“Come funziona il plagio industriale?”. “Le cose brevettate non si possono copiare, perciò bisogna brevettare tutto, anche i colori, la forma, le dimensioni”.
“La Plasmon ti ha poi chiamata?”. “Li ho chiamati io. Non dici di no all’Unilever che prevede uno stipendio di ingresso più alto della media. Dopo ho sostenuto dei colloqui per Colgate, Palmolive e Philip Morris. Ho ceduto alla SEDA perché volevo tornare a Napoli. È una scommessa che mi consentirà di
specializzarmi nel packaging”. “Come l’hanno presa?”, chiede la prof.ssa Piccoli. “Lo sapevano; difendo sempre la città e tornavo a casa ogni mese. Mi hanno detto che la porta è sempre aperta e, tutto sommato, lavorerò per un loro fornitore. Però la Unilever è un regno di serenità con strumenti incredibili, puoi lavorare da casa e gestirti orari e ferie”. “Come ti sei trovata quando hai affrontato campi nuovi, come il Marketing?”. “Noi siamo permeabili, ciascuno sa qualcosa e ci si deve capire. L’azienda poi mette a disposizione corsi diversi in tanti ambiti. Inoltre, il Marketing ha bisogno di persone che conoscano gli aspetti tecnici”. “Quanto è importante il tirocinio Magistrale?”. “È importantissimo. È il primo momento in cui tocchi con mano il lavoro e puoi ancora sbagliare”. “Ci sono state delle fasi in cui sei stata seguita?”. “Alla Plasmon ero anche fin troppo seguita, ma è una realtà piccola. All’Unilever nessuno
mi ha spiegato le regole non scritte, le più feroci; dopo un anno trovi i tuoi mentori, tra l’altro obbligatori, ma devi sapere a chi rivolgerti”. “Essere donna ti ha reso le cose più facili o difficili?”. “In Unilever è molto facile essere donna, perché puoi gestirti anche la maternità, ma esistono paesi con cui devi
rapportarti nei quali la donna non conta niente. Allora devi metterti la maschera del guerriero, perché nel lavoro che faccio io si spostano anche pesi. La nostra forza è tutta nella testa, ce la dobbiamo dare da soli e usarla contro chi cerca di sminuirci”. “Hai potuto scegliere il settore?”. “All’inizio no, si va dove c’è la posizione aperta. Poi ti studiano, siamo dei moscerini continuamente monitorati, ma ho chiesto io di passare al packaging o in fabbrica. Mi è stato risposto che, sebbene mi piacesse, non ero portata per la fabbrica”. “Hai commesso degli errori?”. “Ho rimpianto di non aver provato, presa dallo sconforto, a restare a Napoli. Eppure al Sud si lavora. La mia vita sarebbe stata diversa, però sono tornata e ho capito che la qualità della vita non è avere il bus puntuale. Se vuoi stare nel contesto multinazionale, l’esperienza fuori ti serve, ma chi è rimasto a casa oggi ha soldi in banca. In Campania ci sono tante realtà interessanti”. Qualcuno osa anche domande personali. “Sei riuscita a portare avanti delle relazioni?”. “Quando mi sono trasferita a Milano, ero fidanzata da molto tempo, ma dopo un anno ci siamo lasciati ed ho patito la solitudine in un posto in cui nessuno mi conosceva ed ero ritenuta una camorrista o una spacciatrice. È un problema che affrontano tanti, ma le coppie vere si ritrovano”. “Non hai mai pensato di fare il Dottorato?”. “Non era per me, però chi nel gruppo con il quale ho fatto la tesi è rimasto oggi ha un contratto con la Plasmon”. “Quanto è stato importante il voto di laurea?”. “Il voto alto mi ha aiutato nelle selezioni iniziali, ma con i giusti sacrifici e la volontà si può fare un’esperienza che resta per tutta la vita. Se si vuole, si può”. Accanto alle domande anche tanti consigli. Su come proporsi: “inviate curriculum, senza paura. Ogni colloquio è un’esperienza che insegna qualcosa. Fatelo, è troppo importante”. Sulle difficoltà dei rapporti umani: “ho cambiato cinque manager e ogni volta mi sono ritrovata persone con il doppio dei tuoi anni che dipendevano da me. Non è solo Chimica, è anche vita”. Sul metodo di studio: “non sono mai stata una secchiona, studiavo un paio d’ore al giorno, poi andavo a danza. Mi preparavo all’esame riassumendo il libro, scrivevo dei quaderni che porto ancora sempre con me, ripetevo una volta e andavo a fare l’esame”.
