Nancy Brilli, “bisbetica domata” ma non troppo, a Studi Umanistici

Una platea gremita di 200 studenti in fervore d’attesa per Nancy Brilli. È accaduto il 23 novembre presso la sede del Dipartimento di Studi Umanistici della Federico II. In un connubio ideale tra mondo dello spettacolo e dell’Università si è svolta l’iniziativa, promossa dal Teatro Augusteo in collaborazione con il quindicinale di informazione universitaria “Ateneapoli” e il Dipartimento federiciano. Fulcro portante dell’incontro è stato un vivace dibattito tra l’attrice e la koiné accademica in merito allo spettacolo “Bisbetica – La bisbetica domata di William Shakespeare messa alla prova”, che ha visto protagonista – nonché direttore artistico – la Brilli, in scena all’Augusteo dal 18 al 27 novembre. Un’occasione preziosa per riflettere su uno dei capolavori atemporali del Bardo e le sue innovative trasposizioni con gli addetti ai lavori, tra i quali oltre alla famosa interprete presenti i talenti della compagnia “La Pirandelliana” (in aula una parte del cast: Matteo Cremon, Anna Vinci, Gennaro Di Biase, Stefano Annoni, Gianluigi Igi Meggiorin e Dario Merlini). A inaugurare l’evento d’eccezione i saluti di benvenuto di Gennaro Varriale, Direttore di Ateneapoli, che invita l’uditorio a “far tesoro dell’esperienza e della bravura di un’ospite importantissima nel panorama italiano, la cui presenza è intesa a rinforzare il dominio delle
attività culturali organizzate dall’Ateneo”. Momenti di confronto a matrice polifonica che si inseriscono nell’alveo
delle proposte lanciate dal nuovo Corso di Laurea Magistrale in ‘Discipline dello Spettacolo. Storia e Teoria’ istituito quest’anno. “Offrire ai nostri studenti la possibilità di incontrare personalità significative del teatro, della musica e del cinema, affinché questi incontri possano accrescere il valore formativo del culto dell’arte in tutte le sue declinazioni”, il lungimirante obiettivo della giornata secondo il prof. Edoardo Massimilla, Direttore del Dipartimento. Al centro degli interventi un’infinità di interrogativi che postulano inevitabilmente il raffronto tra la tradizione shakespeariana e le sue forme rivisitate nella contemporaneità. “Il problema della messa in scena, se riversata nel
tempo attuale, mette dinanzi a una serie di questioni di carattere interpretativo”, afferma in maniera incisiva il prof. Andrea Mazzucchi, Vicepresidente della Scuola delle Scienze Umane e Sociali. “La filologia si propone di ricostruire i testi nella loro dimensione originaria, ma approfondire la storia significa non solo sfogliare vecchi e polverosi manoscritti, bensì studiare il testo nel tempo e nello spazio, nei suoi ri-usi e travestimenti moderni, anche se provocatori e dissacranti rispetto allo statuto dell’originale”, continua il filologo cedendo la parola al prof. Stefano Manferlotti, il cui contributo in qualità di storico della Letteratura Inglese è volto a esplicitare alcune chiavi di lettura, dall’opera madre alla pièce in questione. “La potenzialità drammaturgica deitesti di Shakespeare si presta in maniera esponenziale al gioco teatrale, che vive nella performance grazie alla prontezza di interpretazione e alla qualità degli interpreti”, una realtà incontrovertibile. Tuttavia, la mimetizzazione del testo fonte non può fare a meno di entrare in comunicazione con le istanze di analisi derivate da ogni inedito allestimento. “Attualizzare significa interpretare secondo la sensibilità dell’oggi, non giudicare il contesto in cui operava il Drammaturgo. Non c’è attore che resista alla tentazione di rileggere i personaggi ‘classici’, particolarmente magnetici perché complessi, ambigui, sfaccettati. Perciò risulta interessante per gli studenti recarsi a teatro, capire come funziona la macchina, quali sono le modalità rappresentative”. Divertimento e briosità, corroborati da colpi di scena a manetta, costituiscono gli
ingredienti essenziali che balzano subito all’occhio dello spettatore, celando dietro l’apparente leggerezza una
riflessione acuta sul rapporto tra i due sessi. “A una donna di oggi non piace troppo il ruolo di Caterina, soprattutto
se si considera che il monologo finale implica una sottomissione, anche se non è proprio così, perché quest’elogio
sperticato al maschio nella sua ipertrofia encomiastica e barocca lascia il sospetto di una parodia velata”, conclude Manferlotti. Tutti gli occhi sono ormai puntati sull’attrice, accolta dallo strepitio di calorosi applausi in sala, bramosi di conoscere i retroscena dello spettacolo svelati in diretta da uno dei volti più amati dagli italiani.
