Una mente che cresce troppo in fretta, un esperimento che promette felicità ma genera solitudine, un topolino come alter ego silenzioso. Il Topolino Crick è il titolo della lezione-spettacolo andata in scena il 22 maggio nell’Aula T1 di via Marina 33. Un evento che ha intrecciato teatro, filosofia, psicologia ed educazione, promosso dal Dipartimento e rivolto a studenti e studentesse dei Corsi di Laurea in Coordinamento dei servizi educativi per la prima infanzia e per il disagio sociale, Psicologia, Discipline della Musica e dello Spettacolo, Management del Patrimonio Culturale e Archeologia e Storia dell’Arte.
“Il teatro ci permette di veicolare un messaggio: è un dispositivo informativo e, al tempo stesso, uno strumento che dinamizza la dimensione psicologica, suscitando emozioni, sentimenti, affetti, ma anche riflessioni”, ha sottolineato in apertura la prof.ssa Francesca Marone, Coordinatrice del Corso di Laurea in Coordinamento dei servizi educativi per la prima infanzia e per il disagio sociale.
Ai saluti iniziali si è unita la prof.ssa Maria Clelia Zurlo, Coordinatrice della Triennale in Scienze e Tecniche Psicologiche: “Credo profondamente nel valore formativo del teatro. Ritengo fondamentale che futuri psicologi, terapeuti ed educatori possano fruire del teatro e della letteratura: strumenti che aiutano a pensare, elaborare, comprendere. L’importante è partire da queste esperienze e collegarle ai modelli teorici, affinché diventino metodo”.
La messinscena, ambientata in una Napoli contemporanea – per la regia di Rosario Sparno e la produzione di Casa del Contemporaneo – è un libero adattamento del romanzo Fiori per Algernon di Daniel Keyes. La scrittura è di Francesco Silvestri e Medina Formicola. Sul palco, Luca Iervolino (nei panni di Antonio Cafiero) e Francesco Roccasecca (dottor Coletti). Una performance intensa, capace di emozionare e far riflettere nella quale si narra la vicenda di Antonio Cafiero, un giovane con disabilità cognitiva che desidera essere ‘normale’, intelligente, come avrebbe voluto sua madre. A offrirgli questa possibilità è un esperimento scientifico che promette di triplicare il suo quoziente intellettivo. Compagno di viaggio e punto di riferimento è Crick, topolino da laboratorio sottoposto allo stesso trattamento.
La mente di Antonio si espande, acquisisce nuove capacità, ma con esse arriva anche una consapevolezza che diventa insostenibile: il rifiuto, la solitudine, la distanza crescente dagli altri. Quando scopre che l’esperimento è destinato a fallire, Antonio affronta la regressione con una nuova dignità, forse più autentica. Resta un’eco dolente e poetica di ciò che avrebbe potuto essere. “Silvestri e Formicola scrissero questo testo nel 1987 e lo portarono in scena anche nel 1990. Oggi lo rileggiamo con occhi nuovi – ha spiegato Sparno – Questo immaginario di supereroi, intelligenze potenziate e solitudini profonde assume oggi un senso ancora più visionario”.
Standing ovation e un vivace dibattito
Dopo la rappresentazione, accolta da una standing ovation, si è svolto un vivace dibattito collettivo con studenti, docenti e attori. Tra gli intervenuti, oltre alla prof.ssa Marone, il prof. Francesco Cotticelli, Coordinatore della Magistrale in Discipline della Musica e dello Spettacolo, e la prof.ssa Mariarosaria De Simone, docente di Pedagogia generale e sociale. Molti i temi toccati: la medicalizzazione della diversità, lo stigma, l’isolamento, l’intelligenza come difesa dal dolore, la solitudine emotiva. “Nel protagonista si manifesta chiaramente un meccanismo difensivo: l’iper-intelligenza come sublimazione di un dolore profondo – ha osservato De Simone – Ma questo potenziamento non basta a salvarlo, anzi lo isola ulteriormente. È il fallimento di una società che premia la performance a scapito della complessità umana”.
Il dibattito si è allargato anche alle questioni della salute mentale e del disagio psichico, ribadendo l’urgenza di affrontarle attraverso linguaggi alternativi. “Negli anni Ottanta e Novanta se ne parlava molto. Oggi meno, ma i dati dell’OMS mostrano un aumento del disagio, soprattutto dopo la pandemia – ha ricordato Marone – È fondamentale parlarne, anche attraverso il teatro”.
Decisive anche le riflessioni sul bisogno di superare una concezione riduttiva dell’intelligenza, ancora troppo spesso legata alla sola dimensione logico-matematica. “Siamo immersi in una cultura che continua a premiare esclusivamente certe forme di intelligenza, svalutando invece i saperi corporei, affettivi, relazionali – ha osservato Marone – La teoria delle intelligenze multiple di Gardner ci ha aiutati a riconoscere e valorizzare queste intelligenze ‘altre’.
Oggi più che mai è necessario farlo, per restituire complessità e dignità alla persona”. Non sono mancati i quesiti esistenziali: dove si nasconde la felicità? Quando la coscienza si trasforma in consapevolezza autentica? Ma, come ha ricordato il prof. Cotticelli, “il teatro non è una risposta, è una domanda. La sua forza sta proprio nel lasciare questioni sospese, che ci obbligano a pensare anche quando preferiremmo non farlo”. Il dibattito ha toccato infine anche il ruolo dell’attore e l’importanza della formazione teatrale. “Chi lavora in questo ambito deve saper leggere e restituire la fragilità umana. E per farlo servono competenze – ha sottolineato ancora Cotticelli – Il teatro è un ecosistema. Va studiato, rispettato, valorizzato. Serve un’educazione teatrale per formare un pubblico consapevole”.
Il sipario si è chiuso con un annuncio e un auspicio condiviso. Gabriella Galbiati, responsabile dell’ufficio stampa della compagnia, ha annunciato: “Crick sarà in scena nei teatri di Napoli a partire da novembre”. Da parte dei docenti è emerso un desiderio forte: “Sarebbe bello veder nascere un vero Teatro di Ateneo. Uno spazio per formarsi, esprimersi, creare connessioni tra persone e saperi – ha concluso Marone – Perché il teatro, se è davvero educativo, è sempre anche relazione”.
Giovanna Forino
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Ateneapoli – n. 10 – 2025 – Pagina 20