“La Plasmon ti ha poi chiamata?”. “Li ho chiamati io. Non dici di no all’Unilever che prevede uno stipendio di ingresso più alto della media. Dopo ho sostenuto dei colloqui per Colgate, Palmolive e Philip Morris. Ho ceduto alla SEDA perché volevo tornare a Napoli. È una scommessa che mi consentirà di
specializzarmi nel packaging”. “Come l’hanno presa?”, chiede la prof.ssa Piccoli. “Lo sapevano; difendo sempre la città e tornavo a casa ogni mese. Mi hanno detto che la porta è sempre aperta e, tutto sommato, lavorerò per un loro fornitore. Però la Unilever è un regno di serenità con strumenti incredibili, puoi lavorare da casa e gestirti orari e ferie”. “Come ti sei trovata quando hai affrontato campi nuovi, come il Marketing?”. “Noi siamo permeabili, ciascuno sa qualcosa e ci si deve capire. L’azienda poi mette a disposizione corsi diversi in tanti ambiti. Inoltre, il Marketing ha bisogno di persone che conoscano gli aspetti tecnici”. “Quanto è importante il tirocinio Magistrale?”. “È importantissimo. È il primo momento in cui tocchi con mano il lavoro e puoi ancora sbagliare”. “Ci sono state delle fasi in cui sei stata seguita?”. “Alla Plasmon ero anche fin troppo seguita, ma è una realtà piccola. All’Unilever nessuno
mi ha spiegato le regole non scritte, le più feroci; dopo un anno trovi i tuoi mentori, tra l’altro obbligatori, ma devi sapere a chi rivolgerti”. “Essere donna ti ha reso le cose più facili o difficili?”. “In Unilever è molto facile essere donna, perché puoi gestirti anche la maternità, ma esistono paesi con cui devi
rapportarti nei quali la donna non conta niente. Allora devi metterti la maschera del guerriero, perché nel lavoro che faccio io si spostano anche pesi. La nostra forza è tutta nella testa, ce la dobbiamo dare da soli e usarla contro chi cerca di sminuirci”. “Hai potuto scegliere il settore?”. “All’inizio no, si va dove c’è la posizione aperta. Poi ti studiano, siamo dei moscerini continuamente monitorati, ma ho chiesto io di passare al packaging o in fabbrica. Mi è stato risposto che, sebbene mi piacesse, non ero portata per la fabbrica”. “Hai commesso degli errori?”. “Ho rimpianto di non aver provato, presa dallo sconforto, a restare a Napoli. Eppure al Sud si lavora. La mia vita sarebbe stata diversa, però sono tornata e ho capito che la qualità della vita non è avere il bus puntuale. Se vuoi stare nel contesto multinazionale, l’esperienza fuori ti serve, ma chi è rimasto a casa oggi ha soldi in banca. In Campania ci sono tante realtà interessanti”. Qualcuno osa anche domande personali. “Sei riuscita a portare avanti delle relazioni?”. “Quando mi sono trasferita a Milano, ero fidanzata da molto tempo, ma dopo un anno ci siamo lasciati ed ho patito la solitudine in un posto in cui nessuno mi conosceva ed ero ritenuta una camorrista o una spacciatrice. È un problema che affrontano tanti, ma le coppie vere si ritrovano”. “Non hai mai pensato di fare il Dottorato?”. “Non era per me, però chi nel gruppo con il quale ho fatto la tesi è rimasto oggi ha un contratto con la Plasmon”. “Quanto è stato importante il voto di laurea?”. “Il voto alto mi ha aiutato nelle selezioni iniziali, ma con i giusti sacrifici e la volontà si può fare un’esperienza che resta per tutta la vita. Se si vuole, si può”. Accanto alle domande anche tanti consigli. Su come proporsi: “inviate curriculum, senza paura. Ogni colloquio è un’esperienza che insegna qualcosa. Fatelo, è troppo importante”. Sulle difficoltà dei rapporti umani: “ho cambiato cinque manager e ogni volta mi sono ritrovata persone con il doppio dei tuoi anni che dipendevano da me. Non è solo Chimica, è anche vita”. Sul metodo di studio: “non sono mai stata una secchiona, studiavo un paio d’ore al giorno, poi andavo a danza. Mi preparavo all’esame riassumendo il libro, scrivevo dei quaderni che porto ancora sempre con me, ripetevo una volta e andavo a fare l’esame”.