“Nutritevi di teatro. Abbiamo bisogno di voi”
Energica, spontanea, ironica. Nancy Brilli racconta la sua doppia Caterina. Doppia, perché lo spettacolo si gioca su due piani sovrapposti in cui ognuno è sia attore che personaggio travolto nella duplice ‘prova’ – la scena e la recita metateatrale. “Una Caterina differente. Qui di ricostruzione filologica c’è poco. Abbiamo scelto una traduzione infedele, ma corretta per questi anni, per mettere in salvo il senso. Questo è evidente già dall’inizio, il prologo originale è stato difatti tagliato e sintomaticamente sostituito da una scena in cui tutta la compagnia di attori, un
po’ sgangherata, s’interroga su come mettere in scena i classici oggi. Tra di loro è Caterina ad assumere le parti
del capocomico e guidare la brigata”, spiega la Brilli. Sullo sfondo la trama ripercorre e snocciola i punti salienti
della celebre pièce. L’intreccio narra la storia di un nobile gentiluomo di Padova che ha due figlie, di cui la primogenita Caterina-Nancy, conosciuta per la sua intrattabilità, e la minore, Bianca, il suo opposto, mansueta ed
obbediente. Quest’ultima, infatti, ha al suo seguito uno stuolo di zelanti pretendenti, laddove sua sorella, la Bisbetica, non ne ha nessuno, finché un giorno un tale veronese di nome Petruccio chiederà la sua mano con il solo interesse della dote e riuscirà, infine, ad addomesticarla. “Caterina ribelle è subordinata al volere prima del padre e poi del marito. Fiumi di inchiostro sono stati versati per scandagliare gli anfratti più nascosti della fisionomia di questo personaggio. A noi, in particolare, interessava sollecitare una riflessione: qual è la sottomissione che può essere ammessa oggi? Rispondiamo così: solo la riverenza all’autore è consentita, infatti diciamo le sue parole ma con un’intenzione diversa. Molti riferimenti dell’epoca ci sono estranei, invece Shakespeare nasce come teatro popolare”. A questo punto, l’attrice con clamore di gioia da parte del pubblico invita tutti gli astanti ad assistere gratuitamente allo spettacolo, per poi passare il microfono agli studenti, curiosa di sapere: “Cosa vi aspettate dalla nostra versione?”. Coinvolgimento ed emozione sono le parole che sfrecciano cristalline dal boato in aula. “Bene – riprende la Brilli – noi ve li diamo. Il pubblico ci mette alla prova quando vuole essere partecipe e questo ci stimola immensamente, perché il desiderio di essere coinvolti è desiderio di comunicazione. Volete emozioni? Ne vedrete di tutti i colori, dal sorriso alla compassione”. Nota per essere una
commedia dalla verve comico-farsesca fatta di equivoci, malintesi e travestimenti, anche l’aula si tramuta in palcoscenico per l’occasione. Si comincia con un breve assaggio del monologo di Petruccio, interpretato da Matteo Cremon, a suon di rap per poi viaggiare sulle ali della lirica di Monteverdi, di cui regala un estratto a cappella la sublime voce dell’attrice Anna Vinci. Fino a ritornare alle musiche partenopee con un intermezzo neomeolodico in cui si cimenta il simpaticissimo attore napoletano Gennaro Di Biase. Insomma, una compagnia scoppiettante in
un allestimento colmo di originalità e fuori dell’ordinario. Lo conferma una battuta pregnante dello spettacolo: ‘il
teatro è vivo nel senso che pulsa di verità’. “Non è detto che il nostro sia lo Shakespeare giusto, se mai ce ne
sia uno. Ma è sicuramente una proposta vitale che vuole parlare alla gente. Nutritevi di teatro, abbiamo bisogno di voi, scoprirete di amarlo, perché succede quando siete lì. Se con il cinema vi godete qualcosa che è compiuta lì come è, il teatro accade mentre lo si guarda. È sempre malleabile, in evoluzione, e ha senso solo se da parte vostra c’è risposta e reazione”. E qual è la verità ultima che emerge nel rapporto Caterina vs Nancy? “L’amore vero. ‘Siamo fatti per amare’, ciò che dico nel finale. Sembra in quel monologo che Shakespeare volesse insegnare come si tratta una donna, ma il tutto va rivalutato in chiave ironica se si pensa che all’epoca erano solo gli uomini a recitare”. Un dramma antesignano di una visione paritaria che rovescia la concezione patriarcale e restituisce la dignità al genere femminile merita una notazione ulteriore. “Nessun rapporto funziona se c’è lotta di potere e manca la collaborazione tra le capacità specifiche e complementari dell’uomo e della donna, che messe
insieme formano un tutt’uno. Questo nucleo indivisibile è l’atto d’amore, per un uomo, per una donna, e, sì, per il teatro”, questa la chiusa trionfale dell’attrice, presa d’assalto da studenti commossi e in cerca di un autografo (o un selfie) ricordo.
Sabrina Sabatino
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