il futuro della fusione nucleare come fonte energetica. “È una strada molto promettente – conferma il docente – sebbene non sia ipotizzabile che si concretizzi prima di alcuni decenni, diciamo di qui a cinquant’anni. Potrebbe però rappresentare una delle soluzioni del futuro per garantire la transizione e poi l’abbandono delle fonti energetiche climalteranti”. I vantaggi della fusione nucleare rispetto alla fissione, la tecnologia attualmente consolidata negli impianti nucleari: “Se si perde il controllo di un reattore a fusione, questo si spegne. Quello a fissione no, solo quando ha esaurito il carburante. I tempi di dimezzamento della radioattività del trizio, poi, il materiale che dovrebbe essere impiegato negli impianti nucleari a fusione, sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli dei combustibili che si adoperano negli impianti nucleari a fissione”.
Perché, dunque, non si costruiscono già su vasta scala centrali nucleari a fusione? Non è così semplice, precisa il prof. De Tommasi, per vari motivi: “Uno di essi è che il trizio è molto poco diffuso in natura. Credo ce ne siano pochi chili in tutto il mondo. Lo si può ricavare dal litio, ma ovviamente va sempre considerato anche il bilancio energetico necessario a ottenerlo e poi ci sono altri fattori. In ogni caso, ripeto, la strada della fusione nucleare è estremamente promettente e la ricerca sta realizzando sempre nuovi passi in avanti”.
Avverte: Non esistono soluzioni miracolose e nell’ottica di ridurre le emissioni inquinanti sempre più si pensa ad un ventaglio di ipotesi differenti. In una fase di transizione verso l’abbandono delle energie fossili giocano un ruolo importante anche le tecnologie per efficientare il funzionamento dei sistemi e ridurre le emissioni. Conterà sempre di più, inoltre, la presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica della necessità di adottare taluni comportamenti e di evitarne altri. In Europa e in Occidente, ma soprattutto nei Paesi poveri o ex poveri”. Conclude con una nota personale: “Lavorare su queste tematiche di frontiera è una bella sfida e mi permette di muovermi in un contesto internazionale. Ora sono in Giappone e mi confronto con ricercatori ungheresi, francesi, portoghesi oltre che giapponesi. È un’occasione stimolante di apertura e crescita e una bella soddisfazione”.
Fabrizio Geremicca

Ateneapoli – N.19 – 2023 – Pagina 10

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