Orfani di femminicidio, lo studio di Psicologia

Numerose sono le iniziative volte a contrastare la violenza di genere. Il numero dei femminicidi è incredibilmente alto, ma ci sono anche vittime invisibili, di cui difficilmente si parla e la cui condizione è strettamente legata alla violenza contro le donne: sono gli orfani di femminicidio. Se ne occupa il progetto quadriennale ‘Orphan of Feminicide Invisible Victim’, finanziato dalla fondazione ‘Con i bambini’, che è incaricata di gestire i fondi del governo a favore dei minori e dell’infanzia.
Più di un milione e mezzo di euro ripartiti in 4 progetti che vedono coinvolti numerosi partner tra università ed enti del terzo settore, suddivisi in quattro aree geografiche della penisola: nord-ovest; nord est; centro; sud e isole. Vi ha aderito il Dipartimento di Psicologia delle Vanvitelli – rientra nel progetto nord-est con Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino ed Emilia Romagna – Ne è responsabile la prof.ssa Silvia Galdi, docente di Psicologia sociale. “Parliamo di queste tematiche solo in concomitanza delle date simbolo riguardo alla violenza sulle donne – spiega Galdi – È invece un problema che richiede attenzione costante, perché la violenza operata contro le donne ricade su altre vittime involontarie, i loro figli. La violenza sulla madre, finanche l’omicidio, da parte di un padre che dovrebbe essere invece la figura della tutela, provoca nei figli un trauma psicologico che si protrae per tutta la vita e che richiede interventi mirati”.
È per questo che il gruppo di ricerca della Vanvitelli ha realizzato uno strumento volto a rilevare tutti i fattori precedenti, concomitanti e successivi all’evento traumatico. “Si tratta di un questionario – prosegue Galdi – al quale affianchiamo strumenti clinici come il CBCL, che misura le problematiche comportamentali. Lo scopo è valutare lo stato psicologico degli orfani e delineare un profilo dettagliato delle loro esigenze, stabilire cioè di cosa hanno bisogno in termini di elaborazione del trauma e adattamento a esso”.
Successivamente gli orfani di femminicidio, che vanno dai 2 ai 20 anni, vengono presi in carico da psicologi specializzati. “A metà del trattamento l’orfano viene sottoposto a nuovi test – riprende la docente – allo scopo di capire se stia avendo effetti positivi sulle aree che erano risultate compromesse all’epoca della presa in carico. Dunque il trattamento prosegue e, una volta concluso, si sottopone l’orfano a un’ultima indagine per verificarne l’efficacia”. La condizione degli orfani di femminicidio è stata spesso sottovalutata, osserva Galdi: “Si consideri la complessità di adottare un figlio e quanto siano stringenti i criteri per essere ritenuti idonei. Questo con gli orfani di femminicidio non accade. Tipicamente vengono affidati ai parenti materni che, colpiti anch’essi dallo stesso trauma (la perdita di una figlia o una sorella), non sono in grado di rispondere prontamente alle esigenze psicologiche dell’orfano, deteriorando ulteriormente e in modo involontario la sua condizione”.
L’obiettivo finale di questo lavoro “è individuare linee guida affidabili, attendibili e adottabili a livello nazionale sul trattamento e il sostegno degli orfani di femminicidio, i quali portano con sé traumi indicibili. È un lavoro complesso e delicato”.
Nicola Di Nardo
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Ateneapoli – n. 4 – 2025 – Pagina 29

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