Il medico non fa un mestiere come un altro. Ha a che fare con la vita di altri esseri umani. “Per svolgere questa professione ci vuole predisposizione – afferma il prof. Golino – Non basta la passione per le materie scientifiche, bisogna saper interagire con il malato. E’ una cosa che difficilmente si riesce ad insegnare. Alcuni hanno un’innata capacità di comunicare e l’affinano interagendo con i pazienti”. Una buona dose di empatia è uno dei requisiti imprescindibili del buon medico secondo il prof. Riegler: “Si deve essere in grado di entrare in sintonia con il paziente, di fargli comprendere come deve comportarsi di fronte alla diagnosi”. L’approccio cambia molto a seconda della tipologia di ammalato. “Visitare un neonato che non parla o un anziano in gravi condizioni sono i due casi estremi”, precisa Golino. “La prima volta che riesci a fare una diagnosi provi una sensazione bellissima – il Preside Persico racconta gli esordi della sua attività professionale – All’inizio senti la necessità di avere il supporto di un tutore, poi una mattina ti svegli e ti accorgi di essere diventato medico perché non hai più bisogno di qualcuno che ti suggerisce le cose da fare. Forse è quello il momento più entusiasmante”. Anche il Preside Paolisso ripercorre la sua prima esperienza professionale: “Dopo la laurea fui assegnato al Cardarelli per un tirocinio retribuito. Era piena estate e c’era carenza di personale. Mi ritrovai a 24 anni da solo in una corsia di 20 letti, anche se ovviamente potevo rivolgermi al Primario. Fu la prima volta che vidi dei pazienti morire. Non fu affatto piacevole. All’inizio il senso di colpa ti attanaglia, poi ce ne si fa una ragione. La morte fa parte del nostro lavoro”. Per il giovane Paolisso fu un’esperienza validissima: “A volte l’esito della malattia è predeterminato. E’ una cosa che va sperimentata. Non esiste un corso che ti fa capire che un paziente può morire tra le tue mani quando tu hai già fatto tutto quello che potevi fare”.
“Gli studenti devono diventare prima di tutto uomini e poi medici”, è il parere di Riegler. Per crescere dal punto di vista umano, secondo il docente, l’attività di reparto incide di più della preparazione per gli esami: “Io credo che se si alleggerisse il peso delle lezioni frontali, gli studenti avrebbero più tempo per dedicarsi all’internato e alla preparazione della tesi sperimentale”. Il futuro medico non può fare a meno della capacità di analisi e sintesi: “Serve sia per assimilare le problematiche fondamentali durante le lezioni, sia per fare una corretta diagnosi. Se la si ha, si è in grado di risolvere il 99% dei problemi”. I casi di patologie particolarmente difficili da diagnosticare sono inferiori all’1%. Per questo motivo Riegler sostiene: “Non dobbiamo partorire scienziati ma formare medici generalisti che abbiano una buona preparazione e doti umane adeguate”. Paolisso mette in luce una carenza di entrambi i Policlinici napoletani: l’assenza di un tirocinio in pronto soccorso durante il Corso di Laurea: “Lì ci si abitua a ragionare, ad affrontare le problematiche. Sono cose che non le capisci finché non le vivi. Anche se hai visto il Doctor House o hai fatto pratica sui manichini”. Un periodo di training nel pronto soccorso viene definito dal Preside “drammaticamente formativo”.
“Gli studenti devono diventare prima di tutto uomini e poi medici”, è il parere di Riegler. Per crescere dal punto di vista umano, secondo il docente, l’attività di reparto incide di più della preparazione per gli esami: “Io credo che se si alleggerisse il peso delle lezioni frontali, gli studenti avrebbero più tempo per dedicarsi all’internato e alla preparazione della tesi sperimentale”. Il futuro medico non può fare a meno della capacità di analisi e sintesi: “Serve sia per assimilare le problematiche fondamentali durante le lezioni, sia per fare una corretta diagnosi. Se la si ha, si è in grado di risolvere il 99% dei problemi”. I casi di patologie particolarmente difficili da diagnosticare sono inferiori all’1%. Per questo motivo Riegler sostiene: “Non dobbiamo partorire scienziati ma formare medici generalisti che abbiano una buona preparazione e doti umane adeguate”. Paolisso mette in luce una carenza di entrambi i Policlinici napoletani: l’assenza di un tirocinio in pronto soccorso durante il Corso di Laurea: “Lì ci si abitua a ragionare, ad affrontare le problematiche. Sono cose che non le capisci finché non le vivi. Anche se hai visto il Doctor House o hai fatto pratica sui manichini”. Un periodo di training nel pronto soccorso viene definito dal Preside “drammaticamente formativo”.