Sit-in dei ricercatori campani a Napoli, in piazza S. Domenico Maggiore, lo scorso 3 giugno, per protestare contro il disegno di legge sul riordino dell’Università. Precari, lettori, docenti vogliono comunicare alla cittadinanza le inevitabili ripercussioni della protesta che stanno mettendo in atto e che, se non ci saranno sostanziali modifiche al testo di legge, determinerà una drastica riduzione dell’offerta formativa in tutti gli Atenei italiani a partire da ottobre.
In piazza, ci sono affissi cartelloni che sintetizzano i motivi della protesta. ‘5328 ore di lezione gratis con cui va avanti l’Università dei vostri figli’, si legge su quello di Economia del Parthenope, altri alludono alle ricerche svolte e i temi trattati nei vari Dipartimenti, altri ancora riportano le percentuali di occupazione dei laureati come quello di Ingegneria della Sun dove campeggia la scritta ‘il 95% dei laureati lavora in modo stabile dopo tre anni’. Tanti ricercatori accomunati dalle medesime storie di precariato. “Non riusciamo a capire come veniamo contati dal Ministero – afferma la prof.ssa Amelia Bandini, ricercatrice a Scienze Politiche del Federico II – Quando si tratta di fare i piani di docenza, numericamente, siamo al pari degli ordinari; quando, invece, andiamo a toccare il tasto delle progressioni di carriera, diventiamo di nuovo ricercatori, spesso, anche sotto ricatto degli ordinari”. Ciò che è più a cuore ai ricercatori è il riconoscimento del loro status giuridico. “Facciamo un lavoro insostituibile – spiega Francesco La Barbera, laureato in Filosofia, ricercatore da tre anni a Scienze Politiche del Federico II – Pur non avendo l’obbligo della didattica, quest’anno ho fatto lezione per 96 ore, oltre che continuare a pubblicare. Il tutto per 1400 euro al mese. Oggi, si vuol far credere che i tagli all’Università rappresentano un’automatica razionalizzazione del pubblico mentre la realtà è che vanno a distruggere un settore già devastato. Ciò che mi sconvolge è che non ci sia una mobilitazione delle classi medie”. I ricercatori riflettono sulla questione, si confrontano, decidono le mosse future. “Vogliamo comunicare alla cittadinanza e far capire quanto il problema sia diffuso – afferma Vincenzo Paolo Senese di Psicologia della Sun – perché questa riforma, il cui scopo è riorganizzare l’Università italiana, riduce molto più al Sud che al Nord”. Tra coloro che, ad un certo punto, si siedono a terra reclamando una ‘Università libera’, c’è anche il prof. Francesco Rossi, Rettore della Sun. “Condivido pienamente la protesta dei ricercatori – dice Rossi – Alla Sun, il 50% della docenza è tenuta proprio da loro. Se rinunceranno agli incarichi non obbligatori, la didattica non potrà andare avanti. Il decreto Gelmini ha alcuni aspetti positivi, quali il sistema di reclutamento e la valutazione ma, personalmente, penso che i ricercatori debbano concentrarsi su un emendamento specifico per portare avanti la loro protesta”. Anche a L’Orientale i ricercatori non si sono resi disponibili ad accettare incarichi didattici per il prossimo anno accademico. “Ci siamo riuniti più volte, informando anche gli studenti, e abbiamo preso la decisione di non accettare incarichi di didattica, semplicemente perché non siamo obbligati – afferma Sergio Ventriglia, undici anni di ricerca a Scienze Politiche – Personalmente, quest’anno ho fatto lezione per ottanta ore!”. Cento, invece, sono le ore di lezione per Fabio Amato, della Facoltà di Lettere dello stesso Ateneo, divise tra i corsi di Geografia del Mediterraneo e Geografia urbana e del Mediterraneo. “Sono ricercatore da otto anni. Ciò che mi fa andare avanti è, senza dubbio, la componente studentesca – dice Amato – Questo, ovviamente, è un allarme che riguarda tutta la ricerca, al di là degli Atenei campani. Nei prossimi Consigli di Facoltà valuteremo il da farsi”. Secondo Alberto Manco, ricercatore da tre anni – “dopo aver comunque fatto docenza per un altro bel periodo” – presso la Facoltà di Lingue e Letterature straniere, “non c’è rappresentanza di ordinari e associati”. “Devo ammettere, con amarezza – continua – che siamo in pochi. Il rischio è che, se male organizzate, queste manifestazioni possono diventare un boomerang”. Tra la folla qualche associato l’abbiamo trovato: il prof. Salvatore Diglio, professore dal 2000 presso la Facoltà di Lettere de L’Orientale. “Appoggio pienamente questa protesta – dice Diglio – sono stato ricercatore per ben vent’anni e ho vissuto malissimo questa condizione. Fino a dieci anni fa, i ricercatori erano visti come impiegati, in balia della volontà degli ordinari. Non avevano neanche la libertà di ricerca che hanno oggi!”.
