Il camice bianco, un sogno da vivificare ogni giorno

È per lui che si portano i libri sotto l’ombrellone d’estate in vista del test d’ingresso. Sempre per lui ci si assume il rischio di un anno sabbatico in attesa dell’occasione successiva. È ancora per lui che si superano scogli come Anatomia, Farmacologia, Biochimica battendoci la testa anche più e più volte. È con ostinazione, per lui, che si accetta di studiare per un decennio. Il camice bianco. Un sogno da vivificare ogni giorno. A partire dal primo. Proprio lì, al Policlinico, una vera cittadella dove ogni giorno fiumi di professionisti della sanità, docenti e pazienti corrono da una parte all’altra.
E nel Policlinico studentesse e studenti di Medicina hanno la propria roccaforte nell’Edificio 20 e in quelle piccole isolette sparse in tutta l’area allestite appositamente per studiare, fare pausa, chiacchierare. Magari per estraniarsi dal caos. E non si può partire che dal principio, se la premessa è il sogno: l’emozione della prima volta. O meglio del primo giorno: “difficile da descrivere, ti trovi lì e pensi di aver ottenuto quello che bramavi da tanto, però ti poni anche un sacco di domande e ti senti sopraffatta dalla paura perché la strada è lunga e impegnativa: ce la farò? Sarò in grado di inserirmi?”.
Giunta al terzo anno, Roberta, 22 anni, ha trovato anche le risposte: “Pian piano ce la sto facendo e sono contenta”. Mettendo mano ai ricordi le viene subito in mente l’esame di Biologia: “è stato il primo davvero tosto, soprattutto perché molto voluminoso. Non nascondo di averlo affrontato in maniera tossica, studiando giorno e notte; infatti con il senno di poi dico che non ci si deve annientare per l’università”.
L’ultima soddisfazione in ordine di tempo è stata Anatomia: “ce l’ho fatta, è stato un interrogatorio di 45 minuti”. Il commento è quasi sorprendente, vista la fama (negativa) che lo precede: “il nemico dello studente è l’altro studente; a volte ci facciamo condizionare da allarmismi del tutto ingiustificati”. Ci sarebbero dei problemi, invece, con spazi e strutture, “poche e malmesse”, d’inverno “siamo tantissimi ed è una battaglia accaparrarsi un posto”.
Intristito dalla pioggia e macchiato dal Covid e il suo marchio di fabbrica – le mascherine – è stato proprio così il primo giorno di Vittorio Veduto, 22 anni, iscritto al quarto anno. Eppure la situazione non ha potuto esercitare alcun potere di sottrazione sull’emozione: “ricordo perfettamente l’accoglienza ricevuta in Aula Magna, è stato bellissimo”. E pronti via, bisogna subito calarsi nella mentalità dello studente, perché l’acquisto del fonendoscopio personalizzato è lontano. Almeno fino a quando non si portano a casa gli esami.

41 esami “è impossibile pensare di dare il 200% ogni volta”

Non a caso Vittorio ha ancora davanti agli occhi Farmacologia 1 e 2, che hanno richiesto uno sforzo di memoria incredibile “per associare nomi particolarissimi ad effetti collaterali specifici. Davvero difficile. E non dimentico Anatomia – manco a dirlo. Proseguendo poi si incontrano pure gli esami di clinica al quarto anno che non scherzano affatto, impongono un approccio totalmente diverso”.
Insomma, è proprio vero: tra gli obblighi di frequenza delle lezioni, i tirocini e lo studio ci vuole tanta organizzazione; ma lo studente invita anche a dare il giusto peso alle cose. “Certo, bisogna impegnarsi, però eviterei di costruire castelli di carta inutili su difficoltà che magari nemmeno esistono. Parliamo di un Corso costruito su 41 esami spalmati a loro volta su sei anni, è impossibile pensare di dare il 200% ogni volta”.
Mariassunta si è inceppata su Biochimica, esame del primo anno. “Sono al terzo e ancora non sono riuscita a darlo: il programma è vastissimo ed altrettanto difficile da capire, ci vuole tantissimo tempo a comprendere i meccanismi. Avrei voluto sostenerlo quest’anno, ma niente; mentalmente mi sento un po’ bloccata e non sono molto soddisfatta del mio percorso”. Ha qualcosa da ridire sulla struttura del secondo semestre del primo anno Andrea, oggi al quinto. “All’improvviso ti arrivano di botto 1500 pagine da studiare degli esami di Biochimica e Biologia. Paradossalmente mi ha aiutato il lockdown: chiuso in casa ho studiato mattina e sera”. Su Basi della Medicina, sempre del primo anno, dice: “è un non esame per me, perché dovrebbe introdurre la medicina ma serve a poco”.
La vera critica dello studente, però, è rivolta tutta al tirocinio: “sono cinque giorni buttati alla rinfusa in un intero semestre e, inoltre, spesso i docenti non è che siano così contenti di averci tra i piedi. Magari in una stanza con un paziente ci troviamo in dieci”. Si fa davvero pratica con l’internato previsto per la tesi, che si basa su una scelta personale: “i professori ti conoscono meglio, ti aiutano a capire, ti portano in sala operatoria. Io ho scelto di fare l’elaborato finale su chirurgia vascolare”.
D’accordo con il collega Alessandra Tortoriello, 28 anni, al sesto anno. Che dice: “facciamo pochissima pratica, il rischio è di uscire senza saper fare un’iniezione o misurare la pressione se non ci si dà da fare da soli all’esterno”. Poi aggiunge: “uno dei più grandi problemi di Medicina è che molti esami non solo prevedono uno scritto molto selettivo, ma pure tre, quattro prove orali. E se si fallisce in una delle ultime bisogna ripartire da zero. Non lo trovo giusto. Penso a Neurologia, Neurochirurgia, Psichiatria e Radioneurologia: un unico esame suddiviso in una prova scritta e quattro orali. Comunque, con il tempo ci si abitua”. Infine un consiglio: “vivere tanto l’università dà una marcia in più”.
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Guida Universitaria – Pagina 36

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