È stato il primo a dare la disponibilità per la candidatura a Rettore dell’Università Federico II, a gennaio lo avevamo inserito tra i potenziali candidati. È il prof. Massimo Marrelli, Presidente dimissionario del Polo delle Scienze Umane e Sociali che, con un programma articolato (pubblicato integralmente sul sito www.ateneapoli.it), ha ufficializzato la sua candidatura. Semplificazione, governance, valutazione, politica del personale e rapporto tra Università a Servizio Sanitario Nazionale sono le linee guida, passando dalla modifica dello Statuto, puntando allo snellimento della struttura ed al più efficace funzionamento.
Da qualche giorno è partito il tour elettorale, vediamo quali sono le prime impressioni.
“Sto vivendo un’esperienza stancante ma interessante. Ho parlato con Direttori di Dipartimenti, Presidenti di Corso di Laurea, Direttori di Laboratori. Il Federico II è una realtà poco conosciuta nella sua complessità, con tante sfaccettature, ricchezze, qualità. Ci sono tante componenti e ognuna si muove con una velocità. Non è affatto vero che chi va veloce va meglio. Il settore tecnologico, per esempio, con le continue innovazioni, ha dei ritmi diversi dalla Filosofia che invece ha bisogno di tempi più lunghi per ottenere dei buoni risultati. In questi anni non è stata riconosciuta questa differenza di marcia e ci si è basati, per la valutazione, su uno standard uguale per tutti. Un errore!”.
Qual è la motivazione che l’ha spinta a fare un passo del genere? “Mi candido per una sola e pubblica Università, non è detto che il pubblico non sia più efficiente del privato. Con il mio programma punto sull’autonomia regolamentare, con regolamenti non uniformi per tutti, considerando anche costi di gestione differenti, ed al decentramento dei poteri, il centro deve rinunciare a competenze. L’esempio dei Poli è un livello intermedio ma fallimentare che ha prodotto solo il moltiplicarsi di centri decisionali. Una catena decisionale breve consente all’Università di avere efficienza organizzativa e più competitiva. Il tempo è un valore”.
La parola su cui gravita il suo programma è “reputazione”, quale significato le da’ in questa campagna elettorale? “Dobbiamo smettere di autochiamarci eccellenti. L’Università soffre di troppo autoreferenzialismo, l’eccellenza si costruisce e viene riconosciuta, per questo motivo dobbiamo individuare il meglio del nostro Ateneo, sostenerlo e seguire quel modello.
È indispensabile puntare ad un’alta reputazione scientifica, questo è uno dei principali problemi dell’Università, è la ‘chiave di svolta’. In pimis la qualità dei nostri laureati che ci rappresentano all’esterno. Se miglioriamo la qualità scientifica riusciamo ad attrarre ricercatori stranieri ed anche risorse per lo sviluppo della nostra attività”.
Come procedere, quali priorità? “Cambiare lo Statuto, individuare ed eliminare le duplicazioni dei costi. L’obiettivo è la semplificazione assoluta con responsabilità sulle scelte valutando seriamente i risultati”.
Spesso le valutazioni, se fatte internamente, possono essere influenzate da rapporti di lavoro o personali. Come fare per evitare questo fenomeno? “Penso che la rinascita dell’Università dipenda da come viene utilizzato questo strumento. Se dotati di strumenti adeguati, i Dipartimenti ed Corsi di Laurea che non funzionano vanno chiusi. Per fare questo i valutatori devono essere esterni e non amici di nessuno, magari convocati da Università straniere”.
Qual è il suo modello di Ateneo? “Un modello basato sull’autonomia con una struttura di costi centrale che fa solo programmazione, valutazione e attribuzione di risorse. L’amministrazione centrale deve snellirsi e delegare ai centri autonomi gestione e responsabilità. La soluzione, a mio parere, sono le Scuole che per il nostro Ateneo potrebbero essere tra 4 e 6. Una trasformazione che andrebbe completata entro un anno e mezzo”.
