Celebrazioni per i 799 anni dell’Università Federico II. Primo atto il conferimento della Laurea honoris causa in Geologia e Geologia Applicata al grande divulgatore e noto volto televisivo
La cornice è quella delle occasioni importanti: l’Aula Magna storica al secondo piano dell’edificio del rettorato. L’ospite, poi, è uno di quelli che da soli riescono a reggere un evento. Alberto Angela, figlio d’arte nell’ambito della divulgazione, volto celebre della televisione, protagonista di trasmissioni nelle quali si coniugano serietà dell’informazione scientifica e culturale e capacità di stimolare interesse e curiosità nei telespettatori.
Il 5 giugno la Federico II ha aperto le celebrazioni per i 799 anni dalla sua fondazione con il conferimento ad Angela della laurea honoris causa in Geologia e Geologia Applicata. Nel corso della cerimonia, alla quale hanno assistito sindaci di vari Comuni, compreso l’ex Rettore Manfredi, alcuni parlamentari, consiglieri regionali e vari altri esponenti istituzionali, sono intervenuti il Rettore Matteo Lorito, il prof. Vincenzo Morra, Direttore del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse, il paleontologo Pasquale Raia.
È poi salito sul podio Angela. Toga verde e tocco dello stesso colore – dismesso per comodità durante la lectio magistralis – ha parlato per circa trenta minuti, aiutandosi con la proiezione di alcune diapositive. Stile diretto e colloquiale, proprio come in tv, Angela ha tracciato una panoramica su come la geologia della Campania e le sue caratteristiche abbiano influito sui fenomeni storici, religiosi, culturali. Ha parlato dei sistemi vulcanici di Roccamonfina, di Ischia, dei Campi Flegrei, del Somma-Vesuvio. Ha ricordato che proprio in Campania esistono testimonianze straordinarie e non tutte note come Ercolano e Pompei. Per esempio le Ciampate del diavolo (geosito di Tora e Piccilli).
“Si tratta – ha precisato – di una grande roccia su cui sono visibili delle impronte molto profonde che la credenza popolare attribuiva appunto al diavolo, l’unica creatura in grado di lasciare segni del genere nella roccia. Oggi sappiamo, invece, che queste impronte appartengono a un gruppo di ominidi, secondo alcuni studi della specie Homo Heidelbergensis. Analizzando la roccia, infatti, gli studiosi hanno datato queste tracce a circa 350mila anni fa.
A lasciarle sarebbero stati tre individui mentre camminavano lungo il fianco del vulcano. All’epoca il Roccamonfina era ancora attivo e questi primi abitanti della Campania hanno camminato sulla cinerite ancora calda – è stato ipotizzato intorno ai 50 gradi – ma che si stava raffreddando, proveniente dal vulcano. Il vento ha poi solidificato le impronte, la cui preservazione è stata garantita dal fatto che in tempi brevissimi sono state ricoperte da un altro deposito cineritico”.
“È come se avessi vinto il mio scudetto”
La Campania Felix, ha spiegato Angela, era anche il frutto di quella presenza ingombrante di tanti vulcani, apportatori di morte e di distruzione, come nel 79 dopo Cristo, ma capaci di rendere con i prodotti delle ceneri i suoli estremamente fertili e produttivi. Piperno, tufo, pozzolana, in ambito dell’edilizia, sono stati ulteriori doni della presenza dei vulcani in Campania. Da essi, poi, dall’attività sismica ed eruttiva sono scaturiti anche miti come quello dei Giganti che sarebbero stati seppelliti dopo aver perso la sfida con gli Dei. I loro movimenti sotto la terra, ha ricordato Angela, erano considerati dagli antichi come la causa dei fenomeni sismici, dei terremoti.
“Osservare, capire e documentare i fenomeni geologici del passato e come l’uomo vi ha posto rimedio, si è adattato o li ha sfruttati – ha sottolineato – è la chiave per capire le strategie future di pianificazione, tutela, protezione e di uno sfruttamento sostenibile del territorio. In questo mondo siamo ospiti e la natura, la geologia di un territorio, è molto più potente di ogni azione umana, che per quanto potrà distruggere questa terra, questa terra troverà sempre il modo di riprendersi i suo spazi”.
Un concetto, quest’ultimo, che il divulgatore aveva già espresso prima dell’inizio della cerimonia durante un breve incontro che aveva avuto con i giornalisti. “L’uomo vive in una grande scenografia – aveva ricordato ai cronisti – ed è un po’ come un attore che sale sul palcoscenico. Le quinte sono state create dalla Natura. L’uomo recita la sua parte, ma non può abbattere la scenografia, perché resterà solo. La scenografia andrà avanti comunque, ci siamo o no”.
Sul conferimento della laurea, aveva detto prima dell’avvio della cerimonia: “È un grandissimo onore per tanti motivi. Il primo perché lo ricevo a Napoli e sapete quanto la ami. Per me questa laurea è l’abbraccio della città che mi ha dato già la cittadinanza onoraria ed è l’abbraccio del mondo della ricerca. Vale ancor di più perché tutto accade in un momento straordinario come questo, mentre si festeggia il compleanno dell’Ateneo. È come se avessi vinto il mio scudetto”.
Gli aveva fatto eco il Rettore Lorito: “Da oggi, come si usa dire, entriamo negli ottocento anni di vita della Federico II e non potevamo cominciare in maniera migliore di questa. Alberto Angela è una personalità straordinaria che sa interpretare Napoli, la sa raccontare e la sente. Siamo molto onorati, lo ringraziamo per essere venuto oggi. Ci ha promesso che ritornerà tra un anno, per l’ottocentesimo compleanno della Federico II. Lo aspettiamo”.
