Dal Canada all’Italia passando per gli USA, studi e ricerche della prof.ssa Sheridan Lois Woo

“Il Trichoderma è il cavallo di battaglia, ma le battaglie vere le facciamo noi”. Un fungo che si trova in natura, che ha “interazioni antagonistiche con gli agenti che danneggiano le piante, può essere benefico per la crescita e la robustezza della pianta e dare buoni risultati
in termini di qualità dei frutti, riducendo o evitando il ricorso alla chimica, ossia a pesticidi e/o fertilizzanti, in agricoltura”. Ha un nome preciso il punto di partenza dei tanti studi condotti dal gruppo di ricerca di cui fa parte la prof.ssa Sheridan Lois Woo, docente associato di Patologia vegetale al Dipartimento di Farmacia, dove insegna al Corso di Laurea in Scienze Erboristiche, con recenti esperienze di insegnamento anche al Dipartimento di Agraria. Sotto il suo microscopio sono finite nel tempo “lenticchie e soia, notando un aumento di ferro e zinco. Far crescere la qualità nutrizionale è importante perché i legumi sono per molti la principale fonte di proteine”. Da qualche anno l’attenzione si è spostata alle fragole: “abbiamo visto che diversi trattamenti ne aumentano la resa e fanno crescere contenuti di zuccheri e antiossidanti”. Una continua caccia alla novità: “è il bello di questo mestiere, non ci si annoia mai”. Una professione che parla di collaborazioni tra il suo laboratorio e aziende biologiche, a caccia di innovazione per migliorare qualità e quantità dei prodotti agricoli, e con varie realtà scientifiche, tra le quali alcuni Istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Una professione, quella del fitopatologo,
che di confini proprio non ne vuol sentir parlare. Nell’agenda della docente sono già segnati viaggi in Calabria e in Puglia per curare i progetti “Linfa” e “Six”. Oggetto di studio: le olive. Nemici da combattere sono le mosche, che intaccano il frutto, e la Xylella, un batterio che in terra pugliese sta causando disastri. I primi esperimenti sulla mosca sono già visibili all’esterno del laboratorio, in uno dei campi del Dipartimento di Agraria, a Portici, che ospita una cinquantina di piante che riproducono il fenomeno da studiare. Nel frattempo si inizia anche a pensare a un intervento in Kenya, dove il famoso fungo, ma non solo, verrà sperimentato per migliorare la resa di piante in condizioni climatiche difficili, viste le temperature alte che spesso determinano la siccità:
“oggi il vero problema della ricerca riguarda l’aspetto economico. I fondi spesso mancano e l’impegno amministrativo è notevole”. Spostamenti frequenti, “soprattutto in questo periodo dell’anno”, che di certo non spaventano la docente nata in Canada e con un passato di studentessa e professionista in USA presso la Cornell University e lo Hobart and William Smith College. A seguire, l’arrivo in Italia, con atterraggio a Siena, dove l’Università locale ha
riconosciuto i suoi titoli accademici equipollenti alla Laurea in Scienze Biologiche. Infine, l’arrivo alla Federico II nel 1993: “in Italia si parla tanto di fuga dei cervelli, ma ogni tanto ci arrivano pure”. Del nostro paese adora: “il cibo, è buonissimo”. Un alimento in particolare: “il pomodoro. In Italia ha un sapore diverso che altrove”. In merito al modo di condurre la ricerca nei vari paesi dove è stata: “non credo che le idee di partenza siano diverse. Forse lo sono le strutture, ma se c’è una buona idea alla base, anche qui si può sviluppare”. Non manca l’aiuto degli studenti: “partiamo da una ricerca di base per valorizzare le piante, passando poi per saggi in vitro, saggi in vivo in condizioni controllate, interazione di microbi con piante in serra e in campo sperimentale. L’obiettivo del nostro lavoro è passare dalla ricerca di base all’applicazione. Gli studenti sono coinvolti in tutte queste fasi. Proviamo a dare un approccio pratico alla disciplina”. Non a caso durante i suoi corsi non mancano “esercitazioni dal microscopio al campo e coinvolgimento degli studenti con presentazione alla classe dei risultati ottenuti”. Stesso approccio all’esame, dove gli studenti sono chiamati al riconoscimento di materiale al microscopio. Il consiglio a tutti è uno solo: “studiare”. Qualche parola in più, invece, la potrà spendere, in qualità di neo-tutor, per i laureati in Scienze Erboristiche che dovessero decidere di proseguire in futuro il cammino accademico iscrivendosi “a una delle Magistrali offerte, ad esempio, dal Dipartimento di Agraria, come Scienze e Tecnologie agrarie oppure Biotecnologie Agro-Ambientali e Alimentari. Un cammino interessante che può dare sbocchi lavorativi nel campo delle biotecnologie o dell’agronomia”. Un cammino sul quale sta riflettendo Benedetta Voltura, laureanda in Scienze Erboristiche: “sono indecisa su cosa fare dopo la laurea. Mi piacerebbe proseguire con la ricerca, ma non ho ancora idea di come andare in quella direzione”. Sta lavorando a una tesi sulle fragole. Relatrice la prof.ssa Lois Woo che ha scelto “perché mi è piaciuto molto durante il corso il modo con il quale ci ha fatto lavorare con funghi e batteri. Mi ha entusiasmato l’approccio pratico alla materia”. Alle ricerche bibliografiche alterna esperimentiin serra: “faccio trattamenti con i derivati del Trichoderma o col fungo stesso e mi occupo della raccolta con le analisi di routine sulle fragole. Obiettivo della tesi è vedere quanti polifenoli e sostanze nutritive possiamo ricavare dalle fragole. Vogliamo produrre più vitamina C e più antiradicali”. Il tutto immersa nel verde: “è bellissimo studiare la natura in mezzo alla natura. È uno degli aspetti più interessanti e piacevoli di questa sede che ho già frequentato brevemente in passato per alcuni corsi”.
Ciro Baldini
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