“Apprendere il berbero, una delle lingue più ricche e antiche del mondo, significa avere le chiavi d’accesso ad una cultura millenaria, nata e cresciuta nel Nordafrica”. Parlata in Egitto, Libia, Algeria, Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso. E ovviamente in Tunisia e Marocco (isole Canarie comprese, anche se spagnole), dove, rispettivamente dal 2016 e dal 2011, è pure lingua ufficiale. “I Berberi preferiscono definirsi con il termine Amazigh, cioè uomini liberi e la lingua è parlata da milioni di persone, ma ovviamente non c’è continuità tra i vari Paesi africani”, spiega la prof.ssa Anna Maria Di Tolla, che insegna Lingua e Letteratura berbera e Storia contemporanea del Nordafrica berbero a L’Orientale.
Che offre quest’opportunità di studio più unica che rara addirittura dal 1915, anno di istituzione della relativa cattedra. Da menzionare anche il Centro di Studi Berberi, nato nell’Ateneo per aggiornare e approfondire costantemente competenze e conoscenze. E anche per rintracciare differenze e somiglianze tra la nostra cultura e quella berbera – “anche loro affacciano sul Mediterraneo, dove hanno giocato un ruolo importante; gli Amazigh hanno governato durante l’Impero Romano”, continua la docente. E sottolinea che lo studio della lingua non può prescindere “dall’approfondimento di tutto il corredo culturale relativo; e quindi la storia, la letteratura, l’antropologia. Senza questa operazione di approfondimento non si riesce a comprendere la lingua e si rischia di commettere degli errori se ci si trova sul posto. Magari una frase che in italiano ha un senso, in berbero ne ha tutt’altro. Conoscere la cultura significa capire e comprendere le sfumature, le differenze”.
Detto altrimenti, sfruttando un termine assai caro alle università, il berbero “è una lingua che ha bisogno di interdisciplinarità”. Al netto dell’immenso fascino che lingua e cultura degli Amazigh esercitano sull’immaginario collettivo, nella valutazione di studentesse e studenti che si iscrivono all’università e riflettono sulla scelta della lingua rientra anche l’eventuale spendibilità lavorativa della stessa. Un primo ‘plus’ è il doppio titolo che si consegue studiando il berbero: “abbiamo accordi con l’Inalco di Parigi e l’Università di Aix-en-Provence”. Sugli sbocchi: “oltre a poter lavorare nei musei, nelle biblioteche, nelle organizzazioni non governative, c’è anche la possibilità di occuparsi della conservazione del patrimonio culturale berbero, anche qui in Italia. Senza dimenticare l’interpretariato, il giornalismo”.
In realtà, di sbocco ce ne sarebbe ancora un altro, e assai allettante: “come detto, essendo il berbero una lingua ufficiale in Marocco e Algeria, nei due Paesi c’è molta richiesta di insegnanti, sia per le scuole che per le università”.
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Guida Universitaria – Pagina 124
Studiare il berbero significa “avere le chiavi d’accesso ad una cultura millenaria”
Un caleidoscopio di idiomi/1
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