Come si possono immaginare queste Scuole, quali criteri di raggruppamento pensa di utilizzare? “Tutto è da studiare con i diretti interessati, ma può ipotizzare per esempio una Scuola che riprenda il progetto del Politecnico con le attuali Facoltà di Architettura, Ingegneria, pezzi di Scienze e di Economia. Una concezione simile a quella originaria dei Poli ma meglio organizzata”.
Uno dei punti del suo programma è dedicato alla Facoltà di Medicina, perché? “La nostra Facoltà di Medicina, su valutazione del Ministero, è la prima in Italia, con una produttività scientifica molto alta, è il nostro fiore all’occhiello e va salvaguardata. Purtroppo sono noti a tutti i problemi sulla convenzione che non dipendono dall’Università. Nel mio programma ho inserito una razionalizzazione degli spazi. L’architettura della sede di via Pansini è di vecchia concezione, spesso capita che gli ammalati per le cure devono essere trasportati in edifici diversi e distanti, come pure per le attività di ricerca esiste questo problema. Distanze che fanno lievitare i costi di manutenzione e allungare i tempi. Si può intervenire a livello organizzativo concentrando servizi e Dipartimenti in singoli edifici, soluzione che permetterebbe di avere maggiore disponibilità di spazi che la stessa Facoltà potrebbe utilizzare diversamente”.
Spesso si sente dire che Lei rappresenta la continuità, cosa ne pensa? “Molti mi hanno consigliato di dare segnali di discontinuità dalla precedente gestione, la reputo una cosa stupida e scorretta visto che ho fatto parte del Senato Accademico. In questi anni sono state fatte cose giuste ed è stato commesso qualche errore ma è umano sbagliare. Se per discontinuità significa prendere distanze da iniziative da me non condivise, va bene”.
Numero programmato, si va verso questa direzione? “Oltre a quelli imposti dal Ministero, sono assolutamente favorevole al numero programmato. Per alcune Facoltà, come Economia per esempio, sta diventando quasi indispensabile. Intanto bisogna puntare molto sul test di autovalutazione ma con un numero molto più altro di crediti seri da recuperare. Non possiamo più permetterci di avere studenti impreparati e senza motivazioni”.
Gennaro Varriale
Da qualche giorno è partito il tour elettorale, vediamo quali sono le prime impressioni.
“Sto vivendo un’esperienza stancante ma interessante. Ho parlato con Direttori di Dipartimenti, Presidenti di Corso di Laurea, Direttori di Laboratori. Il Federico II è una realtà poco conosciuta nella sua complessità, con tante sfaccettature, ricchezze, qualità. Ci sono tante componenti e ognuna si muove con una velocità. Non è affatto vero che chi va veloce va meglio. Il settore tecnologico, per esempio, con le continue innovazioni, ha dei ritmi diversi dalla Filosofia che invece ha bisogno di tempi più lunghi per ottenere dei buoni risultati. In questi anni non è stata riconosciuta questa differenza di marcia e ci si è basati, per la valutazione, su uno standard uguale per tutti. Un errore!”.
Qual è la motivazione che l’ha spinta a fare un passo del genere? “Mi candido per una sola e pubblica Università, non è detto che il pubblico non sia più efficiente del privato. Con il mio programma punto sull’autonomia regolamentare, con regolamenti non uniformi per tutti, considerando anche costi di gestione differenti, ed al decentramento dei poteri, il centro deve rinunciare a competenze. L’esempio dei Poli è un livello intermedio ma fallimentare che ha prodotto solo il moltiplicarsi di centri decisionali. Una catena decisionale breve consente all’Università di avere efficienza organizzativa e più competitiva. Il tempo è un valore”.
