“Un bambino dolcissimo che ti insegue e non vuole separarsi da te ti lascia molto. In quel momento capisci che quel bimbo si è dimenticato della sua malattia e vuole continuare a distrarsi”. Nel grigiore di giornate d’ospedale si intravede il rosso che colora la punta di un naso tondo. A indossarlo sono
alcuni studenti di Medicina che hanno deciso di sottrarre un po’ di tempo allo studio, quando possibile, per destinarlo a piccoli pazienti. Ne è un esempio Marco Riccardo, 24 anni, studente del terzo anno, ex scout e clown “certificato”. Come tanti suoi colleghi, infatti, Marco, attirato da questa esperienza, ha deciso di frequentare circa un anno e mezzo fa il corso di preparazione organizzato per i propri iscritti dal SISM, il Segretariato Italiano Studenti di Medicina: “è stato sviluppato in cinque incontri tenuti da uno psicologo e da clown formatori. Ci hanno fatto capire le diverse situazioni nelle quali ci saremmo potuti trovare e come comportarci in gruppo”. Frequentando il reparto di Pediatria del Policlinico collinare è diventato clown esperto: “aiuto i ragazzi nuovi a capire cosa significa essere clown”. Lo fa organizzando giochi e creando al momento scenette e personaggi a misura di paziente: “è un’esperienza bellissima. Siamo capaci di far sorridere i bambini facendo dimenticare per poco tempo la malattia. Mi affeziono a tutti, con la speranza, ogni volta che vado via, di non doverli più rivedere in ospedale”. L’impegno sociale lo sta indirizzando verso un obiettivo futuro: “mi piacerebbe
partire con Medici senza frontiere”. Sua collega di reparto e di banchi è la ventunenne Martina Dello Russo: “ho sempre sentito il bisogno di donare agli altri e cercavo un modo per mettermi alla prova”. La vita da clown “mi ha permesso di essere me stessa, eliminando le maschere che a volte si indossano”. Il diktat: “non vedere il bambino come un paziente. Sarebbe difficile liberare la mente”. Nelle stanze d’ospedale ha portato bolle di sapone e “storie senza un preciso canovaccio. Ci vuole improvvisazione per soddisfare le esigenze del bambino e per farlo stare meglio”. Porta un episodio nel
cuore: “una bambina, che ci ha visto in più occasioni, si è aggrappata a noi. Ci vedeva come veri amici, una liberazione dall’ospedale. La volta successiva non era più lì, era uscita. Ne sono stata felice”. Sulla sua crescita da studentessa: “da clown non apprendi nulla di scientifico, ma fai tanta pratica su come trattare le persone. Si impara molto a confrontarsi con il lato umano del paziente”. È una matricola Roberta Michelino, 19 anni. A dicembre ha conseguito l’attestato per la clownterapia: “mi sono iscritta a Medicina per mettermi in gioco e aiutare gli altri. Nelle mie esperienze da paziente o da familiare di un paziente mi è capitato spesso di incontrare medici antipatici. Ho pensato che per cambiare le cose non serve lamentarsi, ma impegnarsi in prima persona”. Indossare il naso rosso “mi dà la possibilità di liberare qualcuno da un pensiero opprimente, estraniandomi dalla realtà. Non si va lì per la malattia, ma per rallegrare”. È una veterana Francesca De Stefanis, 24 anni, aspirante medico da cinque e clown da quattro: “sono entrata a Medicina sperando di poter frequentare un corso di clownterapia. Al primo anno conobbi il SISM e mi iscrissi al corso organizzato da loro e tenuto, per la parte teorica, dal prof. Paolo Valerio – docente di Psicologia clinica – e dal professore di Igiene Paolo Montuori. Per la pratica, invece, ci sono stati due incontri con ragazzi del SISM”. All’edificio 11, sede del reparto di Pediatria, non manca mai “in festività come Pasqua e Natale. Da studenti, però, non riusciamo ad essere costanti. Io cerco di andarci almeno un paio di volte al mese”. Una volta particolare: “fu con una bambina cieca e sorda. Entrai in crisi perché fu la prima volta che ebbi problemi a socializzare. Mi affidai a tatto e olfatto. Lei sorrise. Mi resi conto dei tanti modi che esistono per comunicare”. Non è l’unico modo per dedicarsi agli altri. Al Centro Polifunzionale gestito dal papà, a Portici, Francesca si occupa del doposcuola sociale “per bambiniche hanno situazioni familiari particolari. Li aiuto con i compiti. Il Centro è un punto di ritrovo per tutte le età. Adesso stiamo organizzando un torneo di calcetto. Per gli anziani, invece, ci sono lezioni di danza, teatro e tante partite di burraco”. Sogno per il futuro: “ho sempre seguito con attenzione Medici senza frontiere. Vorrei lavorare in realtà ben diverse e più complicate dei nostri ospedali”. Magari portando con sé un piccolo naso rosso.