Maddalena Esposito
In piazza, ci sono affissi cartelloni che sintetizzano i motivi della protesta. ‘5328 ore di lezione gratis con cui va avanti l’Università dei vostri figli’, si legge su quello di Economia del Parthenope, altri alludono alle ricerche svolte e i temi trattati nei vari Dipartimenti, altri ancora riportano le percentuali di occupazione dei laureati come quello di Ingegneria della Sun dove campeggia la scritta ‘il 95% dei laureati lavora in modo stabile dopo tre anni’. Tanti ricercatori accomunati dalle medesime storie di precariato. “Non riusciamo a capire come veniamo contati dal Ministero – afferma la prof.ssa Amelia Bandini, ricercatrice a Scienze Politiche del Federico II – Quando si tratta di fare i piani di docenza, numericamente, siamo al pari degli ordinari; quando, invece, andiamo a toccare il tasto delle progressioni di carriera, diventiamo di nuovo ricercatori, spesso, anche sotto ricatto degli ordinari”. Ciò che è più a cuore ai ricercatori è il riconoscimento del loro status giuridico. “Facciamo un lavoro insostituibile – spiega Francesco La Barbera, laureato in Filosofia, ricercatore da tre anni a Scienze Politiche del Federico II – Pur non avendo l’obbligo della didattica, quest’anno ho fatto lezione per 96 ore, oltre che continuare a pubblicare. Il tutto per 1400 euro al mese. Oggi, si vuol far credere che i tagli all’Università rappresentano un’automatica razionalizzazione del pubblico mentre la realtà è che vanno a distruggere un settore già devastato. Ciò che mi sconvolge è che non ci sia una mobilitazione delle classi medie”. I ricercatori riflettono sulla questione, si confrontano, decidono le mosse future. “Vogliamo comunicare alla cittadinanza e far capire quanto il problema sia diffuso – afferma Vincenzo Paolo Senese di Psicologia della Sun – perché questa riforma, il cui scopo è riorganizzare l’Università italiana, riduce molto più al Sud che al Nord”. Tra coloro che, ad un certo punto, si siedono a terra reclamando una ‘Università libera’, c’è anche il prof. Francesco Rossi, Rettore della Sun. “Condivido pienamente la protesta dei ricercatori – dice Rossi – Alla Sun, il 50% della docenza è tenuta proprio da loro. Se rinunceranno agli incarichi non obbligatori, la didattica non potrà andare avanti. Il decreto Gelmini ha alcuni aspetti positivi, quali il sistema di reclutamento e la valutazione ma, personalmente, penso che i ricercatori debbano concentrarsi su un emendamento specifico per portare avanti la loro protesta”. Anche a L’Orientale i ricercatori non si sono resi disponibili ad accettare incarichi didattici per il prossimo anno accademico. “Ci siamo riuniti più volte, informando anche gli studenti, e abbiamo preso la decisione di non accettare incarichi di didattica, semplicemente perché non siamo obbligati – afferma Sergio Ventriglia, undici anni di ricerca a Scienze Politiche – Personalmente, quest’anno ho fatto lezione per ottanta ore!”. Cento, invece, sono le ore di lezione per Fabio Amato, della Facoltà di Lettere dello stesso Ateneo, divise tra i corsi di Geografia del Mediterraneo e Geografia urbana e del Mediterraneo. “Sono ricercatore da otto anni. Ciò che mi fa andare avanti è, senza dubbio, la componente studentesca – dice Amato – Questo, ovviamente, è un allarme che riguarda tutta la ricerca, al di là degli Atenei campani. Nei prossimi Consigli di Facoltà valuteremo il da farsi”. Secondo Alberto Manco, ricercatore da tre anni – “dopo aver comunque fatto docenza per un altro bel periodo” – presso la Facoltà di Lingue e Letterature straniere, “non c’è rappresentanza di ordinari e associati”. “Devo ammettere, con amarezza – continua – che siamo in pochi. Il rischio è che, se male organizzate, queste manifestazioni possono diventare un boomerang”. Tra la folla qualche associato l’abbiamo trovato: il prof. Salvatore Diglio, professore dal 2000 presso la Facoltà di Lettere de L’Orientale. “Appoggio pienamente questa protesta – dice Diglio – sono stato ricercatore per ben vent’anni e ho vissuto malissimo questa condizione. Fino a dieci anni fa, i ricercatori erano visti come impiegati, in balia della volontà degli ordinari. Non avevano neanche la libertà di ricerca che hanno oggi!”.
Maddalena Esposito