“Vi ho mostrato un sogno… l’archeologia è e resta un’avventura”

Una vita tutta dedicata agli scavi, alle ricerche, alle collaborazioni con Istituti ed Università nazionali ed internazionali. Si conclude, con una lezione a Palazzo Du Mesnil, il 31 gennaio, la carriera universitaria di uno dei più illustri professori di Archeologia che Napoli abbia potuto vantare. Va in pensione il prof. Rodolfo Fattovich, ordinario di Archeologia ed Antichità Etiopiche, a L’Orientale dal lontano 1974, una miscela esplosiva di dinamicità e acume, di sagace ironia ed eccellente ingegno. Ben disposto nei confronti di chiunque e prodigo di buoni consigli per i suoi studenti, con la sua fermezza e con il suo entusiasmo è sempre riuscito a coinvolgere tutti coloro che gli sono stati accanto. Il suo punto di vista, espresso già durante una conferenza del 2010, la dice assai lunga sul suo approccio con gli studenti: “Per capire come opera la storia siate studenti indipendenti ed innovativi, pensatori creativi che fanno esattamente quello che dico io!”. Da sempre impegnato in missioni di scavo all’estero, soprattutto in Egitto e nel Corno d’Africa, o, per dirla con le sue parole, “molti sono i posti in cui ho fatto buchi a terra” – tra queste ricordiamo le campagne di scavo a Yeha, Seglamen, Naqada, Gash Delta Kassala, Aqiq, Tell el Farkha, Bieta Giyorgis, Wadi Gawasis e Aksum – Fattovich ha intessuto stretti rapporti con l’Università di Boston (è lì che “l’archeologia pulsa”), in particolare con la prof.ssa Kathryn Bard. Durante la conferenza, il professore ha ringraziato varie persone: i suoi maestri triestini e poi Ricci, Donadoni e Puglisi, figure chiave durante il suo periodo di specializzazione a Roma, gli amici di sempre, in particolare Crevatin, Barocas, Tosi, Beyene e i suoi più stretti collaboratori D’Andrea e Manzo che, insieme a tanti ragazzi entusiasti, hanno permesso che i suoi lavori andassero avanti nel tempo, supportandoli e alimentandoli giorno dopo giorno. “La mia carta vincente – afferma il professore – è stata la formazione di numerosi gruppi di lavoro che hanno collaborato nei miei progetti. Il punto in cui si è arrivati è sempre stato il frutto di una squadra”. Tra i tanti messaggi che sono giunti al rinomato archeologo, ce n’è uno davvero singolare che recita: “old archaeologists never retire, just stop teaching”. Visibilmente emozionato, il professore afferma: “Si conclude per me un progetto di vita cominciato quando ero bambino e che mi ha portato ad essere oggi seduto qui”. 
Uno dei progetti che hanno coinvolto al meglio il professore triestino è stato quello del Cisa (Centro Interdipartimentale di Servizi di Archeologia) di cui egli è stato, dal 2007 al 2013, presidente. Coinvolto in numerosi programmi internazionali per la tutela del territorio etiopico è, oggi, uno dei maggiori esperti di quest’area, non solo per ciò che concerne la direzione dei lavori di scavo ma anche come conoscitore della vita delle genti di quei posti. È stato, infatti, vincitore del premio Fondazione “Giorgio Maria Sangiorgi” dell’Accademia dei Lincei per la storia e l’etnografia africana. L’archeologia, secondo Fattovich, è la risultante di vettori e campi che s’intersecano dando origine ad una vera e propria scienza sociale; non è solamente recuperare, registrare, descrivere e analizzare le evidenze, ma è una disciplina che ruota a trecentosessanta gradi intorno alla vita dell’uomo, a partire dalla chimica del suo cervello che fa scaturire, sotto alcune sollecitazioni sensoriali, dati atteggiamenti e comportamenti storici. È questo il suo punto di vista e, durante il dibattito, parla dell’archeologia che ha fatto e di quella che, invece, avrebbe voluto fare e che, secondo il suo parere, è il futuro di questa disciplina. La parola chiave, per ciò che concerne il suo immaginario archeologico, è “neuroarcheologia”: tutto parte dall’uomo, la storia non è una semplice concatenazione di eventi ma è la vita di ognuno di noi che intreccia le sue esperienze con gli altri. “Il cervello – afferma – è il motore delle dinamiche storiche”, tutto parte dall’uomo, dal suo ambiente, dalla sua chimica interiore. “Il futuro dell’archeologia è il cervello umano che sarà alla base delle nuove ricerche. Così l’interazione tra la neuroscienza, l’archeologia e la linguistica sarà fondamentale per un approccio più completo riguardo a questi studi. Queste tre scienze dovranno fondersi”. Il concetto di interazione si ripete come incessante filo conduttore di tutta la conferenza: ripete ai suoi colleghi che L’Orientale dovrà “muoversi, muoversi, muoversi” e “aprirsi di più al mondo” se vorrà stare al passo con i tempi. Non sono, poi, mancati alcuni sfoghi del docente che ha confessato di essere stato, soprattutto agli inizi della sua carriera nell’ateneo partenopeo, spesso messo da parte e considerato “meno che nulla” per il solo fatto di essere un docente di Africanistica. “La mia vita all’Orientale non è stata esente da tante frustrazioni”. In un Istituto a forte vocazione linguistica, mi sono sentito “figlio, nipote e pronipote di un dio minore. Essere archeologo qui è stato difficile”, e conclude affermando: “ho dedicato quarant’anni della mia vita a questo progetto. Non è mancata – citando ironicamente Indiana Jones – fortuna e gloria… io vi ho mostrato un sogno: l’archeologia è e resta avventura”.
Maria Pina Cipriano
- Advertisement -




Articoli Correlati