In una Sala Conferenze di Palazzo Corigliano piena, il 20 marzo mattina, è stato festeggiato (e raccontato) il Nowruz, letteralmente ‘nuovo giorno’, il capodanno che si celebra in Iran – dov’è la festa più sentita e non ha connotazioni religiose e politiche – e in molti altri paesi dell’Asia e in alcuni dell’Africa. Sotto il titolo ‘Nowruz: simboli e tradizioni di un ponte tra culture’, l’evento è stato costruito su più momenti arricchiti dalla partecipazione attiva degli studenti di Lingua persiana, tra riferimenti storici alle radici della festività, letture di poesie e un’esibizione canora e musicale.
L’introduzione è toccata alla prof.ssa Natalia Tornesello e alla collaboratrice ed esperta linguistica Niloufar Zekavat, mentre al prof. Michele Bernardini è stato affidato il compito di raccontare il ‘nuovo giorno’ nel mondo. Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO, il Nowruz “si celebra il giorno dell’equinozio di primavera e segna il passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile – ha spiegato ad Ateneapoli proprio la prof.ssa Tornesello – Le radici sono antichissime, addirittura pre-islamiche”.
Va anche detto che l’organizzazione della giornata porta la firma del Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo, del Centro Studi Asia Centrale, Caucaso, Turchia, Tibet, Iran e del Centro di Studi sull’Africa. E non a caso: il riferimento al Nowruz come ponte tra mondi è utile per evidenziare “lo stretto legame tra culture che sembrano in apparenza lontane, in realtà straordinariamente vicine. Si festeggia anche a Zanzibar, per esempio, e noi non sapevamo si estendesse fino a lì”. E di questo, cioè di ‘Nowruz in Zanzibar: continuity & change’, ha parlato in collegamento il Professore Emerito Farouk Topan, direttore del Centro di swahili dell’Aga Khan Centre di Londra.
Sulla festività, Tornesello, oltre a sottolineare quanto abbia “in comune con alcune celebrazioni delle nostre culture”, ha raccontato dei riti che caratterizzano tanto i giorni precedenti al capodanno quanto quelli successivi. Per esempio il ‘Khane tekani’ (letteralmente ‘scuoti-casa’), che consiste nel fare le grandi pulizie prima della festa, poi c’è il ‘Chaharshanbe suri’, che avviene l’ultimo mercoledì precedente al capodanno, durante il quale si accendono falò e, saltandoci intorno, si recita la formula ‘zardi-e man az to, sorkhi-e to az man’ (‘il mio giallo a te, il tuo rosso a me’). Ma il vero centro del Nowruz è il Sofre-ye haft sin, ovvero la “tavola delle sette sin”, caratterizzata da “elementi simbolici che iniziano tutti con la lettera ‘s’, alcuni dei quali li vediamo anche in alcune nostre tradizioni connesse alla Pasqua e alla primavera”.
Per esempio il sabze, ovvero “i germogli di grano che si mettono sul sofre-ye haft e indicano la rinascita, il rinnovamento della natura, e hanno un’esatta corrispondenza con quello che noi chiamiamo il grano dei sepolcri, che religiosamente simboleggia la rinascita di Cristo. Senza dimenticare le uova colorate, altro elemento tipico del sofre-ye haft sin che trova corrispondenza con le usanze di decorare le uova, che indicano la fertilità. E ancora: c’è anche la mela rossa, che indica la buona salute e bellezza, l’aglio per la cura e il benessere, l’aceto invece l’attesa, la pazienza”.
Gli studenti “Un’esperienza quasi toccante”
La docente ci tiene, poi, a ribadire un’intenzione che ha reso le celebrazioni di quest’anno diverse da quelle precedenti a L’Orientale: “quest’anno abbiamo voluto fortemente la partecipazione attiva degli studenti e l’esperienza si è rivelata molto positiva, gratificante, coinvolgente. Ha fatto sì che indirettamente anche il pubblico fosse molto più coinvolto. Aver stimolato la passione: si può dire che questo sia stato il vero cuore dell’evento. D’altronde lo studente non è solo colui che recepisce passivamente ciò che gli viene trasmesso, ma una persona che va oltre e si incuriosisce”.
E la riuscita di tutta l’operazione la confermano gli stessi studenti che hanno contribuito all’evento. “Personalmente ho portato due poesie di Sohrab Sepehri, un grande poeta e pittore del Novecento, a tal punto importante che alcune delle sue opere sono state selezionate per una Biennale di Venezia, inoltre ha tradotto diverse poesie dal cinese, dal francese, dall’inglese e ha girato il mondo. In accordo con la docente ho scelto lui per l’importanza che ancora riveste nella cultura iraniana, è una figura molto influente”, ha spiegato Martina Enrica Ferrara, 27 anni, iscritta al primo anno della Magistrale in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa.
Sul coinvolgimento diretto nell’evento: “è stata un’esperienza quasi toccante direi, e me ne sono accorta quando la nostra lettrice si è emozionata per la grande partecipazione. In più, come studenti di persiano, abbiamo sentito anche una certa responsabilità”. Ad Andrea Panepinto, 23 anni, studente del secondo anno di Lingue e Culture orientali e africane, è toccato invece raccontare del Sizdah bedar, ‘tredici fuori porta’, ovvero la festa di chiusura del Nowruz: “È tradizione che questo giorno venga trascorso fuori casa per evitare che gli spiriti maligni possano trovare le persone nelle proprie abitazioni, portare disordine e creare scompiglio; per questo ci si riunisce in famiglia mangiando piatti tipici, recitando poesie, facendo giochi di gruppo. Partecipare comunque mi ha fatto molto piacere, sono molto legato alla cultura persiana e aggiungo che il supporto di tutti i docenti è stato importante essendo stata questa la mia prima esperienza davanti ad un pubblico”.
Chiude Aurora De Crescenzo, 22 anni, iscritta al primo anno della Magistrale di Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa: “io ho portato una poesia di Sa di di Shirāz, uno dei poeti classici più importanti dell’Iran, tutt’oggi molte sue composizioni sono ancora recitate e imparate a memoria dai persiani. I versi che ho letto parlano naturalmente del Nowruz e raccontano l’arrivo della primavera, della terra che comincia a rifiorire, degli uccelli che iniziano a cantare. Si passa dall’inverno arido alla vita che si rinnova”.
L’ultima battuta è sull’importanza che rivestono eventi del genere: “dell’Iran e della sua cultura millenaria sappiamo troppo poco, ha una letteratura ricchissima che, secondo me, ha tante similitudini con quella occidentale. È stato davvero tutto molto bello perché abbiamo acceso una luce su altre parti di un Paese che conosciamo per altri motivi”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n. 6 – 2025 – Pagina 34–35