Lezioni coinvolgenti e insegnamenti che forniscono gli strumenti per favorire l’integrazione scolastica, anche di alunni con disabilità. Si calano da subito nella realtà della professione futura gli studenti di Scienze della Formazione Primaria, Corso al primo anno di attivazione presso il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali della Vanvitelli. Spinti dalla passione per il mondo dell’infanzia, hanno scelto questo Corso di Laurea (Magistrale a ciclo unico) abilitante alle professioni di insegnante di scuola dell’infanzia e di scuola primaria Michela Esposito e Giovanni Durso.
“Abbiamo realizzato testi in forme di scrittura adatte ai dislessici, tracce audio utilizzando la nostra voce”, riferiscono gli studenti sottolineando come nelle attività didattiche si punti molto all’inclusione scolastica di bambini con DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder) e BES (Bisogni Educativi Speciali). Nonostante i tirocini formativi siano programmati dal secondo anno, ci si interfaccia con la scuola da subito. Insieme ai docenti gli studenti co-costruiscono progettazioni didattiche, misurando, anche attraverso sistemi valutati in letteratura, i risultati ottenuti sul campo. Ciò li rende capaci di rapportarsi con un target di età molto delicato, che va dai 3 ai 6 anni (scuola dell’Infanzia) e dai 5 ai 10 anni (scuola Primaria).
“Somministreremo dei questionari agli alunni, con il consenso dei loro insegnanti, per realizzare una ricerca da esporre in sede d’esame al professore, accanto ad altre forme valutative”, raccontano Michela e Giovanni. L’esame in questione è Metodologia della ricerca educativa e didattica (nel piano di studi, tra le altre materie Storia Antica, Inglese, Antropologia Culturale, Pedagogia Generale e dello Sviluppo), docente il prof. Davide Di Palma che insegna anche Didattica Generale. Il quale conferma: alcuni gruppi di studenti stanno lavorando al proprio progetto sperimentale utilizzando il PIQ (Perseptions of Inclusion Questionnaire), questionario validato in letteratura che dà l’opportunità di misurare il grado di inclusione all’interno di un determinato sistema.
“Anche se ai fini della ricerca potrebbe non essere significativo, è significativa l’esperienza che gli studenti vivono: la consapevolezza che uno strumento che oggi utilizzano per una sperimentazione, un domani verrà utilizzato automaticamente per valutare e pesare se anche la loro azione didattica è efficace in termini inclusivi”, sottolinea il docente. Gli studenti, dunque, apprendono i processi di autovalutazione che ogni docente dovrebbe mettere in atto: “parliamo di pedagogia dell’errore non solo riferita allo studente ma anche al docente, della comprensione di poter sbagliare e di rimettersi in gioco”.
Durante le lezioni il prof. Di Palma usa il metodo del flipped learning: il ‘capovolgimento’ in contesto didattico, in cui lo studente assume un ruolo di docenza. Ciò serve a far acquisire autonomia e consapevolezza di sé stessi.
Gli studenti prendono parola, diventano parte attiva del processo didattico: “dovrebbero imparare a non aver paura di esprimersi, di collaborare tra di loro. È più importante mirare alla costruzione valoriale, che è ciò che chiediamo a loro come futuri docenti, piuttosto che svolgere lezioni canoniche e monodirezionali”.
Benché il primo semestre prevedesse un corso basato principalmente sulla didattica e il secondo su quelli che sono gli aspetti della tecnologia legata alla didattica, emerge chiaramente il tema della cultura dell’inclusione. “Abbiamo cercato di far comprendere che ogni abilità va valorizzata e su ogni abilità si può e si deve lavorare.
Abbiamo ritenuto opportuno sin dal loro primo anno iniziare a trasmettere agli studenti la consapevolezza che bisogna lavorare su quelle che sono le criticità che si troveranno difronte nel mondo della scuola”, afferma Di Palma. Quando si parla di inclusione, si parla non solo di disabilità, ma anche dell’ambiente multiculturale ed eterogeneo che è oggi la scuola. La diversità da valorizzare può avere tantissime sfaccettature e forme. Così il piano di studi prevede per gli anni successivi una serie di insegnamenti dedicati esclusivamente a questo tema: “si parlerà di strategie didattiche dedicate a favorire l’inclusione”.
L’obiettivo è che la pratica vada di pari passo con la teoria, “ed è questo il presupposto per cui noi iniziamo a discutere di cultura dell’inclusione sin dal primo anno, affinché i futuri tirocinanti, e poi futuri docenti, ne siano promotori”, conclude Di Palma.
Angelica Cioffo
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Ateneapoli – n. 8 – 2025 – Pagina 30