La parola su cui gravita il suo programma è “reputazione”, quale significato le da’ in questa campagna elettorale? “Dobbiamo smettere di autochiamarci eccellenti. L’Università soffre di troppo autoreferenzialismo, l’eccellenza si costruisce e viene riconosciuta, per questo motivo dobbiamo individuare il meglio del nostro Ateneo, sostenerlo e seguire quel modello.
È indispensabile puntare ad un’alta reputazione scientifica, questo è uno dei principali problemi dell’Università, è la ‘chiave di svolta’. In pimis la qualità dei nostri laureati che ci rappresentano all’esterno. Se miglioriamo la qualità scientifica riusciamo ad attrarre ricercatori stranieri ed anche risorse per lo sviluppo della nostra attività”.
Come procedere, quali priorità? “Cambiare lo Statuto, individuare ed eliminare le duplicazioni dei costi. L’obiettivo è la semplificazione assoluta con responsabilità sulle scelte valutando seriamente i risultati”.
Spesso le valutazioni, se fatte internamente, possono essere influenzate da rapporti di lavoro o personali. Come fare per evitare questo fenomeno? “Penso che la rinascita dell’Università dipenda da come viene utilizzato questo strumento. Se dotati di strumenti adeguati, i Dipartimenti ed Corsi di Laurea che non funzionano vanno chiusi. Per fare questo i valutatori devono essere esterni e non amici di nessuno, magari convocati da Università straniere”.
Qual è il suo modello di Ateneo? “Un modello basato sull’autonomia con una struttura di costi centrale che fa solo programmazione, valutazione e attribuzione di risorse. L’amministrazione centrale deve snellirsi e delegare ai centri autonomi gestione e responsabilità. La soluzione, a mio parere, sono le Scuole che per il nostro Ateneo potrebbero essere tra 4 e 6. Una trasformazione che andrebbe completata entro un anno e mezzo”.
Come si possono immaginare queste Scuole, quali criteri di raggruppamento pensa di utilizzare? “Tutto è da studiare con i diretti interessati, ma può ipotizzare per esempio una Scuola che riprenda il progetto del Politecnico con le attuali Facoltà di Architettura, Ingegneria, pezzi di Scienze e di Economia. Una concezione simile a quella originaria dei Poli ma meglio organizzata”.
Uno dei punti del suo programma è dedicato alla Facoltà di Medicina, perché? “La nostra Facoltà di Medicina, su valutazione del Ministero, è la prima in Italia, con una produttività scientifica molto alta, è il nostro fiore all’occhiello e va salvaguardata. Purtroppo sono noti a tutti i problemi sulla convenzione che non dipendono dall’Università. Nel mio programma ho inserito una razionalizzazione degli spazi. L’architettura della sede di via Pansini è di vecchia concezione, spesso capita che gli ammalati per le cure devono essere trasportati in edifici diversi e distanti, come pure per le attività di ricerca esiste questo problema. Distanze che fanno lievitare i costi di manutenzione e allungare i tempi. Si può intervenire a livello organizzativo concentrando servizi e Dipartimenti in singoli edifici, soluzione che permetterebbe di avere maggiore disponibilità di spazi che la stessa Facoltà potrebbe utilizzare diversamente”.
Spesso si sente dire che Lei rappresenta la continuità, cosa ne pensa? “Molti mi hanno consigliato di dare segnali di discontinuità dalla precedente gestione, la reputo una cosa stupida e scorretta visto che ho fatto parte del Senato Accademico. In questi anni sono state fatte cose giuste ed è stato commesso qualche errore ma è umano sbagliare. Se per discontinuità significa prendere distanze da iniziative da me non condivise, va bene”.
Numero programmato, si va verso questa direzione? “Oltre a quelli imposti dal Ministero, sono assolutamente favorevole al numero programmato. Per alcune Facoltà, come Economia per esempio, sta diventando quasi indispensabile. Intanto bisogna puntare molto sul test di autovalutazione ma con un numero molto più altro di crediti seri da recuperare. Non possiamo più permetterci di avere studenti impreparati e senza motivazioni”.
Gennaro Varriale