“L’iniziativa è nata per ringiovanire prima di tutto me stesso come docente e per sperimentarmi con una didattica innovativa. Per me è stata pure una occasione per ascoltare i giovani ed osservare come raccontano le cose”. Il prof. Massimo Visone, che insegna Storia dell’architettura contemporanea, un corso del primo anno, racconta perché ha deciso di coinvolgere gli studenti in un percorso didattico particolare, nel quale si invertono i ruoli e sono gli allievi a salire in cattedra per raccontare ai propri coetanei alcuni dei grandi classici della Storia dell’architettura del Novecento.
Il 5 novembre si è svolto il primo incontro. Sabrina Palermo, Deborah Pirozzi, Rebecca Squillante, Francesca Vinci e Giuseppe Zampino hanno esposto in una delle aule di via Forno Vecchio, presente la prof.ssa Maria Cerreta, Coordinatrice del Corso di Laurea quinquennale in Architettura, temi e problemi sollevati dal testo ‘Parole nel vuoto’, di Adolf Loos. La mattinata si è conclusa in allegria, con i rustici acquistati dal docente e con un brindisi – “giusto un goccio beneaugurante”, tiene a precisare il prof. Visone – e la generale soddisfazione delle ragazze e dei ragazzi che hanno partecipato.
“Ho pensato – spiega il docente – di prendere i 4 manuali fondamentali di architettura del Novecento e di chiedere chi tra gli studenti fosse disponibile a leggerli e raccontarli. Mi è venuta questa idea per mettere gli allievi in condizione di vivere un’esperienza di discorso in pubblico. Ho dato dei limiti, delle indicazioni: tempi contingentati. È importante per stimolarli ad acquisire capacità di sintesi. Una dote che tornerà loro utile in diverse occasioni. È indispensabile se vai a sostenere un colloquio di lavoro ed è fondamentale anche se devi presentare un progetto ad un committente. Non si può e non si deve debordare”.
La proposta di lettura era su base volontaria, nel senso che esulava dal programma. “Mi aspettavo per questo motivo – confessa il docente – una risposta abbastanza tiepida da parte degli studenti, anche perché avevo messo in chiaro che la partecipazione al progetto didattico non sarebbe valsa come prova intercorso ai fini dell’esame. Mi sono dovuto ricredere e ne sono molto contento. Si sono proposti molti studenti e per questo ho dovuto programmare la lettura di altri volumi, oltre ai tre che avevo già previsto. Solo tre libri per trenta persone, tanti sono quelli che hanno dato la propria disponibilità, sarebbe stato riduttivo. I libri sono dunque diventati 7. Quattro trattati e tre testi trasversali che intercetteranno il corso degli studi in ambito di restauro, progettazione ed urbanistica. Ho formato una decina di gruppi.
Il libro di Loss ha inaugurato la serie ed ho chiesto ai partecipanti al progetto di leggerlo con gli occhi di studenti del 1908, per capire quanto sia stato innovativo e dirompente”. Nei prossimi appuntamenti saranno coinvolti giovani dottorandi: “Parteciperanno alla discussione in una dimensione informale. Vorrei che ci confrontassimo come in un salotto”.
Aggiunge: “Mi piacerebbe in una seconda fase coinvolgere gli studenti anche in progetti di scrittura in relazione ai libri, perché scrivono poco. Eppure è fondamentale per un architetto, sia durante la fase della laurea, sia successivamente, in ambito professionale”.
Storia dell’architettura contemporanea, come si diceva, è un corso del primo anno. Lo affrontano, dunque, ragazze e ragazzi i quali hanno da pochi mesi abbandonato la scuola e vivono la prima fase della propria esperienza universitaria. Come affrontarlo nel migliore dei modi? “Con mente aperta – risponde il docente – e senza pregiudizi. Vero è che è generalmente più facile comprendere l’architettura classica e moderna rispetto a quella contemporanea, ma è anche vero che il viaggio nel Novecento può risultare molto stimolante e ricco di sorprese. Ho portato gli studenti al Madre, qualche settimana fa, per un primo approccio all’architettura e all’arte contemporanea. Mi auguro che quando andremo tutti insieme di nuovo lì, a fine corso, potranno osservare le opere contenute nel museo con diversa consapevolezza”.
Complica a volte la circostanza che “i ragazzi dell’ultimo anno delle superiori raramente si spingono con lo studio oltre la seconda guerra mondiale. Arrivano con lacune notevoli su tutto ciò che è accaduto dagli anni Cinquanta in poi”. In qualità di docente del primo anno, Visone rileva anche un’altra criticità tra gli studenti: “Questa è una generazione – argomenta – che ha difficoltà a mantenere a lungo il livello di attenzione alto. È un problema e su questo bisogna lavorare tanto. Tanti studenti dopo pochi minuti si distraggono, si deconcentrano. Mi sono posto come obiettivo quello di portare la classe a mantenere per due ore il livello di attenzione adeguato ad una lezione universitaria”.
Fabrizio Geremicca
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Ateneapoli – n.18 – 2024 – Pagina 10