Campi Elettromagnetici: la materia che ‘traumatizza’ e ‘affascina’ gli studenti di Elettronica

Le materie di studio viste dagli studenti e dai docenti. Un confronto tra due posizioni e due diversi modi di dedicarsi alla conoscenza. Protagonisti, stavolta, un gruppo di iscritti alla Laurea Magistrale di Ingegneria Elettronica, che ancora parlano, con timore reverenziale e quasi sottovoce, della disciplina che ha ‘traumatizzato’, ‘sconvolto’ e ‘affascinato’ il cammino universitario. “Campi Elettromagnetici!”, esclamano letteralmente in coro Valeria Ferrara, Vincenzo Di Guida, Camilla Aprea e Antonella D’Amelio, ancor prima di aver terminato di illustrare loro l’oggetto dell’intervista. È un insegnamento fondamentale per l’intero settore dell’Informazione, con un peso didattico compreso fra i nove e i dodici crediti, collocato al secondo anno del ciclo Triennale per gli Elettronici puri come Vincenzo e al terzo anno per gli iscritti a Biomedica, Corso d’origine delle ragazze che alla Magistrale hanno deciso, poi, di cambiare indirizzo. “Solo quando lo affronti passi, definitivamente, dalla condizione di liceale a quella di universitario a tutti gli effetti – dice Vincenzo – Perché per la prima volta devi mettere a frutto tutto quello che hai studiato. Così puoi iniziare a capire i problemi che ti trovi davanti e cominciare a risolverli seguendo un certo metodo. Se si proviene da una scuola a indirizzo scientifico, il primo anno è, per molti versi, solo un approfondimento di quello che si è già affrontato. Tutti sono spaventati dall’Analisi Matematica, ma è con Campi Elettromagnetici che si abbandona l’abitudine a scrivere solo formule e si comincia a ragionare sul serio”. Propedeutici, anche se non in via formale, molti degli esami di base, in particolare Algebra e Geometria, Analisi Matematica II, Fisica II e Principi di Elettrotecnica. La disciplina mostra come si propagano le onde nello spazio e quali e quante siano le linee di trasmissione dei vari tipi di segnali e dei vari generi di onda, in mezzi diversi. Nel complesso, una grande casistica di condizioni e situazioni. “Per fortuna – sostengono i nostri interlocutori – non si affrontano proprio tutti i casi possibili, solo una parte considerevole”. 
Come spesso accade in analoghe circostanze, ‘Campi’ è circondato da molti miti negativi: esame impossibile, prima di superarlo si deve ripetere decine di volte, spesso la traccia del compito scritto non si capisce nemmeno. “Devi essere in grado di padroneggiare molto bene tutte le conoscenze derivate dagli esami precedenti, ma non puoi mai ripetere nulla in maniera meccanica. Devi sempre ragionare caso per caso, domanda per domanda. Nemmeno le dimostrazioni si possono eseguire e basta, ma devono essere ricostruite ogni volta. Inevitabilmente, nessuno affronta l’esame in maniera spedita, ci vuole tempo”, spiega Antonella. Così tanto tempo che alcuni docenti svolgono in media solo cinque esami al giorno. Dal momento che è fondamentale studiare in gruppo, diventa anche un’esperienza di vita: durante la preparazione dell’esame nascono rapporti di amicizia che durano nel tempo. Campi lascia una forma mentis nuova, indispensabile per andare avanti fino alla laurea, orienta le scelte personali sulle specializzazioni successive e modifica il proprio approccio alla vita. Da quel momento in poi, per qualunque cosa accada, non si smette mai di chiedersi ‘il perché delle cose’. “A me è piaciuto moltissimo. È appassionante e se fosse solo un’attività formativa stimolante non preoccuperebbe nemmeno. Quando lo superi, ti rendi conto che era solo un esame. Prima, però, si vive male. Ad un certo punto, diventa una sfida con sé stessi per la quale anche solo presentarsi davanti al professore rappresenta un atto di coraggio”, confessa Camilla. “È una bella materia,  chiarisce le idee anche sugli interessi personali: a noi laureati in Ingegneria Biomedica spaventava l’idea di non potersi laureare se non si riusciva a superare, perché era posizionato proprio alla fine del percorso. Per me è stato proprio l’ultimo esame e, per questo, non l’ho vissuto proprio bene”. L’equivalente alla Specialistica si chiama MAIO, acronimo di Metodi ed Applicazioni per le Iperfrequenze e l’Ottica. “Si parte da Campi e si estendono i ragionamenti ad alcuni aspetti tecnologici, legati alla  microscopia ed altri strumenti avanzati. Noi però l’affrontiamo in maniera molto teorica, senza alcun laboratorio; acquisiamo dei cognitivi che si sviluppano in seguito, di solito durante la tesi – prosegue il gruppo – Il suo più grande valore culturale è che, a questo punto, hai maturato la consapevolezza che le cose vanno comprese al cento per cento”.
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