Ingegneri, analisti e commercialisti: i professionisti più esposti agli illeciti ambientali

Si parla spesso di “Terra dei fuochi”, di rifiuti, di disastri ambientali, ma che ruolo giocano l’economia e la giurisprudenza in merito? Una parziale risposta viene fornita attraverso il seminario “La legalità quale fattore determinante nello sviluppo del territorio: il problema dei reati ambientali”, organizzato il 17 aprile a Palazzo Pacanowski dai professori Marina Romano e Floro Ernesto Caroleo del Dipartimento di Studi Economici e Giuridici, sensibili al problema dello smaltimento illegale dei rifiuti: tra realtà industriale ed ecomafia. “Il tema dei reati ambientali va visto anche in relazione alle potenzialità turistiche del territorio, ad esempio le zone di Mondragone e Minturno, benché ricche di attrattive, figurano fuori dal circuito turistico, perché nella Terra dei fuochi”, introduce la prof.ssa Romano, che passa subito la parola al Magistrato ordinario presso la III sezione Penale della Corte d’Appello del Tribunale di Napoli Massimo Perrotti: “dobbiamo innanzitutto individuare i profili di responsabilità del professionista in merito ai reati ambientali. Il nostro Ordinamento risulta disorganico e affastellato in merito alla tutela dell’ambiente, con il conseguente andamento parossistico, ovvero non si capisce cosa si voglia tutelare e come sanzionare gli illeciti: ad esempio, non è chiaro neanche cosa si intenda precisamente per rifiuto”. È infatti un fenomeno difficile da circoscrivere con le parole. “Finchè si tratta di omicidi e rapine è facile, ma se si tratta di condotta nella Pubblica Amministrazione o nell’impresa è difficile comprendere cosa è lecito e cosa non lo è. L’Ordinamento con la 648-ter 1 interviene sanzionando le condotte con carattere contravvenzionale. In pratica, però, questa soluzione non avrà riscontro positivo, poiché interviene prima la prescrizione, quindi non si arriva in Cassazione in cinque anni. La prassi d’intervento delle Procure ha pertanto tentato di supplire con altre fattispecie sanzionatorie, ad esempio la 260 del Testo Unico, che riduce il reato sotto l’aspetto dell’associazionismo”, prosegue. La figura del professionista che maggiormente può essere esposta all’illecito ambientale è l’ingegnere che si occupa della bonifica dei territori: “oppure chi lavora nei Laboratori di analisi. Infatti l’economia incide molto sulla produzione del reato. Lo smaltimento è diverso a seconda della classificazione del rifiuto, che avviene in Laboratorio. Dal tipo di rifiuto deriva la diversa spesa per lo smaltimento, e il fine dell’azienda che si rivolge al Laboratorio di analisi è quello di spendere il meno possibile. Per contro, il Laboratorio, cercando di non perdere il cliente, tende a soddisfare le sue richieste, si crea quindi una convergenza di interessi criminogenetica”. Le norme dovrebbero appunto impedire queste coincidenze pericolose, che offrono il fianco alla deviazione. “Altro professionista che può rispondere del reato è il commercialista, solo se è a conoscenza dell’illecito, lo vuole e lo determina”. Parla delle mancanze del legislatore in materia Angelo Merlin, docente di Diritto Penale dell’ambiente alla LUISS di Roma: “le statistiche di Legambiente dicono che le entrate illegali per il ciclo dei rifiuti sono di quindici miliardi di euro l’anno, dati economici che avrebbero dovuto indurre a un’attenzione particolare sia nelle fattispecie sanzionatorie, che in quelle dei reati commessi da professionisti che gravitano intorno al circuito economico”. Il modello ambientale oggi vigente non punisce la condotta per inquinamento: “in più gli illeciti vengono facilmente estinti mediante pagamento di denaro, di conseguenza il reato ambientale non fa paura all’imprenditore. Il rischio è che si arrivi a una depenalizzazione tramite soluzioni sbrigative. Circa 6000 reati ambientali sono stati commessi in Italia, laddove ci sono le industrie. Ciò dipende non solo dal fatto che le imprese cercano di spendere meno per lo smaltimento, ma anche dalla scarsa chiarezza della normativa ambientale”. Ancora oggi, difatti, esistono incertezze interpretative sulla classificazione dei rifiuti. “Nel Testo Unico Ambientale sono previsti anche delitti, ma con termini difficilmente decifrabili quali ad esempio ‘abusiva gestione di ingenti quantità di rifiuti’, che prevede la reclusione da uno a sei anni. Questo ‘ingente’ ha carattere di indeterminatezza, per cui la Corte dei Conti si vede costretta a intervenire stabilendo una quantità, rispetto alle mancanze del Legislatore sciatto”. È inoltre la Comunità Europea a chiedere sanzioni penali più pregnanti, come con la direttiva 2008/99: “in merito, il nostro Ordinamento interviene in ritardo e male, poiché introduce solo alcune fattispecie di reato e con leggi approssimative, che causano indeterminatezza della condotta prevista. Queste leggi presentano concetti astratti che si prestano a battaglie giudiziarie, che portano inevitabilmente ad interventi repressivi modesti. Sarebbe dunque d’aiuto che il Legislatore inserisse una tipicità di reato. L’introduzione di quello ambientale costituisce solo un passo avanti, non è una soluzione al problema. L’intervento repressivo svolge un ruolo marginale se non c’è una conversione delle coscienze”. Il professor Caroleo conclude: “dal punto di vista economico, è difficile dare un valore a un bene ambientale, per cui entra in gioco il comportamento opportunistico. Nell’ambito dell’economia possiamo in ogni caso prevedere figure di supporto all’imprenditore che gestiscano i processi produttivi, attraverso appositi protocolli che servono ad evitare l’illecito”.
Soddisfatti gli studenti Francesco Martola, al terzo anno di Economia Aziendale – “perché i docenti hanno trattato un tema che interessa molto noi napoletani” – e Verderico Manganiello, al terzo di Management delle imprese turistiche, che afferma: “il problema, alla luce del seminario di oggi, non è tanto l’etica, quanto il Legislatore che crea leggi che si contraddicono o che presentano facili escamotage”.
Allegra Taglialatela
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