“Le nostre linee guida sono le stesse di altri centri all’avanguardia nel mondo”

“Ad un certo punto ci siamo ritrovati in quattro a lavorare, perché ricercatori, borsisti e gran parte del personale erano a casa in smart working. Non è stato un momento facile perché avevamo la necessità di garantire in ogni caso le analisi indispensabili a scoprire i casi di sospetto tumore e dovevamo contemporaneamente tenere conto delle inderogabili esigenze di contrasto al contagio”. Il prof. Giancarlo Troncone, Direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica della Federico II, racconta i giorni della pandemia vissuti all’interno del Laboratorio di Citopatologia del Policlinico al quarto piano dell’Edificio venti. “Abbiamo vissuto – dice – anche noi ore difficili. Certo, non come quelle dei colleghi che sono stati impegnati in prima persona nell’assistenza ai malati e che hanno svolto un lavoro insostituibile ed encomiabile, ma comunque sono state settimane complicate”. La soluzione è stata di concentrare le energie sulle attività indifferibili. “Per assicurare in condizioni di emergenza le analisi necessarie a chi aveva probabilità alte di una patologia oncologica, abbiamo focalizzato su questi casi gran parte della nostra attività, che nel complesso è rallentata. I casi più banali, quelli meno importanti dal punto di vista del rischio di malignità, – penso per esempio ai piccoli noduli tiroidei – sono stati rimandati a tempi migliori. Insomma, abbiamo effettuato meno aghi aspirati e più indagini citologiche ai pazienti ad alto rischio”. I numeri raccontano molto bene quanto accaduto. “Se confrontiamo l’attività svolta a marzo 2020 con quella relativa allo stesso mese nel 2019, emerge che il totale dei campioni lavorati è sceso da 615 a 94. C’è stato, per fare un esempio, un drastico calo dei pap test eseguiti, che a marzo 2019 erano stati 216 e due mesi fa sono stati 18. I noduli mammari esaminati un anno fa erano stati il 3,7% del totale degli esami effettuati a marzo. Quest’anno l’11,7%. Sono diminuiti anch’essi in cifre assolute, scendendo da 23 ad 11, ma in percentuale questo tipo di indagine ha occupato un ruolo molto maggiore rispetto ad un anno fa. Abbiamo in sostanza cercato di selezionare le patologie più urgenti”. Nel laboratorio si effettuano anche indagini molecolari per indirizzare il paziente alla terapia biologica delle patologie oncologiche: “Questa attività importante per tutti non è diminuita, ma poiché la maggior parte del laboratorio era a casa o in smart working abbiamo utilizzato metodiche automatizzate grazie alle quali abbiamo supplito per quanto possibile alla mancanza di braccia umane. Macchinari collegati ad un computer e dotati di una sorta di cartuccia nella quale si inserisce un po’ di tessuto e che in un paio di ore ci danno una risposta”.
Macchinari all’avanguardia, ma occorre personale medico
La scelta del Laboratorio di Citologia di concentrare le attività, nei giorni dell’emergenza sanitaria più acuta che hanno spopolato l’Ateneo, su una scelta selezionata di analisi è stata seguita anche da altri importanti laboratori europei e statunitensi. Tutti si sono trovati alle prese con le difficoltà di dover garantire servizi, almeno quelli non procrastinabili, con organici fortemente ridotti. “Abbiamo realizzato uno studio – prosegue Troncone – che sarà presentato al congresso americano di Citologia dalla prof.ssa Elena Vigliar. Prende in considerazione quanto è accaduto nelle scorse settimane in 23 laboratori analoghi al nostro in undici Paesi nel mondo. Ebbene, complessivamente il totale delle analisi effettuate è sceso da 37.000 a 10.000, con una riduzione del 67%. In ciascuno di questi centri, proprio come da noi, è aumentato il peso, nel numero totale dei campioni lavorati, dei casi caratterizzati dal sospetto di malignità. Insomma, le nostre linee guida sono le stesse che hanno seguito anche altri centri all’avanguardia nel mondo. Houston e Baltimora, solo per citare due esempi. I casi che avevamo sospeso perché poco importanti vanno ripresi ora che siamo tornati a ranghi completi. Siamo una ventina tra strutturati, dottorandi, tesisti, assegnisti di ricerca. Dobbiamo lavorare in una situazione di difficoltà per rispettare le limitazioni e le norme di Ateneo che impongono il limite di dieci metri quadri a persona, ma vogliamo ripartire”. In un anno il Laboratorio effettua circa 15.000 esami microscopici e prende in considerazione 2000 casi di biologia molecolare. “È una struttura ben attrezzata – dice il prof. Troncone – grazie al Dipartimento universitario che acquisisce le macchine, ma la gestione è complicata perché talvolta l’Azienda tarda nella stipula dei contratti di manutenzione. Abbiamo tre sequenziatori di nuova generazione, un microscopio dissettore laser ed una macchina che studia simultaneamente la presenza della segnatura genetica. Utile per esempio a verificare se il paziente deve effettuare la chemioterapia”. Servirebbe più personale, però. “L’Università – puntualizza Troncone – ha portato avanti una buona politica di promozione dei giovani e di reclutamento dei ricercatori. Servirebbe ora una migliore interazione con l’Azienda. Manca il reclutamento aziendale, non devono essere tutti professori e non possiamo avere solo ricercatori. Servono dirigenti medici. Bisogna che si dia una prospettiva ai giovani, non solo ai ricercatori, che sono stati reclutati bene negli ultimi anni”.
Fabrizio Geremicca

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