Je suis Charlie? Giurisprudenza si interroga sulla libertà di espressione

È la mattina del 7 gennaio quando a Parigi la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo viene decimata da due francesi di religione musulmana al grido di Allah Akbar. La reazione immediata dell’occidente tutto è solidarizzare in massa: “je suis Charlie”. Nel Dipartimento di Giurisprudenza della SUN però, piuttosto che limitarsi a condividere un’immagine su un social network, si preferisce gettare le basi per un confronto importante sugli sconvolgimenti recenti. La data scelta è il 5 febbraio, giorno per il quale è programmato al Palazzo Melzi di Santa Maria Capua Vetere il convegno dal titolo piuttosto esplicativo: “Simboli e valori religiosi vs. libertà di espressione? I rischi di una guerra tra civiltà: a margine del caso Charlie Hebdo”. Ad organizzare il dibattito in tempo record (meno di trenta giorni dopo l’attacco terroristico) sono le cattedre di Diritto ecclesiastico, Diritto interculturale e delle religioni, Diritti confessionali e Diritto canonico; il tutto su iniziativa del prof. Antonio Fuccillo, che per l’occasione ha collaborato con l’associazione studentesca Università dei Valori, la quale si occuperà di promuovere l’appuntamento e sarà rappresentata durante l’evento dal rappresentante degli studenti in Senato Accademico Gaetano Scognamiglio.
“Facciamo una premessa: chi fa queste cose è un criminale”. Così esordisce il prof. Fuccillo, schivando fin da subito possibili fraintendimenti. “Ma questa cosa non ha niente a che vedere con la religione. Quelle sono persone che, in base ad un’interpretazione discutibile del proprio credo, esagerano e commettono dei reati gravissimi. Il laicismo francese non è responsabile di queste reazioni, ma lo è del disagio che provano i giovani musulmani delle banlieue, persone che non possono vivere liberamente la propria religione. La legge francese sulla libertà religiosa è in realtà una legge che limita tale libertà. Perché se mio marito mi costringe a indossare il burqa, allora lo Stato deve intervenire, ma se è la fede che mi spinge ad indossarlo, ed è una mia libera scelta, lo Stato ha invece il compito di non farmi sentire discriminata. Parliamo dei musulmani perché sono un miliardo e settecento milioni nel mondo, ma per esempio un indiano sikh non può entrare col turbante in un’Università francese, perché è vietata l’ostensione di simboli religiosi di qualsiasi genere. E questo equivale ad una violenza, perché per un indiano sikh non portare il turbante è come girare nudo”. A questo punto cominciamo a capire meglio l’immagine scelta per la locandina dell’evento. All’iconico cartello che recita “Je suis Charlie” è stato aggiunto un punto interrogativo. Possiamo dirci tutti Charlie e allo stesso tempo attraverso questo slogan sperare di ricucire una società multietnica? I valori dell’immensa Marcia Repubblicana che ha seguito i fatti di Parigi, tutti compresi tra République e Nation come il percorso coperto dal milione e mezzo di persone scese in corteo, può includere l’8% della popolazione francese appartenente all’Islam? “In passato un cristiano e un musulmano difficilmente sarebbero potuti venire in contatto. Oggi viviamo fianco a fianco, ed è necessaria la coesistenza. Per questo chi studia diritto deve confrontarsi con una società plurale, multireligiosa. Ora, se la legge riesce a garantire a tutti il diritto all’identità, ad essere se stesso, anche gli episodi criminosi si ridurranno. Ecco il perché di questo convegno”.
A guardare ancora meglio la locandina c’è un’altra cosa che colpisce l’occhio: la lista degli interventi è folta e varia. “Approcceremo il discorso da tanti punti di vista. Non saranno presenti solo studiosi di Ecclesiastico, ma anche costituzionalisti, storici della religione, storici delle dottrine politiche. Tutti studiosi provenienti un po’ da tutte le università del territorio. Abbiamo cercato questa varietà per approcciare anche il discorso sulla libertà di espressione in maniera completa”. Sì, perché non bisogna dimenticare un’altra immagine che ha fatto il giro del web e delle televisioni in seguito all’attentato: l’immagine della matita spezzata. L’odio contro Charlie Hebdo era stato provocato da alcune vignette satiriche molto discusse che avevano come protagonista Maometto. Ma l’immagine del profeta è sacra per l’Islam e non può essere raffigurata. Se molti commenti a caldo avevano sorvolato su questo controverso argomento, ritenendo prioritario condannare l’atto terroristico, dopo un mese ci si può tornare ad interrogare: “Nel paese in cui posso insultare le religioni in nome della libertà di espressione, è la libertà religiosa dei credenti a venire intaccata. Ci domanderemo allora: c’è un limite alla libertà di espressione? Questo limite può essere insito nella tutela di altri valori costituzionali? In Italia a me pare di sì. Non si tratta di censura, ma di contemperare la libertà di espressione agli altri valori costituzionali”. Insomma, a sentire le parole del prof. Fuccillo, per il 5 febbraio ci si potrà aspettare una discussione di altissimo livello su argomenti molto delicati e attuali. 
“È stata un’idea che ho condiviso con il professore in Consiglio. Nel giro di mezz’ora abbiamo pianificato il tutto – dice Gaetano Scognamiglio, rappresentante degli studenti al Senato Accademico – Il nostro ruolo è come sempre quello di invogliare i giovani a partecipare a queste importanti iniziative. E devo dire che la giornata sta avendo successo. Rappresentanti sia di Lettere che di Ingegneria mi hanno contattato per partecipare al dibattito, e sono molto contento di essere riuscito ad allargare la partecipazione ad altri soggetti”. E sull’immagine in locandina Scognamiglio ha un’idea ben precisa: “Quello slogan è molto provocatorio. Certo, bisogna difendere il giornale dall’attacco che ha ricevuto, ma non tutti si riconoscono in Charlie Hebdo. Tutto si può dire, ma nel rispetto delle altre culture e delle altre religioni”. In un altro slogan? “Più che per il je suis Charlie, sono per il je suis”. 
Valerio Casanova
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