Hareth Amar, laureando in Architettura, racconta cosa significa essere un giovane musulmano in Italia

Nutre una grande passione per la progettazione e l’urbanistica Hareth Amar, 24 anni, laureando in Architettura. “Sono sempre stato affascinato dall’approccio progettuale ed era forte in me il desiderio di approfondire tutti gli aspetti che la parola ‘Architettura’ incorpora in concertazione con altri saperi. Ora che sono prossimo alla tesi ho le idee molto più chiare. E credo che Architettura sia un giusto connubio tra studi umanistici e scientifici. Bisogna studiare la storia e la critica dell’arte, ma nello stesso tempo le tecniche e le regole che stanno alla base del costruire, e in ogni passaggio non perdere mai di vista che le nostre scelte caratterizzeranno in ogni caso le vite altrui”, sottolinea. È figlio di genitori palestinesi, ma è nato e cresciuto a Napoli. Ormai giunto quasi alla conclusione del percorso universitario, racconta la sua storia con la prospettiva di chi sente fortemente sin da bambino l’appartenenza a due culture diverse. “Affiancare due sistemi di valori e considerare entrambi fonte inesauribile di arricchimento personale. Questo significa avere un’identità italiana che non entra in contrasto con i valori islamici, in primis la collaborazione e la tolleranza”, questo significa essere un giovane musulmano in Italia, dice Hareth. “Ho sempre parlato italiano a scuola e con gli amici, e arabo a casa. Crescendo si è sempre più accentuato il mio essere ponte tra le due culture. Ad oggi mi riconosco nell’Italia e comprendo profondamente la mentalità italiana e nello stesso momento sono portatore di valori islamici e tradizioni arabe”. Ripercorrendo le tappe di alcuni ricordi d’infanzia fino all’esperienza, conclusa da poco, nelle vesti di Presidente dell’Associazione Giovani Musulmani in Italia (GMI), emerge la visione di chi, ben conscio delle dinamiche in moto sullo scacchiere internazionale, invita al rispetto della diversità per scongiurare il pericolo del nemico comune, la paura. Avete usanze particolari in famiglia che conservate dalle vostre radici?“Spesso si confondono le tradizioni della cultura araba con le scelte religiose. Adesso, per esempio, sto praticando il Ramadan. Bisogna far chiarezza su questo punto. Il digiuno, così come il velo, non sono imposizioni dettate dal Corano. Ognuno sceglie il modo in cui vivere la propria spiritualità, il culto che vuol professare individualmente. Se, invece, dovessi parlare di usanze che sento fortemente arabe e che m’influenzano tutt’oggi, direi che noi abbiamo, per esempio, un profondo senso dell’accoglienza verso gli ospiti, un rituale di benvenuto”. Qual è la storia della tua famiglia? “Mio padre è arrivato in Italia per motivi di studio e poi ha deciso di stabilirsi a Napoli in continuità per questioni legate al lavoro e probabilmente anche perché si trova bene in questa bellissima città. Il calore del popolo arabo è simile a quello dei napoletani e si sente dappertutto. Per questo motivo, non ho mai avuto problemi a integrarmi. Sono poche le città al mondo che hanno un carattere, una personalità, un’anima che perdura anche se ci si sposta dal centro storico. Qui si percepisce la vita in ogni angolo”.
Il diverso valore del tempo
Quali sono i benefici di appartenere a due culture così diverse? “È meraviglioso poter pensare in due lingue e con due mentalità, ponderare le scelte analizzando nello stesso momento due ottiche differenti o meglio con una sola prospettiva che inglobi però motivazioni miste, quelle di chi è attaccato alle sue origini ma contemporaneamente vive un presente distante dal suo contesto d’origine. Questi sono alcuni dei vantaggi, ma io credo si debba sempre prendere il buono che c’è nel contatto con ogni cultura. Quanto alla fede, sono fermamente convinto che nessuna possa impedire di riconoscersi in un luogo o in una nazione. In Medioriente la religione più praticata è sicuramente l’Islam, tuttavia questo non vieta ai cittadini di altre confessioni di eleggere a patria un altro paese”. Italia e mondo arabo. Quali sono le differenze tra queste due realtà dal punto di vista del quotidiano? “La differenza di un culto, quello del tempo! Nella società italiana il tempo ha un valore inestimabile. Le persone corrono da una parte all’altra affannandosi pur di rientrare nei tempi previsti, nelle scadenze prefissate. Gli arabi concepiscono il tempo con molta più tranquillità e agiatezza, si prende tutto un po’ più alla leggera. Non che i ritmi siano così lenti, ma non c’è tanta fretta alla maniera europea, per cui non vale il motto ‘il tempo è denaro’. Io, fortunatamente, sono a metà tra i
due poli”. Viviamo in un momento storico nel quale i termini ‘attentato’, ‘terrorismo’, ‘fondamentalismo’ sono all’ordine del giorno. Secondo te, i media nazionali diffondono un’interpretazione scorretta o superficiale dei precetti islamici? “Sicuramente contribuiscono a diffondere molti punti di vista devianti. Ci sono casi e casi, ma una buona parte dei media lucra sulla faccenda immigrati, sul sangue degli innocenti che muoiono in un attentato o sono vittime di attacchi terroristici. I fruitori involontariamente si fanno condizionare. In Europa tutto ciò non avviene perché chiunque mantiene una propria linea di pensiero. I programmi televisivi, per esempio, non sono di un livello basso quanto in Italia. Nessuno di certo dice che il problema sia l’Islam”. Quali sono, secondo te, le più immediate conseguenze della circolazione di notizie erronee? “I media, sollevando inutili polveroni o diffondendo a volte notizie false, favoriscono il gioco ai terroristi che stanno avendo quello che vogliono, ossia la paura. I giornali, la tv, ormai anche i social, stanno svolgendo purtroppo un ruolo inverso. Durante le guerre del secolo scorso la radio serviva a rassicurare i cittadini, non aumentava il panico. Dovrebbero essere posti dei limiti alla libertà di spaventare. Così si fa passare l’Islam per ciò che non è. Se poi si parla dell’Isis o di altre derive estremistiche, il problema è sentito ancor di più
nei paesi arabi, ma in Italia spesso non si comprende che coloro che compiono tali gesti sono quasi sempre reduci da un passato criminale. Altre volte sono cresciuti in un ambiente ostile, perciò tendono a rifugiarsi in un sistema di valori grande quale la religione ma manipolati da qualcuno finiscono per seguire un cammino opposto”.
