Giurisprudenza riparte dal prossimo mese di settembre con un nuovo ordinamento didattico. Dall’anno accademico 2006/07 arriva il nuovissimo 1+4, ossia il Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza a ciclo unico quinquennale. Ne parliamo con il prof. Mario Rusciano, docente di Diritto del Lavoro e Presidente della Commissione didattica.
Professore, è stato un periodo intenso per le Facoltà giuridiche. Speriamo non ci siano altre sorprese… “No. È giunto il momento di riposarci, di stare un po’ tranquilli. Non c’è cosa peggiore che cambiare in continuazione, gli studenti perdono serenità e stabilità emotiva”. Diversamente da quanto è avvenuto in altri Atenei, Giurisprudenza Federico II ha attivato per il nuovo anno accademico solo il Corso quinquennale, senza affiancarvi quello triennale, che prosegue solo per chi è già iscritto. Perché? “Abbiamo preferito indicare un percorso compatto e unitario a chi si iscriverà. E’ inutile e dannoso sfilacciare le tematiche in una pluralità di corsi. Anche chi effettua il passaggio da altri Atenei potrà iscriversi esclusivamente alla quinquennale. Inoltre, abbiamo cercato di agevolare il passaggio dei nostri studenti dal 3+2 all’1+4”. Chi è lo studente di Giurisprudenza? “Non c’è dubbio che sia da preferire chi ha una cultura classica. Lo studio del diritto si basa sulla capacità di interpretazione, che in chi proviene da studi classici è più affinata. E poi il giurista è anche un po’ uno storico, perché il diritto pone le regole per una società che vive in un certo momento storico. Naturalmente questo non significa che chi ha frequentato altre scuole non sia in grado di capire e percepire il mondo del diritto. La cosa veramente importante è che la persona creda nella importanza delle regole e sia pronta a interiorizzarle. Le norme non sono una cosa al di fuori di sé, ma devono entrare nella coscienza del soggetto”. Parliamo dunque di uno studente molto consapevole della scelta che fa quando si iscrive a questa Facoltà. Non crede invece che frequentemente Giurisprudenza sia un’opzione di ripiego, basata sull’errata convinzione che il diritto sia semplice da studiare un po’ per chiunque? “Ci sono studenti che partono così, però non fanno molta strada. Prima o poi viene fuori che uno è completamente sganciato dalla realtà del diritto. Ma resta un problema, perché è anche vero che prima o poi il pezzo di carta lo prendono tutti”. Ciò che spesso attira giovani magari non molto convinti è l’ampiezza degli sbocchi professionali. Pare che Giurisprudenza ne offra davvero tanti. Sono possibilità effettive o solo teoriche? “I laureati bravi, quelli più preparati e consapevoli, trovano sempre lavoro. La questione si pone proprio per chi ha scelto Giurisprudenza per ripiego e alla fine è riuscito, malgrado tutto, a prendere il pezzo di carta. Lì diventa dura. In generale, comunque, il mio consiglio è di tenere gli occhi bene aperti sul mondo, sui rapporti internazionali. Ci sono nuovi campi di studio di rilevanza internazionale che possono offrire buone possibilità; gli studenti devono cominciare a sforzarsi di proiettarsi oltre il proprio orticello, altrimenti si immeschiniscono”. Dritto alle future matricole: come si studia? “Non da soli. Nel senso che o si studia in compagnia o si studia da soli e poi si ripete insieme agli altri, perché, per come sono strutturati, i nostri esami si basano soprattutto sul linguaggio. Essenziale il ragionamento: bisogna immedesimarsi nel soggetto giuridico. Ad esempio, se si studia il contratto di compravendita, si deve immaginare di essere il venditore o il compratore. Cosa che peraltro non dovrebbe essere difficile, visto che i principi fondamentali del diritto sono di esperienza comune, e quindi a maggior ragione non vanno imparati a memoria. Mi stupisco sempre quando in istituto vedo ragazzi che ripetono da soli con il libro aperto davanti. Ripetere a pappagallo non serve a niente”. Naturalmente si parte dalla frequenza alle lezioni, vero? “Certo, frequentare i corsi serve in primo luogo a imparare come si conduce un ragionamento giuridico”. Professore, può sembrare una domanda banale, ma la si sente spesso dagli studenti della Facoltà di Giurisprudenza, che ha migliaia di immatricolati ogni anno e anche migliaia di fuori corso. Meglio laurearsi in tempi più lunghi con un voto alto o cercare di fare più in fretta possibile accontentandosi? “Come al solito, in medio stat virtus. Ci si dovrebbe laureare in tempi ragionevolmente brevi, e cioè che consentano un apprendimento maturo e compiuto ma senza andare troppo oltre la durata del corso. E’ assolutamente sbagliato impiegare sette, otto anni per prendere tutti 27, 28 e 30, ma è sbagliato pure fare le corse per poi ritrovarsi laureati con una preparazione scarsa e dover ripartire da zero con Master, Specializzazioni e simili. Correre e prendere tutti 18 è uno spreco di energie inutile, perché ricordate: il 18 non è una valutazione sfortunata ma una valutazione di insufficienza, una valutazione che non va bene. Quanti 18 ho purtroppo dovuto dare a ragazzi intelligenti che però non si erano applicati abbastanza! Uno spreco di talenti. Allora, se sei mesi o un anno in più possono servire per acquisire una preparazione più giusta, ben venga. Non si vada oltre però”.
