Il caso Julian Assange a Giurisprudenza

Ospite la prof.ssa Marina Castellaneta, docente a Bari, giornalista, curatrice di un blog sui temi del Diritto Internazionale

175 anni di carcere. Questa è la pena a cui rischia di essere condannato Julian Assange, cofondatore di WikiLeaks, nel caso in cui dovesse essere estradato negli Stati Uniti. È il trattamento previsto dal cosiddetto Espionage Act, che tratta appunto i casi di violazione del segreto di Stato. Una vicenda giudiziaria lunga e complessa, che la cattedra di Diritto internazionale della prof.ssa Maria Chiara Vitucci ha voluto ripercorrere nell’incontro “Il caso Assange alla luce del diritto internazionale”, svoltosi presso l’aulario di via Perla lo scorso 25 ottobre con un grande favore di pubblico. Relatrice dell’incontro è stata la prof.ssa Marina Castellaneta, docente di Diritto internazionale dell’Università di Bari ‘Aldo Moro’, mentre alcuni interventi sono stati di pertinenza del prof. Andrea Saccucci, anch’egli docente della disciplina e fondatore dello studio legale internazionale Saccucci&Partners. Avvocata e giornalista, Castellaneta è curatrice di un blog che contiene centinaia di articoli sui temi del Diritto internazionale, compresi i diritti umani e la libertà di stampa. Proprio questi ultimi sono stati al centro dell’incontro, che in due ore ha toccato i punti salienti della vicenda Assange, cercando di chiarire le posizioni delle parti e individuare le responsabilità concrete. La vicenda è nota. Nel luglio del 2010 il sito del giornalista australiano pubblica l’“Afghanistan War Diary”, un compendio di 90mila documenti top secret di proprietà del governo statunitense che rivela crimini di guerra condotti dalle forze armate. Dopo la pubblicazione di altri 400mila documenti, stavolta sul conflitto iracheno, Assange deve rifugiarsi e riceve asilo nella piccola ambasciata ecuadoregna a Londra. Molte le accuse rivoltegli, tra cui quelle svedesi relative ad alcuni presunti stupri. Da quel momento, il 2012, comincia la prigionia ‘volontaria’, ma forzata, di Julian Assange, che terminerà solo nel 2019, quando il governo ecuadoregno di Moreno revocherà la sua concessione di asilo. Quali sono, dal punto di vista del Diritto internazionale, i punti essenziali di questa vicenda? “Dobbiamo considerare prima di tutto una cosa importante – ha detto la prof.ssa Castellaneta – Julian Assange ha violato una legge degli Stati Uniti, ma in questo modo ha svelato i crimini di guerra che le forze armate stavano mettendo in atto contro i civili. Ci troviamo in presenza di un giornalista, quindi, che fa il proprio lavoro secondo i principi democratici della libertà d’espressione e di stampa, che viene punito proprio perché ha fatto il proprio lavoro”. In merito alla libertà d’espressione nella professione giornalistica si è espressa la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, con apposite sentenze, ha rimarcato anche l’importanza della protezione delle fonti. Ma nel caso Assange la segretezza della fonte non è stata rispettata. “Durante lo stato di ‘detenzione arbitraria’ – ha detto la docente rifacendosi alle parole usate da un gruppo delle Nazioni Unite – il giornalista è stato spiato, le sue conversazioni telefoniche sono state intercettate, le persone che si recavano in visita venivano controllate”. Arrestata con l’accusa di essere la talpa, infatti, Chelsea Manning, la militare transgender che all’epoca dei fatti lavorava come analista di intelligence in Iraq. L’accusa per lei è stata di aver trafugato decine di migliaia di documenti riservati e di averli trasmessi a WikiLeaks. Incarcerata in condizioni detentive ritenute lesive dei diritti umani, Manning venne condannata a 35 anni di carcere, ma rilasciata sette anni e quattro mesi dopo, nel gennaio 2017, per grazia del presidente uscente Barack Obama. È stato poi spiegato dalla prof.ssa Castellaneta che la richiesta di estradizione non è così semplice da approvare. “Per poter procedere è necessario che sussistano alcuni requisiti. L’imputazione ascritta al soggetto deve essere considerata un reato da entrambi i paesi (quello in cui si trova il soggetto e quello che ne ha richiesto la consegna); in secondo luogo la pena non deve essere inferiore a un anno e, in ultimo, non deve essere per motivi politici. Il motivo è facilmente intuibile: “Il soggetto potrebbe essere sottoposto a trattamenti brutali e degradanti nel paese di consegna, cioè, a una violazione dei diritti umani”. Ciononostante l’approvazione del Regno Unito è arrivata, prima dalla Corte Suprema britannica in marzo, poi dal Ministro dell’Interno Priti Patel lo scorso giugno. L’unica carta che il giornalista può giocare è a questo punto il ricorso in appello, ma si intuisce che questa lunga, contorta e ambigua vicenda giudiziaria stia per giungere al suo epilogo. Comunque finisca però, “il caso ha fatto sorgere molti interrogativi su quale sia il limite entro cui può agire la libertà di stampa, e su quale sia la possibilità dei giornalisti di difendersi dall’ingerenza dei governi”, ha spiegato la docente. “Una cosa è certa, i governi fanno sempre quanto in loro potere per tentare di limitare l’influenza della stampa. La Corte di Giustizia europea, però, è stata molto chiara, affermando che in determinati casi il giornalista può entrare in possesso di informazioni di pubblico interesse anche in modo ‘illegale’. È alla luce di questi fatti che si dovrà appurare la responsabilità di Assange, sulla cui testa pendono ad oggi 18 capi d’imputazione”.

Nicola Di Nardo

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