I cliché da sfatare sull’Islam
Quali sono i miti da sfatare sull’Islam? Quali i luoghi comuni più frequenti? “Di questi tempi, chiunque abbia studiato la religione islamica s’imbatte quotidianamente in cliché privi di senso. C’è ancora chi confonde arabo con musulmano o chi pensa musulmano=terrorista,anche tra le persone che ci rappresentano, e questo mi dispiaceimmensamente. L’unico modo per porre rimedio a questa situazione è migliorare l’istruzione di base. Generalizzazioni ed errori aberranti partono proprio dai libri di testo che si leggono alle scuole medie e superiori. Non si tratta di ‘pregiudizi’, ma di giudizi corroborati dall’istruzione e che spesso arrivano anche da persone istruite”. Sei stato Presidente di ‘Giovani Musulmani Italiani’. Qual è la mission di quest’associazione e come agisce in Italia e a livello internazionale? “Il GMI nasce 16 anni fa come raggruppamento di giovani in alcune  città e oggi conta gruppi attivi in più di 50 comuni italiani, dunque una rete molto ramificata, da Bolzano a Reggio Calabria, alle Isole. Gli anni e le occasioni mi hanno portato a un’esperienza unica nel suo genere ed estremamente importante per un giovane che si definisce musulmano. Nel GMI ogni giovane cresce chiarendosi le idee sulla propria religione e sui doveri ai quali deve adempiere, ovunque ci si trovi. Ecco allora che l’Islam raccomanda ai fedeli di essere persone utili nel tessuto sociale, di non discriminare persona alcuna, di ricercare la conoscenza, istruirsi ed essere propositivi e produttivi”. Qual è la situazione attuale dal punto di vista giuridico di un musulmano in Italia ad oggi? “A livello giuridico l’Italia continua a non riconoscere formalmente la religione islamica, impedendo e rallentando diverse pratiche religiose. A differenza delle altre confessioni, l’Islam infatti non ha ancora un’intesa con lo Stato”. Viaggiare è una delle tue passioni più grandi. Quali sono i ricordi che porti con te? “Ho iniziato a viaggiare sin da piccolo, a confrontarmi con altre realtà. Ho dei ricordi meravigliosi dei viaggi in Giordania e soprattutto di una Siria prima della guerra. Sono stato diverse volte in Palestina ed è stupendo osservare la vita condivisa tra musulmani e cristiani, non vi è alcuna discriminazione o difficoltà nel praticare o manifestare il proprio culto, addirittura le festività di ciascuna religione diventano occasioni per gli altri fedeli per andare a visitare gli altri e festeggiare insieme. Sempre della Palestina, invece, da piccolo mi rimasero impresse le limitazioni alle quali dovevano sottostare i cittadini o coloro che viaggiavano, i permessi da fare per spostarsi, i controlli e i checkpoint, sempre in uno stato di tensione latente”. Quali sono i rimedi per combattere l’islamofobia e favorire l’integrazione della comunità islamica a Napoli? “In inglese si dice ‘coworking’, lavorare assieme. A Napoli la comunità islamica è molto attiva sul territorio e organizza tantissime iniziative. Se poi viene interpellata solo per motivi di sicurezza, allora non si può collaborare in modo costruttivo. Certo è che gli attentati hanno lanciato un segnale, adesso è molto più sentito il bisogno di avvicinare, non far divergere le culture. Sogno un’Italia nella quale vivere questo clima di fratellanza e cittadinanza nello stesso momento. Sicuramente arriverà questo giorno, è solo questione di tempo”.
Sabrina Sabatino
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