“Sono originaria della città di Kayseri nella regione di Cappadocia nel cuore della Turchia”, racconta Buket Kilnamaz, da poco più di un anno docente madrelingua di Lingua Turca a L’Orientale. Un percorso di formazione non propriamente linguistica compensata da una solida esperienza nella didattica delle lingue: “mi sono laureata in Economia aziendale all’Università di Çukurova nella sede di Adana, però mentre studiavo ho avuto l’occasione di lavorare in un Ufficio Internazionale sempre a contatto con gli stranieri. In un contesto multiculturale, gli studenti Erasmus seguivano le lezioni e parallelamente io li aiutavo a prendere confidenza con la lingua”. Durante un periodo di studio in Lituania nell’ambito del programma Erasmus, “mi è capitato di conoscere tanti studenti italiani e tramite loro sono venuta a sapere di un progetto tra Italia e Turchia. Ho iniziato a fare vari lavori nel campo dell’interpretariato, anche se in realtà sapevo solo dire ‘ciao’ quando sono arrivata a Napoli per la prima volta cinque anni fa. Qui mi sono resa conto che in pochi sapevano parlare bene in inglese, così ho cominciato pian piano a praticare l’italiano direttamente sul posto. Prima di allora non avevo mai pensato di fare l’insegnante, ma il mio sogno era comunque di lavorare in rapporto con le altre persone. Probabilmente ora conosco più gente in Italia che in Turchia e a Napoli non mi sento mai sola”. Uno strumento che ha incoraggiato l’assimilazione della lingua italiana da parte della lettrice turca è tutt’oggi la passione per il teatro: “relazionarsi con i maestri di un laboratorio teatrale che parlano un italiano più corretto oppure ti correggono ha accelerato di gran lunga le mie potenzialità linguistiche. All’inizio ho cominciato con una compagnia di teatrodanza, dopodiché proprio recentemente mi hanno proposto di interpretare il ruolo di un personaggio francese in un allestimento teatrale per il mio accento straniero. Mi piace moltissimo la cultura del teatro che c’è in Italia, mentre in Turchia non è molto diffusa l’idea di andare a vedere gli spettacoli”.
In principio, però, l’apprendimento dell’italiano “è stato tragico, perché ho studiato da autodidatta il primo anno. Oltre ai libri, ho preso l’abitudine di guardare film e video in italiano con la curiosità di saperne sempre di più. Nei sette mesi successivi ho poi seguito un corso vero e proprio di lingua e anche solo ascoltando ho notato progressi da gigante. Adesso, difatti, mi capita addirittura di dire delle parole in napoletano senza nemmeno che io me ne renda conto”. Una delle fatiche maggiori per un madrelingua turco alle prese con la grammatica italiana è “la questione del genere, perché in turco non esiste la distinzione tra maschile e femminile, così come non ci sono nemmeno gli articoli, laddove la lettura presenta meno problemi, poiché si legge come si scrive, quindi non ci sono particolari regole di fonetica da dover memorizzare”. Invece, per i neo turcologi italiani è più complicato “abituarsi alla pronuncia di un sistema vocalico diverso e, oltre a ciò, familiarizzare con la sintassi che segue la costruzione soggetto-oggetto-verbo, mentre per quanto riguarda il lessico chi apprende altre lingue è avvantaggiato grazie alla presenza di numerosi prestiti che provengono dal francese, dal persiano e in particolare dall’arabo”. Un errore comunemente diffuso, infatti, è credere che “il turco sia una lingua semitica simile all’arabo o che si scriva con lo stesso alfabeto. Al contrario, si usa l’alfabeto latino con alcune varianti”.
Durante le ore di lettorato, “cerco sempre di stimolare gli studenti anche sulla base della mia esperienza diretta, perché io lavoro soprattutto in virtù delle mie competenze linguistiche. Il primo giorno chiedo a tutti: «perché volete imparare il turco?». Molti sono semplicemente curiosi, altri sono consapevoli dell’importanza delle relazioni culturali, economiche e commerciali tra Italia e Turchia. Nessuno sa, ad esempio, che i turchi acquistano i tessuti in pelle dall’Italia o che gli italiani importano grandi quantità di castagne dalla Turchia. Inoltre, sono davvero pochi gli italiani che conoscono il turco e questo rappresenta una possibilità di lavoro in più in qualsiasi settore”. Oltre agli esercizi di grammatica, “lavoriamo molto con pubblicità, proverbi, canzoni, filmati di ricette turche, perché questi sono i mezzi più utili a veicolare la cultura. Penso che imparare le parole sia il primo passo per comprendere ciò che si legge o si ascolta. Non a caso, con gli studenti della Magistrale abbiamo pensato di creare un dizionario di base in cui annotare i termini che registrano una maggiore frequenza d’uso, così che possano già intrattenere conversazioni più ampie con i ragazzi turchi in Erasmus”.