L’importanza della divulgazione, aveva detto Lorito ai giornalisti, è sempre maggiore perché, “se fatta bene, da persone serie e competenti come Angela, rappresenta il tessuto connettivo che tiene insieme la scienza e la società. Svolge una funzione essenziale. Oggi la scienza avanza in maniera veloce e se qualcuno non tiene insieme tutto rischiamo scollature non auspicabili”.
Alberto e Piero Angela “eroi giovanili per me”
Come sempre accade in occasione del conferimento di una laurea honoris causa, la lectio magistralis è stata preceduta dalla laudatio. Se ne è occupato, nello specifico, il prof. Pasquale Raia, un paleontologo che ha raccontato: “Quando ho cominciato, forse il motivo stesso per cui ho cominciato a studiare la paleontologia, seguivo avidamente le trasmissioni Rai in cui Alberto, e prima di lui il compianto papà Piero, spiegavano al grande pubblico come funziona la scienza, il piacere delle scoperte, l’importanza di avere una società di persone informate.
Fra tutte le edizioni di Quark o Superquark, di Passaggio a Nordovest o di Ulisse, fra tutti gli speciali ed i reportage che raccontavano luoghi ricchi di meraviglie e sempre fantastici, ho incessantemente avuto una speciale predilezione per le puntate con i fossili, quelli che raccontano il nostro passato, i nostri antenati, cercando di immaginare il loro pensiero, le loro emozioni, e perché no, immaginandomi, sebbene fossi ancora poco più che un ragazzino, chinato su un fossile ancora mezzo interrato, scottato dal sole cocente e intento a pulirmi dalla fronte polvere e sudore mentre recupero il tesoro non più nascosto, paventatosi incompleto davanti ai miei occhi”.
Per certi versi, ha proseguito il prof. Raia, “Alberto e Piero Angela sono stati come eroi giovanili per me. Alberto ha addirittura avuto esperienza diretta di questo mio sogno giovanile, quando nel 1986 partecipò alla campagna di scavi che portò alla luce numerosi resti di Homo habilis, fra cui OH 62 (OlduvaiHominid 62) noto a noi del settore per essere uno dei pochissimi casi in cui è possibile studiare lo scheletro degli arti dei nostri antenati. Alberto Angela si è in verità occupato della storia dell’uomo, dai primi ominidi africani fino ai primi Homo sapiens, passando per i Neanderthal e l’Eva mitocondriale, in diversi programmi e in un bel libro, intitolato ‘La straordinaria storia dell’uomo’. Alberto è stato infaticabile in questo processo di trasmissione della conoscenza”.
Ricorda, in ordine sparso, alcune delle produzioni Rai di cui è stato protagonista: “A cominciare – era il 1993 – dal Pianeta dei dinosauri. Poi Passaggio a Nord Ovest, nel 1997, dedicato in buona parte ai siti archeologici più importanti del mondo, e poi ovviamente Ulisse, dal 2000. E poi i libri, ‘La straordinaria storia dell’uomo’, ‘La straordinaria storia della vita sulla Terra’, ‘Il Pianeta dei Dinosauri’ e potrei continuare a lungo, molto a lungo, magari ricordando anche qualche avventurosa curiosità da vero esploratore, come l’attentato del 2002 in Nigeria quando Alberto e la sua troupe furono rapiti o in Etiopia nel 1991 quando una spedizione antropologica a cui partecipava fu attaccata dal clan degli Issa”.
Le collezioni di sabbia “una mania decisamente da geologo”
Altri episodi assai meno drammatici ma pertinenti le Scienze della Terra che Raia ha ricordato nella laudatio sono stati: “il fatto che gli siano stati dedicati una specie, il mollusco Prunumalbertoangelai, ed un asteroide della fascia principale scoperto nel 2000, il 80652 Albertoangela” e “che collezioni sabbia. Il che è una mania decisamente da geologo”. Lo ha ringraziato “per aver diffuso la conoscenza, grazie per aver portato la bellezza al grande pubblico, per aver manifestato all’esterno le nostre scoperte, illustrato progresso, spiegato il futuro”.
Ha aggiunto: “Conoscere significa venire a sapere, con i sensi e con l’intelletto. La conoscenza è la vera arma del cambiamento”. Cita una frase famosa di Isaac Newton al riguardo: “disse che se aveva potuto vedere più lontano di altri, era perché era potuto salire sulle spalle di giganti. I giganti di Newton sono le persone che lo hanno preceduto, una montagna di conoscenze diffuse che si accumulano, su cui impilare nuove conoscenze e sostituire quelle superate.
Le persone non debbono essere Newton naturalmente, non debbono laurearsi più volte o scavare ossa vecchie di milioni di anni in qualche arsa valle africana, ma possono salire sulle spalle di quei giganti, non da sole certo, ma portate per mano, sollevate dolcemente da chi fa il mestiere di Alberto, da chi traduce in colloqui ed immagini le conoscenze che i tecnici, gli scienziati, producono. Alberto Angela è uno di questi infaticabili traduttori della conoscenza, uno, forse il più bravo di tutti, di quelli che solleva le persone con garbo, con continua dedizione, posando chi vuole e sa ascoltare, lì su, su quelle spalle. Ed è sulle spalle dei giganti che la società migliora, che le conoscenze divengono senso comune, che ci garantiamo un futuro più roseo”.
Fabrizio Geremicca