Assemblee, occupazioni, blocco dei corsi: si protesta contro il decreto Gelmini

La protesta si rafforza, raccoglie consensi. Anche a Napoli crescono le manifestazioni contro il decreto del nuovo ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, che il Parlamento potrebbe approvare definitivamente entro la fine di ottobre. Un provvedimento che, unito alla Finanziaria varata dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, disegna un quadro realmente preoccupante per il futuro dell’istruzione universitaria pubblica in Italia. Questi due provvedimenti si traducono infatti in un drastico taglio di fondi (1 miliardo e 400milioni di euro fino al 2013, pari a circa il 20% in meno ogni anno rispetto al 2008); nel blocco per le nuove assunzioni (una sola assunzione ogni cinque pensionamenti nei prossimi tre anni: classe docente sempre più vecchia e impossibilità di accesso alla ricerca e alla didattica per i più giovani) e nella possibilità per le università di trasformarsi in Fondazioni private con conseguente eventualità di aumento delle tasse universitarie e di una crescente ingerenza di finanziatori privati – tra l’altro difficili da reperire per le Facoltà umanistiche non applicative come Lettere – nelle decisioni dei singoli atenei inerenti alla didattica e alla ricerca. Per non parlare poi della scuola primaria e secondaria (ritorno al maestro unico, riduzione delle ore di docenza, licenziamento di 87mila insegnanti precari, ecc.). 
Le motivazioni
Per questi e altri motivi a Lettere si è creato un movimento contro i temi della riforma che si è costituito ormai da un mese in assemblea permanente: un gruppo di discussione allargato che è riuscito a riunire sottogruppi e collettivi, studenti e rappresentanti, e che sta facendo da traino per le Facoltà vicine – Giurisprudenza, Sociologia e altre – mettendosi in contatto con altre realtà ugualmente attive, come l’Assemblea Stop Gelmini dell’Orientale.
“Quindici anni di buone ragioni” è il titolo scelto dall’Assemblea Permanente di Lettere per la mobilitazione che, dopo le prime settimane di dibattito e discussione, è ripresa con forza il 15 ottobre, con un’assemblea aperta a tutti nella sede di Porta di Massa che è sfociata poi in un corteo e nella successiva occupazione del rettorato della Federico II. I quindici anni – e più – in questione sono quelli che sono stati segnati dalle ultime riforme del sistema universitario in Italia, di cui, sostengono gli studenti, il decreto Gelmini non sarebbe altro che la ciliegina sulla torta, raggiungendo finalmente l’obiettivo dell’“eliminazione dell’Università Pubblica e di massa”.
“‘Quindici anni di buone ragioni’ sono abbastanza da innescare una mobilitazione che pretende di essere totale e di interpretare un modello nuovo, scrivono in un documento gli studenti dell’Assemblea.  15 anni di riforme che hanno portato “alla miseria nella quale il sistema dell’istruzione del sapere pubblico verte oggi”, in un susseguirsi di riforme tese a “modernizzare” e “rendere competitiva” l’università italiana introducendo il sistema dei crediti, la divisione del ciclo unico in laurea triennale e specialistica, e una progressiva privatizzazione dei servizi universitari (mensa, residenze) in un disegno complessivo che sembra mirato a restringere piuttosto che ad allargare la possibilità di accesso ai livelli di istruzione più elevata: aumentano sempre più i costi a carico degli studenti, e il “diritto allo studio” diventa sempre più pallido, lasciando spazio – nelle università che se lo possono permettere – ad un rapporto cliente-azienda. A partire dalla legge che introduce l’autonomia degli atenei, nel 1989, passando per la riforma Zecchino che introduce i crediti e il 3+2, alla riforma Moratti, parzialmente abrogata dal governo Prodi, che oltre a riorganizzare la didattica abolisce i contratti a tempo indeterminato per i ricercatori, anche i ricercatori e dottorandi sono sempre meno garantiti. Nello specifico, il documento redatto dall’Assemblea permanente richiede una serie di cambiamenti immediati: la possibilità per studenti e ricercatori di conoscere e poter decidere gli investimenti di fondi riguardanti i loro Dipartimenti e le loro Facoltà; la pubblicazione delle spese di bilancio e dei libri contabili dell’ateneo; l’eliminazione del paragrafo inserito nello Statuto della Federico II (comma 1 art. 17) che prevede la partecipazione al Consiglio di Amministrazione dei rappresentanti di enti pubblici o privati che finanziano l’Università, e che potrebbero condizionarne le scelte; l’apertura degli spazi universitari in tempi prolungati, per venire incontro alle reali esigenze degli studenti; e l’abolizione del sistema dei crediti, secondo gli studenti  “teso esclusivamente alla considerazione dello studio come merce di scambio”.