Sara Pepe
Professore, è stato un periodo intenso per le Facoltà giuridiche. Speriamo non ci siano altre sorprese… “No. È giunto il momento di riposarci, di stare un po’ tranquilli. Non c’è cosa peggiore che cambiare in continuazione, gli studenti perdono serenità e stabilità emotiva”. Diversamente da quanto è avvenuto in altri Atenei, Giurisprudenza Federico II ha attivato per il nuovo anno accademico solo il Corso quinquennale, senza affiancarvi quello triennale, che prosegue solo per chi è già iscritto. Perché? “Abbiamo preferito indicare un percorso compatto e unitario a chi si iscriverà. E’ inutile e dannoso sfilacciare le tematiche in una pluralità di corsi. Anche chi effettua il passaggio da altri Atenei potrà iscriversi esclusivamente alla quinquennale. Inoltre, abbiamo cercato di agevolare il passaggio dei nostri studenti dal 3+2 all’1+4”. Chi è lo studente di Giurisprudenza? “Non c’è dubbio che sia da preferire chi ha una cultura classica. Lo studio del diritto si basa sulla capacità di interpretazione, che in chi proviene da studi classici è più affinata. E poi il giurista è anche un po’ uno storico, perché il diritto pone le regole per una società che vive in un certo momento storico. Naturalmente questo non significa che chi ha frequentato altre scuole non sia in grado di capire e percepire il mondo del diritto. La cosa veramente importante è che la persona creda nella importanza delle regole e sia pronta a interiorizzarle. Le norme non sono una cosa al di fuori di sé, ma devono entrare nella coscienza del soggetto”. Parliamo dunque di uno studente molto consapevole della scelta che fa quando si iscrive a questa Facoltà. Non crede invece che frequentemente Giurisprudenza sia un’opzione di ripiego, basata sull’errata convinzione che il diritto sia semplice da studiare un po’ per chiunque? “Ci sono studenti che partono così, però non fanno molta strada. Prima o poi viene fuori che uno è completamente sganciato dalla realtà del diritto. Ma resta un problema, perché è anche vero che prima o poi il pezzo di carta lo prendono tutti”. Ciò che spesso attira giovani magari non molto convinti è l’ampiezza degli sbocchi professionali. Pare che Giurisprudenza ne offra davvero tanti. Sono possibilità effettive o solo teoriche? “I laureati bravi, quelli più preparati e consapevoli, trovano sempre lavoro. La questione si pone proprio per chi ha scelto Giurisprudenza per ripiego e alla fine è riuscito, malgrado tutto, a prendere il pezzo di carta. Lì diventa dura. In generale, comunque, il mio consiglio è di tenere gli occhi bene aperti sul mondo, sui rapporti internazionali. Ci sono nuovi campi di studio di rilevanza internazionale che possono offrire buone possibilità; gli studenti devono cominciare a sforzarsi di proiettarsi oltre il proprio orticello, altrimenti si immeschiniscono”. Dritto alle future matricole: come si studia? “Non da soli. Nel senso che o si studia in compagnia o si studia da soli e poi si ripete insieme agli altri, perché, per come sono strutturati, i nostri esami si basano soprattutto sul linguaggio. Essenziale il ragionamento: bisogna immedesimarsi nel soggetto giuridico. Ad esempio, se si studia il contratto di compravendita, si deve immaginare di essere il venditore o il compratore. Cosa che peraltro non dovrebbe essere difficile, visto che i principi fondamentali del diritto sono di esperienza comune, e quindi a maggior ragione non vanno imparati a memoria. Mi stupisco sempre quando in istituto vedo ragazzi che ripetono da soli con il libro aperto davanti. Ripetere a pappagallo non serve a niente”. Naturalmente si parte dalla frequenza alle lezioni, vero? “Certo, frequentare i corsi serve in primo luogo a imparare come si conduce un ragionamento giuridico”. Professore, può sembrare una domanda banale, ma la si sente spesso dagli studenti della Facoltà di Giurisprudenza, che ha migliaia di immatricolati ogni anno e anche migliaia di fuori corso. Meglio laurearsi in tempi più lunghi con un voto alto o cercare di fare più in fretta possibile accontentandosi? “Come al solito, in medio stat virtus. Ci si dovrebbe laureare in tempi ragionevolmente brevi, e cioè che consentano un apprendimento maturo e compiuto ma senza andare troppo oltre la durata del corso. E’ assolutamente sbagliato impiegare sette, otto anni per prendere tutti 27, 28 e 30, ma è sbagliato pure fare le corse per poi ritrovarsi laureati con una preparazione scarsa e dover ripartire da zero con Master, Specializzazioni e simili. Correre e prendere tutti 18 è uno spreco di energie inutile, perché ricordate: il 18 non è una valutazione sfortunata ma una valutazione di insufficienza, una valutazione che non va bene. Quanti 18 ho purtroppo dovuto dare a ragazzi intelligenti che però non si erano applicati abbastanza! Uno spreco di talenti. Allora, se sei mesi o un anno in più possono servire per acquisire una preparazione più giusta, ben venga. Non si vada oltre però”.
Sara Pepe