Wakey, l’app che consente di “svegliarsi in modo tranquillo”

“Dall’idea all’app: percorsi di progettazione user-centred”, per il Corso di Laurea in Scienze e tecniche di psicologia cognitiva, è stata una delle tante lezioni demo, un saggio di cosa si studia in Ateneo, che il Suor Orsola ha offerto ai partecipanti dell’Open week di fine febbraio, la manifestazione di orientamento, alla sua XIX edizione, che dal 24 e 28 febbraio ha accolto tante aspiranti matricole nelle aule dell’Ateneo di Corso Vittorio Emanuele.
Ma cosa c’entrano le app con la psicologia? Nell’Aula D, la brillante prof.ssa Roberta Presta lo ha spiegato in modo didascalico e accattivante mostrando i risultati delle ricerche, gli strumenti utilizzati e i prototipi di app realizzati nelle più recenti edizioni del corso Apple Foundation Program. Il tutto arricchito da qualche nozione necessaria di ergonomia cognitiva, dunque human machine interaction, human computer interaction, fattori umani e, soprattutto, dalle testimonianze dirette di studenti che di app ne hanno create davvero. Già, le cosiddette app: “dietro c’è un’opera di design e ideazione che coinvolge professionalità eterogenee – ha esordito la docente – certo, gli ingegneri come me, ma anche gli psicologi. Questi ultimi conoscono il consumatore finale, studiano come e cosa pensa, e supportano i tecnici per costruire il prodotto nel modo migliore”.
Ma per poter essere preparati ad offrire un tale contributo, gli psicologi devono approfondire e specializzarsi in ergonomia cognitiva, che “è legata al concetto di interazione, dialogo, e si occupa di capire come l’uomo elabora le informazioni; come elabora in generale se è stanco, cosa prende in esame per una risposta. E nel design, ad essere preponderante è il dialogo con la macchina”.
Il vero cuore dell’ergonomia, prosegue Presta, è “la progettazione di sistemi, strumentazioni tecniche che vadano incontro alle capacità antropometriche e cognitive degli esseri umani, al fine di migliorare sicurezza, comfort e performance degli utenti e degli operatori”. E per ingolosire una platea comunque molto attenta, la docente parla degli oggetti di interesse del proprio lavoro, che si focalizza su ideazione e valutazione:siti web, app, totem, realtà virtuale, realtà aumentata”. Tutti prodotti che, al netto delle differenze, devono essere ergonomici, cioè adatti agli utenti: “siamo tutti umani, ma non tutti siamo lo stesso utente”.
Un esempio: “se progetto un’app per bambini è chiaro che il target sarà molto specifico. Una volta sviluppata, poi andrà testata con interviste o al pc; successivamente si potrà produrre un prototipo da sottoporre ai clienti chiedendogli in modo strutturato cosa ne pensano. I feedback aiuteranno a capire se si sta procedendo nella giusta direzione o se bisogna applicare dei correttivi fin quando non si arriva alla soddisfazione di chi acquista e consuma”. Un piccolo inciso della docente, ma assai importante per certe logiche: “prodotti vincenti evitano perdite economiche; non siamo filantropi”. Il vero cambiamento epocale nell’interazione con la macchina, però, l’ha segnato un oggetto in particolare: lo smartphone. “Che ci porta al mondo delle app: perché gli utenti la usano? A quale bisogno risponde? Sono queste le domande che ci si pone; soltanto dopo subentra l’idea dell’interfaccia grafica. Un’app è innanzitutto un’esperienza”.
Quanto al corso innovativo Apple Foundation Program, Presta ne racconta metodi e scopi: “ci si siede al tavolo di progettazione per creare app, nell’apposita Aula Apple, dotata di pc, telefoni. Tutto si sviluppa attorno al challenge based learning: gli studenti si lanciano un sfida, definiscono un problema, fanno ricerca per far emergere scenari, bisogni, persone; si costruisce fisicamente il prodotto. Otto ore al giorno, un intero mese, poi si porta alla luce il prototipo”.
Boomy, per esempio, come spiegano i due studenti della XVII edizione del corso, Camilla e Marco, è un’app che “aiuta gli appassionati di videogiochi a gestire la rabbia durante le partite. Vengono proposte sfide basate sulla respirazione, autocontrollo, relazioni con amici. Oggi sono tanti i teenager che soffrono di attacchi di rabbia che influiscono negativamente su tutta la famiglia, costretta poi ad affrontare il fenomeno con il supporto di psicoterapeuti”. Oppure c’è Wakey, per chi ha difficoltà ad alzarsi al mattino: “aiuta a svegliarsi in modo tranquillo – raccontano gli artefici – grazie all’ausilio di una voce umana, che diffonde messaggi motivazionali ogni due minuti, e di un rilevatore di movimento. Quando l’utente si alza e compie dieci passi, arriva un messaggio trofeo”.
Ma non è tutto: con un’app si può affrontare anche il problema del fast fashion. Grazie a SloWear “si possono aiutare i consumatori che vogliono effettuare scelte di acquisto alternative e più sostenibili, indicando opzioni di abbigliamento meno impattanti come negozi slow fashion, mercati, fiere, vintage, second hand”. E ci si può muovere anche verso la cultura, arricchendo il proprio bagaglio di educazione civica. “La nostra – dicono gli ideatori – è una quiz application per aiutare i giovani che vogliono assorbire nozioni sul sistema politico italiano. Per esempio: quanto dura il mandato del Presidente della Repubblica? Qual è il suo compito principale?”. Infine, la lezione demo si è chiusa con un sondaggio che ha coinvolto i partecipanti su quale sia stata, per loro, l’app migliore. Il 43% ha detto Wakey.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n. 4 – 2025 – Pagina 3132

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