Tante soddisfazioni quando all’esame di Lingua scritto nel mese di giugno la maggioranza degli studenti ha riportato il massimo dei voti: “mi sento molto responsabile dei loro risultati e ai più motivati consiglio indubbiamente di partire, perché non si può pensare di studiare per cinque anni una lingua e poi abbandonarla per sempre. Nei miei progetti vorrei essere io a portarli in Turchia, perché c’è una lettrice italiana che attualmente lavora nell’Università di Istanbul e avevamo pensato a uno scambio culturale”.
Sabrina Sabatino
In principio, però, l’apprendimento dell’italiano “è stato tragico, perché ho studiato da autodidatta il primo anno. Oltre ai libri, ho preso l’abitudine di guardare film e video in italiano con la curiosità di saperne sempre di più. Nei sette mesi successivi ho poi seguito un corso vero e proprio di lingua e anche solo ascoltando ho notato progressi da gigante. Adesso, difatti, mi capita addirittura di dire delle parole in napoletano senza nemmeno che io me ne renda conto”. Una delle fatiche maggiori per un madrelingua turco alle prese con la grammatica italiana è “la questione del genere, perché in turco non esiste la distinzione tra maschile e femminile, così come non ci sono nemmeno gli articoli, laddove la lettura presenta meno problemi, poiché si legge come si scrive, quindi non ci sono particolari regole di fonetica da dover memorizzare”. Invece, per i neo turcologi italiani è più complicato “abituarsi alla pronuncia di un sistema vocalico diverso e, oltre a ciò, familiarizzare con la sintassi che segue la costruzione soggetto-oggetto-verbo, mentre per quanto riguarda il lessico chi apprende altre lingue è avvantaggiato grazie alla presenza di numerosi prestiti che provengono dal francese, dal persiano e in particolare dall’arabo”. Un errore comunemente diffuso, infatti, è credere che “il turco sia una lingua semitica simile all’arabo o che si scriva con lo stesso alfabeto. Al contrario, si usa l’alfabeto latino con alcune varianti”.
Durante le ore di lettorato, “cerco sempre di stimolare gli studenti anche sulla base della mia esperienza diretta, perché io lavoro soprattutto in virtù delle mie competenze linguistiche. Il primo giorno chiedo a tutti: «perché volete imparare il turco?». Molti sono semplicemente curiosi, altri sono consapevoli dell’importanza delle relazioni culturali, economiche e commerciali tra Italia e Turchia. Nessuno sa, ad esempio, che i turchi acquistano i tessuti in pelle dall’Italia o che gli italiani importano grandi quantità di castagne dalla Turchia. Inoltre, sono davvero pochi gli italiani che conoscono il turco e questo rappresenta una possibilità di lavoro in più in qualsiasi settore”. Oltre agli esercizi di grammatica, “lavoriamo molto con pubblicità, proverbi, canzoni, filmati di ricette turche, perché questi sono i mezzi più utili a veicolare la cultura. Penso che imparare le parole sia il primo passo per comprendere ciò che si legge o si ascolta. Non a caso, con gli studenti della Magistrale abbiamo pensato di creare un dizionario di base in cui annotare i termini che registrano una maggiore frequenza d’uso, così che possano già intrattenere conversazioni più ampie con i ragazzi turchi in Erasmus”.
Tante soddisfazioni quando all’esame di Lingua scritto nel mese di giugno la maggioranza degli studenti ha riportato il massimo dei voti: “mi sento molto responsabile dei loro risultati e ai più motivati consiglio indubbiamente di partire, perché non si può pensare di studiare per cinque anni una lingua e poi abbandonarla per sempre. Nei miei progetti vorrei essere io a portarli in Turchia, perché c’è una lettrice italiana che attualmente lavora nell’Università di Istanbul e avevamo pensato a uno scambio culturale”.
Sabrina Sabatino