Restauro dei giardini storici: occorre una conoscenza multidisciplinare “storica, botanica, architettonica”

Terzo incontro del ciclo seminariale “Paesaggi culturali tra tradizione e innovazione” il 30 aprile al Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale. Rivolto agli studenti della Magistrale a ciclo unico in Architettura, corso di Storia del giardino e del paesaggio, proseguirà fino al 28 maggio. Curato dal professore di Storia dell’architettura contemporanea Riccardo Serraglio e dall’architetto Raffaela Fiorillo, l’incontro ha visto protagonista l’architetto, ex studente dell’Ateneo, Carmine Maisto, che ha acceso i riflettori sulla complessa arte del restauro dei giardini storici dell’area napoletana e casertana.

“Il giardino è un organismo vivo – ha esordito Maisto – In Italia, però, esistono pochissime foreste realmente naturali: la maggior parte dei boschi sono frutto di coltivazione. Dalla gestione agricola si è passati a quella del giardino, che implica una conoscenza multidisciplinare – storica, botanica, architettonica – e una consapevolezza profonda del concetto di restauro filologico. Rifare un giardino significa trattare le piante nel rispetto delle loro esigenze, senza stravolgere l’identità storica del luogo”.

Un esempio di questa complessità – prosegue – è offerto dai giardini pensili: “uno spazio verde realizzato sopra superfici sopraelevate, come tetti, terrazze o coperture strutturali, e realizzabile in diverse modalità. Si possono usare vasche o contenitori, oppure si può costruire il giardino direttamente sulla copertura, utilizzando sistemi specifici per la gestione idrica, l’impermeabilizzazione e l’isolamento termico. Basti pensare ai giardini pensili di Babilonia, citati già da Erodoto. Il loro impianto idrico – ricostruito dagli studi di Stevenson sulla base delle fonti classiche – si basava su un ingegnoso sistema a noria (metodo di cui si trovano tracce in Oriente già a partire dal XIV secolo a.C.), che sollevava l’acqua attraverso ruote collegate a vasi d’argilla. L’acqua, distribuita per gravità tra i livelli terrazzati, raggiungeva ogni settore del giardino”.

Un modello che, secondo l’architetto, resta attuale anche oggi, soprattutto in un contesto di crisi climatica. “I giardini pensili sono sempre più richiesti, anche grazie agli incentivi fiscali – ha sottolineato Maisto – ma troppo spesso i progetti si ispirano a modelli nordeuropei, dimenticando che il Sud Italia deve fare i conti con problematiche ben diverse, prima fra tutte la siccità, aggravata nell’ultimo decennio. A guidare la progettazione non dovrebbe essere solo l’estetica, ma soprattutto il contesto climatico, che incide profondamente sulla scelta delle piante e sulla tipologia di intervento: estensivo, con vegetazione bassa e manutenzione ridotta, o intensivo, più simile a un giardino tradizionale per densità e necessità di cura”.

Un esempio concreto dell’importanza di un approccio progettuale consapevole, legato al contesto ambientale e storico, è rappresentato dal giardino pensile del Palazzo Reale di Napoli (pensato come uno spazio privato per la famiglia reale), “realizzato alla fine del Settecento su iniziativa di Carlo di Borbone – racconta Maisto – e arricchito dal figlio Ferdinando con essenze esotiche. Nel 2014, basandosi su documenti e fotografie d’epoca, gli operatori hanno smontato, trattato e riposizionato le piante più rilevanti nei punti originali”.

Maisto ha poi spiegato che “il substrato (strato roccioso sottostante una formazione geologica) presente a Napoli non è un semplice terreno vegetale ma si tratta di lapilli vulcanici, capaci di trattenere l’umidità necessaria e garantire un drenaggio ottimale: l’irrigazione è studiata per minimizzare gli sprechi e gli impianti sono completamente nascosti, fatta eccezione per piccoli pozzetti camuffati da vasi”.

Per quanto riguarda il caso della Reggia di Caserta – spiega Maisto, in linea con quanto ha affermato il prof. Serraglio – la gestione è particolarmente complessa: “il parco non è amministrato dalla Soprintendenza, ma direttamente dal Ministero dei Beni Culturali. Esistono diversi uffici, squadre suddivise per aree, e percorsi secondari per il trasporto dei materiali. Le tipologie di cantiere e le responsabilità sono differenziate e definite. Oggi, più che mai, è necessaria una visione integrata, supportata da fondi e da una struttura organizzativa che garantisca la continuità lavorativa e la qualità degli interventi”.

A concludere il seminario è stato proprio un intervento congiunto del prof. Serraglio e dell’arch. Maisto, che hanno ribadito la necessità di figure altamente specializzate per la cura dei giardini storici. “Serve una filiera tecnica formata e consapevole – hanno affermato – con ditte qualificate, professionisti certificati e personale esperto. Solo così si può evitare di compromettere un patrimonio che è parte fondamentale della nostra identità culturale e paesaggistica”.
Elisabetta Del Prete
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Ateneapoli – n. 8 – 2025 – Pagina 27

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