Anche i ricercatori sono scesi in campo in questi giorni affianco agli studenti, dato che “il provvedimento Tremonti-Gelmini rappresenta un forte attacco a tutto il mondo della formazione”, come scrive la rete di dottorandi e ricercatori delle Università di Napoli. “Siamo frammentati in miriadi di contratti diversi”, scrivono ancora i ricercatori, cosa che talvolta rende difficile unirsi con forza su rivendicazioni comuni; “ma di fatto nelle mansioni siamo un soggetto unitario. E oggi più che mai rivendichiamo il fatto che l’Università si regge sul lavoro di circa 60.000 precari”. 
Le mobilitazioni
L’assemblea del 15 ottobre segna il passaggio dalla fase di dibattito e discussione a quella di vera e propria mobilitazione: il porticato davanti all’aula Piovani nella sede di via Porta di Massa è pieno di studenti interni ed esterni alla Facoltà, in piedi e seduti per terra, per un totale di circa cinquecento. Alle 11 il via agli interventi: “Da quindici anni è cominciato l’inserimento dei privati nelle scuole e nelle università”, comincia un rappresentante dell’assemblea permanente; “da dieci anni c’è il 3+2 che non funziona, ora hanno bloccato anche le Sicsi e verranno mandati fuori dalla scuola pubblica 87.000 precari. Cosa fa questo paese per l’istruzione, la formazione, la ricerca? Ci sono sempre meno soldi e vengono spesi sempre peggio. A parità di reddito si pagheranno sempre più tasse. C’è una logica perversa di profitto alla base di tutto questo. In un mese di assemblea abbiamo avuto modo di parlare, ora è il momento di passare all’atto”. Poi è il momento di una rappresentante dei ricercatori e dei dottorandi: “non ci interessa opporci al taglio dei fondi se questi devono servire solo ad aumentare gli stipendi dei professori. Dove sono i docenti in questi giorni? A parte le iniziative di singoli, è evidente che non ci sono perché sono meno colpiti, e noi dobbiamo pretendere quello che ci spetta senza aspettare che loro in blocco ci possano sostenere, perché non sarà così. Molti esprimono il loro sostegno, ma poi non lo dichiarano ufficialmente”. E’ la volta poi di un membro dell’Assemblea Stop Gelmini dell’Orientale: “per il 22 ottobre abbiamo organizzato una grande assemblea con conseguente blocco della didattica, per consentire a tutti di partecipare. Ma c’è bisogno contemporaneamente di costruire un fronte unico. Non ci interessano gli ultimi tagli, ci interessa dire che quest’università già com’è non ci sta bene. Dobbiamo riprenderci le università e le piazze per salvarci da questo sfacelo”. Intervengono poi una ragazza di Giurisprudenza e una rappresentante del movimento autonomo genitori e insegnanti autorganizzati, che invita i ragazzi a partecipare alla fiaccolata che si terrà la stessa sera, contemporaneamente a molte altre città d’Italia. E infine il prof. Ferraro, secondo il quale “la responsabilità della situazione in cui ci troviamo è anche della Facoltà. Lo Stato siamo noi, non è un problema che riguarda questa o quella categoria. E’ un problema sociale, che riguarda tutta la città, bisogna reinventarsi un nuovo linguaggio”. E in questo senso un’occupazione aperta potrebbe essere, secondo il professore, un’opportunità di riflessione per tutti. L’assemblea si chiude riproponendosi di estendere la protesta dentro e fuori la Facoltà, e gli studenti in corteo escono dalla sede di Porta di Massa per raccogliere altri manifestanti nella sede dell’Orientale di Palazzo Giusso. Il corteo si concluderà poco dopo nella sede del rettorato della Federico II, dove gli studenti sono riusciti a incontrare il rettore Guido Trombetti per discutere della possibilità di bloccare le attività didattiche nell’ateneo. Un’ipotesi che il Rettore non ha approvato, ma che è stata messa in opera, seppure per poco tempo, la stessa mattinata successiva da piccoli cortei autorganizzati che hanno bloccato i corsi nelle diverse sedi di Lettere. E la possibilità di un blocco prolungato delle attività didattiche continua ad essere discussa nelle riunioni che si stanno tenendo tutti i giorni a Lettere e in altre Facoltà. Sono stati poi definiti gli appuntamenti della protesta. Tappe ulteriori di un movimento che ha ancora molta strada e due grossi ostacoli da affrontare, per poter fermare in tempo l’approvazione del decreto Gelmini: l’eccessiva frammentazione della massa degli studenti – tra  universitari e medi e all’interno delle stesse università – e i docenti, che esprimono il loro sostegno morale ma non hanno ancora trovato un modo efficace per manifestarlo. 
Viola Sarnelli
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