Si estende per 2.215 ettari, circa un quinto del territorio di Napoli, nella parte nord-occidentale della città, al centro dell’area metropolitana.
Il Parco delle Colline Metropolitane è un polmone di verde ed una risorsa di biodiversità che certamente meriterebbe di essere maggiormente fruito e meglio valorizzato attraverso – tra l’altro – la realizzazione di sentieri percorribili e la repressione dell’abbandono di rifiuti che ancora si verifica in alcune zone.
Il Parco inizia dalle pendici dei Camaldoli, che delimitano a nord le conche dei Pisani e di Pianura, comprende la collina dei Camaldoli, la selva di Chiaiano, il vallone San Rocco, lo Scudillo, la collina di San Martino.
Fuori del perimetro, ma in stretta contiguità con esso, ci sono: a ovest, la frazione napoletana del Parco regionale dei Campi flegrei (Posillipo, Agnano e Pianura); a est, il bosco di Capodimonte.
Il Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse ha stipulato una convenzione con l’Ente parco, attualmente affidato al commissario Antonio Gebbia.
La riserva naturale finanzierà con 70.000 euro un progetto che durerà 30 mesi e coinvolgerà due borsisti ed il gruppo di ricerca del prof. Pasquale Raia, un biologo, che è composto da 5 persone.
“Partiremo – informa il docente – da un monitoraggio della flora e della fauna. Nel Parco, per esempio, ci sono alcune specie di pipistrelli e diverse di uccelli. Elaboreremo poi modelli di distribuzione delle diverse specie per capire quali siano le esigenze climatiche. Utilizzeremo successivamente modelli di proiezioni climatiche secondo scenari che tengano conto della nostra capacità o meno di diminuire l’utilizzo di combustibile fossile, il quale come è ormai ampiamente noto ha effetti climalteranti a causa delle emissioni di Co2 in atmosfera. Tutto ciò al fine di valutare la sensibilità delle varie specie animali e vegetali che frequentano il Parco delle Colline Metropolitane al cambiamento climatico”.
A valle dello studio, potrebbero essere elaborati piani di mitigazione relativi, per esempio, all’approvvigionamento idrico supplementare o alla creazione di nuove zone di ombra.
Si tratta, secondo quanto riferisce il docente, di un progetto pilota. “Se funzionerà e darà buoni risultati – dice il prof. Raia – potrebbe essere applicato anche a parchi e riserve naturali più grandi del Parco delle Colline Metropolitane”. L’iniziativa parte da una domanda: “Ci siamo chiesti cosa possono fare i parchi naturali rispetto ai cambiamenti climatici. Certo, la fauna presente al loro interno può spostarsi per cercare condizioni più adatte, ma il Parco si depaupera. La flora, poi, non può neanche spostarsi. Davanti all’evidenza che il mutamento climatico non è più solo un’ipotesi, ma sta avvenendo qui ed ora, per di più a ritmi e velocità persino superiori rispetto alle previsioni della comunità scientifica, chi gestisce le aree protette dovrà affrontare il problema di adottare interventi di mitigazione”.
Chiarisce: “Se vado incontro a sempre più frequenti periodi con 80 giorni di caldo intenso e mancanza di pioggia, devo immaginare di fornire acqua ed ombra alle specie che sono presenti nell’area protetta che gestisco. Devo però modulare gli interventi sulla base delle diversificate esigenze delle specie, perché non tutto va bene per tutti”.
Proprio per questo, conclude Raia, “è importante che i parchi siano affidati a naturalisti, ad esperti che conoscono le dinamiche dei sistemi naturali. Occorrono persone dotate di competenze specifiche, perché il fine primario di una riserva naturale è la tutela della biodiversità. Per tutelare, però, occorre conoscere”.
Fabrizio Geremicca
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Ateneapoli – n. 5 – 2025 – Pagina 21