Per chi conseguita la laurea triennale sceglie di iniziare a lavorare, il tirocinio rappresenta un’opportunità per avere una prima esperienza e scoprire attitudini e capacità ancora ignote. “Si può però decidere di proseguire con la Specialistica che dà un titolo più spendibile sul mercato del lavoro, oppure scegliere di frequentare un Master che professionalizza e al contempo aiuta a sedimentare conoscenze più teoriche – afferma la prof.ssa Paola De Vivo, Responsabile dei tirocini – Abbiamo attivato una moltitudine di convenzioni ed il feedback dei laureati e delle aziende è positivo. Potremmo lavorare per ampliare il monitoraggio dei dati riguardanti gli stagisti ma non disponiamo di risorse sufficienti. Sarebbe utile per capire quanti di loro hanno firmato un contratto presso l’azienda dove hanno svolto il tirocinio e quanto quest’esperienza aiuti a collocarsi sul mercato”.
Il tirocinio è previsto al III anno e può durare da 6 a 12 mesi. Un terzo degli stage è svolto in cooperative sociali che si occupano di disagio e marginalità, per esempio di handicap o di emigrazione; un terzo nella pubblica amministrazione dove gli studenti sono impegnati nella sistematizzazione informatica di dati o di attività di ricerca sui servizi offerti dagli Enti, per esempio dalle strutture ospedaliere; un terzo in aziende private dove ci si occupa di risorse umane o di attività di marketing tese a monitorare i consumatori. “Inoltre alcuni espletano il tirocinio in aziende non profit, al Consolato o in Rai. Uno studente l’ha fatto addirittura alla Presidenza del Consiglio”, aggiunge la prof.ssa De Vivo.
“Nell’arco dei due anni successivi al conseguimento della Laurea di secondo livello, i sociologi trovano un impiego. Molti sono occupati nel terzo settore o nel campo della cooperazione internazionale. In tanti lavorano presso gli Enti pubblici ma anche presso i centri di ricerca privati – afferma la prof.ssa Annamaria Zaccaria – Il progetto di job-placement Fixio organizzato con Softel e Italia Lavoro ha uno sportello che è aperto tutti i mercoledì mattina per dare informazioni ai laureati. Si organizzano tirocini che prevedono l’assunzione nel caso il laureato risponda alle esigenze dell’azienda”.
“Non sono pessimista sugli sbocchi dei laureati: non prestissimo ma il lavoro lo trovano, soprattutto quelli che si sono laureati brillantemente – asserisce la prof.ssa Antonella Spanò – Coloro che tardano a trovare occupazione si riversano nell’insegnamento, il resto si divide tra la pubblica amministrazione e il settore privato. Molti si occupano di formazione, di selezione del personale, dipende anche dal ramo che hanno scelto. E’ chiaro che chi ha optato per studi organizzativi ha una maggiore propensione per il settore privato, mentre chi ha studiato le politiche sociali e la pianificazione è orientato verso la pubblica amministrazione”.
La prof.ssa Amalia Signorelli sostiene che circolino leggende sulla difficoltà dell’antropologo di trovare collocazione sul mercato: “Ci sono persone che si sono laureate con me in passato che dirigono uffici tecnici degli Assessorati di Regione, Enti di ricerca o sono consulenti professionali di grosse imprese private. Oltre che dedicarsi alla ricerca antropologica, si possono cogliere una quantità di opportunità di inserimento nella vita sociale. Certo, bisogna aver studiato l’antropologia per bene”. In una società dove la realtà culturale diventa sempre più complessa e le relazioni tra persone e gruppi sono determinate dai rapporti culturali, chi ha studiato antropologia è particolarmente attrezzato per instaurare e gestire tali rapporti: “Il più recente di questi sviluppi è, per esempio, la politica di mediazione culturale. E’ l’unico tipo di studi che attrezza veramente per svolgere questo lavoro”.
“Il futuro occupazionale dipende molto da come i laureati sanno inserirsi nel mondo del lavoro, dalle relazioni che intrecciano”, sostiene la prof.ssa Mirella Giannini rassicurando i futuri corsisti che “all’università troveranno molte difficoltà solo se non studiano. Se invece si applicano, il loro percorso sarà agevole”.
Il tirocinio è previsto al III anno e può durare da 6 a 12 mesi. Un terzo degli stage è svolto in cooperative sociali che si occupano di disagio e marginalità, per esempio di handicap o di emigrazione; un terzo nella pubblica amministrazione dove gli studenti sono impegnati nella sistematizzazione informatica di dati o di attività di ricerca sui servizi offerti dagli Enti, per esempio dalle strutture ospedaliere; un terzo in aziende private dove ci si occupa di risorse umane o di attività di marketing tese a monitorare i consumatori. “Inoltre alcuni espletano il tirocinio in aziende non profit, al Consolato o in Rai. Uno studente l’ha fatto addirittura alla Presidenza del Consiglio”, aggiunge la prof.ssa De Vivo.
“Nell’arco dei due anni successivi al conseguimento della Laurea di secondo livello, i sociologi trovano un impiego. Molti sono occupati nel terzo settore o nel campo della cooperazione internazionale. In tanti lavorano presso gli Enti pubblici ma anche presso i centri di ricerca privati – afferma la prof.ssa Annamaria Zaccaria – Il progetto di job-placement Fixio organizzato con Softel e Italia Lavoro ha uno sportello che è aperto tutti i mercoledì mattina per dare informazioni ai laureati. Si organizzano tirocini che prevedono l’assunzione nel caso il laureato risponda alle esigenze dell’azienda”.
“Non sono pessimista sugli sbocchi dei laureati: non prestissimo ma il lavoro lo trovano, soprattutto quelli che si sono laureati brillantemente – asserisce la prof.ssa Antonella Spanò – Coloro che tardano a trovare occupazione si riversano nell’insegnamento, il resto si divide tra la pubblica amministrazione e il settore privato. Molti si occupano di formazione, di selezione del personale, dipende anche dal ramo che hanno scelto. E’ chiaro che chi ha optato per studi organizzativi ha una maggiore propensione per il settore privato, mentre chi ha studiato le politiche sociali e la pianificazione è orientato verso la pubblica amministrazione”.
La prof.ssa Amalia Signorelli sostiene che circolino leggende sulla difficoltà dell’antropologo di trovare collocazione sul mercato: “Ci sono persone che si sono laureate con me in passato che dirigono uffici tecnici degli Assessorati di Regione, Enti di ricerca o sono consulenti professionali di grosse imprese private. Oltre che dedicarsi alla ricerca antropologica, si possono cogliere una quantità di opportunità di inserimento nella vita sociale. Certo, bisogna aver studiato l’antropologia per bene”. In una società dove la realtà culturale diventa sempre più complessa e le relazioni tra persone e gruppi sono determinate dai rapporti culturali, chi ha studiato antropologia è particolarmente attrezzato per instaurare e gestire tali rapporti: “Il più recente di questi sviluppi è, per esempio, la politica di mediazione culturale. E’ l’unico tipo di studi che attrezza veramente per svolgere questo lavoro”.
“Il futuro occupazionale dipende molto da come i laureati sanno inserirsi nel mondo del lavoro, dalle relazioni che intrecciano”, sostiene la prof.ssa Mirella Giannini rassicurando i futuri corsisti che “all’università troveranno molte difficoltà solo se non studiano. Se invece si applicano, il loro percorso sarà agevole”.