Secondo la Corte dei Conti europea, circa 450 milioni di consumatori dell’UE sono indifesi di fronte alle etichette alimentari, che risultano confusionarie e cambiano di continuo. Arginare il fenomeno è difficile, ma un primo passo verso una maggiore consapevolezza nel decifrare ciò che viene riportato sui prodotti passa da una corretta informazione e dallo stimolo del dibattito sulla questione (anche per i produttori).
A questo scopo, lo scorso 5 maggio, si è tenuta una giornata di confronto interdisciplinare con un focus sulla dimensione linguistica, dal titolo ‘Le etichette alimentari aspetti normativi, linguistici e commerciali’. Per quanto soggette al rispetto di regolamenti e normative, “le etichette manifestano una tipologia testuale particolarmente complessa, nella quale possono riscontrarsi aspetti di oscurità, scarsa leggibilità o, al contrario, di ridondanza”, spiega la prof.ssa Lucia Di Pace, linguista e organizzatrice dell’evento insieme alla collega Valeria Caruso – il resto del Comitato scientifico è composto dai professori Anna De Meo, Francesco Nacchia e Marianna Pace.
Come hanno fatto notare i revisori di Bruxelles a fine 2024 in una relazione, i problemi sono diversi: norme lacunose che lasciano spazio ad etichette degli alimenti fuorvianti, un labirinto di etichette in costante cambiamento, le sanzioni pecuniarie spesso non all’altezza per evitare abusi. Proprio per questo la giornata di studio è nata per “mettere assieme competenze e voci diverse, perché questo oggetto richiede il confronto tra esperti di discipline diverse”, ha spiegato la docente, che poi ha aggiunto: “speriamo possa avere una ricaduta concreta, ultimamente stiamo assistendo ad una notevole sensibilizzazione, tant’è che sul sito del Ministero ci sono delle sezioni dedicate all’etichettatura e all’educazione alimentare, per consentire al consumatore di sviluppare competenze nella lettura dell’etichetta alimentare”.
Nello specifico, avvicinandosi al tema, Di Pace e i colleghi si sono resi conto che “manca una certa attenzione alla dimensione linguistica, tra l’altro abbiamo invitato Dario Dongo, giurista esperto di diritto alimentare e attivista per i diritti dei consumatori, che ha riconosciuto che il comitato scientifico ha intravisto degli aspetti critici presenti già nelle normative”. Ma in cosa consiste questa mancanza di chiarezza linguistica? Innanzitutto, bisogna tenere presente che sono tre i tipi di elementi che appaiono sulle etichette: “le informazioni obbligatorie (UE n. 1169/2011), le indicazioni nutrizionali e sulla salute relative ad allergeni, ingredienti (UE 1924/2006 ed altri) e altri elementi semiotici che perseguono finalità di marketing. Dunque parliamo di testi talmente densi che possono creare smarrimento.
Le informazioni sono per loro natura vaghe, in secondo luogo. Penso per esempio alle indicazioni per la conservazione, spesso leggiamo di luogo fresco, ma cosa si intende davvero? Non si capisce bene”. A rincarare la dose di confusione ci pensano poi le indicazioni di tipo pubblicitario, che “in qualche modo sfuggono al dettato normativo, ma perché è quest’ultimo a consentirlo”. Certi riferimenti – povero di grassi, ricco di proteine – possono fare leva sull’acquirente: “in teoria, invece, bisognerebbe utilizzare formule linguistiche molto precise, tecniche”. Per esempio: “se il prodotto contiene un elevato tasso di proteine, andrebbe usata un’espressione del tipo ‘contiene un tasso accresciuto di proteine’, cioè una formulazione correlata ad una specifica quantità. Tuttavia, nella prassi delle etichette queste diciture non sono utilizzate, mentre ne compaiono delle altre molto generiche”.
E inoltre, come sottolinea la Corte europea, “i consumatori sono sempre più esposti a indicazioni sulla salute non regolamentate relative a sostanze vegetali o ‘botaniche’ (come ‘contribuisce al recupero energetico’ o ‘migliora le prestazioni fisiche’) anche se non sono suffragate da prove scientifiche”. Riassumendo, esiste uno scarto evidente tra la comunicazione precisa dei valori nutrizionali e la comunicazione da parte dei produttori che, in fin dei conti, puntano a rendere appetibile un alimento per vendere e fare profitto. In questo modo “le informazioni diventano uno specchietto per le allodole, penso al colore verde per il biologico, la sottolineatura dell’assenza di ogm o dell’olio di palma.
Sono quasi dei distrattori che spostano l’attenzione dalle indicazioni nutrizionali”. Ma a quanto pare, l’uscita dal labirinto è ancora lontana. Come spiega la Corte, dal 2021 al 2025, l’UE ha destinato solo circa 5,5 milioni di euro alle campagne di sensibilizzazione sull’etichettatura degli alimenti, e le campagne d’informazione per i consumatori condotte dagli Stati membri sono sporadiche.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n. 9 – 2025 – Pagina 34