alcuni studenti di Medicina che hanno deciso di sottrarre un po’ di tempo allo studio, quando possibile, per destinarlo a piccoli pazienti. Ne è un esempio Marco Riccardo, 24 anni, studente del terzo anno, ex scout e clown “certificato”. Come tanti suoi colleghi, infatti, Marco, attirato da questa esperienza, ha deciso di frequentare circa un anno e mezzo fa il corso di preparazione organizzato per i propri iscritti dal SISM, il Segretariato Italiano Studenti di Medicina: “è stato sviluppato in cinque incontri tenuti da uno psicologo e da clown formatori. Ci hanno fatto capire le diverse situazioni nelle quali ci saremmo potuti trovare e come comportarci in gruppo”. Frequentando il reparto di Pediatria del Policlinico collinare è diventato clown esperto: “aiuto i ragazzi nuovi a capire cosa significa essere clown”. Lo fa organizzando giochi e creando al momento scenette e personaggi a misura di paziente: “è un’esperienza bellissima. Siamo capaci di far sorridere i bambini facendo dimenticare per poco tempo la malattia. Mi affeziono a tutti, con la speranza, ogni volta che vado via, di non doverli più rivedere in ospedale”. L’impegno sociale lo sta indirizzando verso un obiettivo futuro: “mi piacerebbe
partire con Medici senza frontiere”. Sua collega di reparto e di banchi è la ventunenne Martina Dello Russo: “ho sempre sentito il bisogno di donare agli altri e cercavo un modo per mettermi alla prova”. La vita da clown “mi ha permesso di essere me stessa, eliminando le maschere che a volte si indossano”. Il diktat: “non vedere il bambino come un paziente. Sarebbe difficile liberare la mente”. Nelle stanze d’ospedale ha portato bolle di sapone e “storie senza un preciso canovaccio. Ci vuole improvvisazione per soddisfare le esigenze del bambino e per farlo stare meglio”. Porta un episodio nel
cuore: “una bambina, che ci ha visto in più occasioni, si è aggrappata a noi. Ci vedeva come veri amici, una liberazione dall’ospedale. La volta successiva non era più lì, era uscita. Ne sono stata felice”. Sulla sua crescita da studentessa: “da clown non apprendi nulla di scientifico, ma fai tanta pratica su come trattare le persone. Si impara molto a confrontarsi con il lato umano del paziente”. È una matricola Roberta Michelino, 19 anni. A dicembre ha conseguito l’attestato per la clownterapia: “mi sono iscritta a Medicina per mettermi in gioco e aiutare gli altri. Nelle mie esperienze da paziente o da familiare di un paziente mi è capitato spesso di incontrare medici antipatici. Ho pensato che per cambiare le cose non serve lamentarsi, ma impegnarsi in prima persona”. Indossare il naso rosso “mi dà la possibilità di liberare qualcuno da un pensiero opprimente, estraniandomi dalla realtà. Non si va lì per la malattia, ma per rallegrare”. È una veterana Francesca De Stefanis, 24 anni, aspirante medico da cinque e clown da quattro: “sono entrata a Medicina sperando di poter frequentare un corso di clownterapia. Al primo anno conobbi il SISM e mi iscrissi al corso organizzato da loro e tenuto, per la parte teorica, dal prof. Paolo Valerio – docente di Psicologia clinica – e dal professore di Igiene Paolo Montuori. Per la pratica, invece, ci sono stati due incontri con ragazzi del SISM”. All’edificio 11, sede del reparto di Pediatria, non manca mai “in festività come Pasqua e Natale. Da studenti, però, non riusciamo ad essere costanti. Io cerco di andarci almeno un paio di volte al mese”. Una volta particolare: “fu con una bambina cieca e sorda. Entrai in crisi perché fu la prima volta che ebbi problemi a socializzare. Mi affidai a tatto e olfatto. Lei sorrise. Mi resi conto dei tanti modi che esistono per comunicare”. Non è l’unico modo per dedicarsi agli altri. Al Centro Polifunzionale gestito dal papà, a Portici, Francesca si occupa del doposcuola sociale “per bambiniche hanno situazioni familiari particolari. Li aiuto con i compiti. Il Centro è un punto di ritrovo per tutte le età. Adesso stiamo organizzando un torneo di calcetto. Per gli anziani, invece, ci sono lezioni di danza, teatro e tante partite di burraco”. Sogno per il futuro: “ho sempre seguito con attenzione Medici senza frontiere. Vorrei lavorare in realtà ben diverse e più complicate dei nostri ospedali”. Magari portando con sé un piccolo naso rosso.