Gli studenti di Efest volano in Olanda

Si chiama EFEST (ESA’s Federico II Engineering for Space applications Team) il gruppo federiciano, dieci studenti Magistrali, un dottorando in Ingegneria Aerospaziale e due Magistrali in Ingegneria Elettronica, che rappresenta l’Ateneo nel programma europeo OrbitYourThesis, promosso dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa). Obiettivo del contest è la realizzazione di un esperimento in condizioni di microgravità. Questa prima fase è ancora teorica: solo il vincitore, che sarà decretato probabilmente a marzo in Olanda presso il Centro Europeo per la ricerca e la tecnologia spaziale, realizzerà praticamente quanto progettato finora solo in teoria e poi lo vedrà a bordo della ISS, la Stazione Spaziale Internazionale.
Completezza, fattibilità, innovazione: sulla base di questi criteri, sette i progetti selezionati, a febbraio, per la sfida in Olanda. L’unico che arriva dalla Federico II è proprio CAR3D (CApillary Rise in 3D-printed-structure), il lavoro del gruppo EFEST, a guida dei professori Raffaele Savino e Anselmo Cecere, che ha calato l’esperimento nell’ambito della fluidodinamica, realizzando un progetto di capillarità in microgravità.
La valigia per l’Olanda è pronta. Al suo interno: “Sicuramente un po’ di timore perché in fondo siamo ancora solo degli studenti e lì presenteremo un lavoro molto significativo. Ma, soprattutto, entusiasmo per l’opportunità che ci è stata offerta, orgoglio per essere stati selezionati, adrenalina e determinazione nel sostenere la nostra idea e una bellissima esperienza che abbiamo condiviso tutti insieme”, dice la team leader Emanuela Gaglio. Innovazione è la parola chiave di CAR3D: “Pensiamo alle strutture capillari come a tubicini con all’interno un fluido. Si tratta di un fenomeno semplice. La nostra innovazione consiste nel voler utilizzare forme di capillari più complesse, ad esempio a nido d’ape o a triangolo, da realizzare con la stampa 3D e vedere come si comporta il fluido”. La parte più difficile del lavoro, “è stata dover operare in piccolo: l’esperimento e la strumentazione impiegata devono essere contenute in un cubo 10x10x10 centimetri fornito dall’Esa, che verrà installato nella navicella. Tutto deve essere a misura: la parete di capillari, i serbatoi per il fluido, le telecamere per il monitoraggio. Ma questo è stato anche uno stimolo”. Ogni bella storia ha sempre un inizio un po’ titubante: “Lo scorso semestre, nell’ambito del corso di Fluidodinamica Spaziale, i docenti ci hanno proposto di aderire al bando. Lo abbiamo fatto, anche se un po’ per gioco e non sapendo esattamente come muoverci. A febbraio abbiamo saputo di essere in gara con la nostra idea. Da quel momento non ci siamo fermati un attimo e, fino al 19 marzo, continueremo a perfezionare il nostro lavoro. Abbiamo utilizzato Matlab, poi realizzato un modello CAD. Adesso stiamo proseguendo, provando delle simulazioni con il software di fluidodinamica Ansys FLUENT”. Il gruppo EFEST è molto compatto. Ad unire gli studenti, non solo la passione per la Fluidodinamica e per lo Spazio, ma la volontà di costruire qualcosa con le proprie mani partendo dalle fondamenta: “Quando ci siamo resi conto di aver bisogno di qualcuno che sapesse gestire i dati abbiamo contattato gli studenti di Ingegneria Elettronica tramite la loro pagina Facebook e due colleghi hanno deciso di lanciarsi in questa avventura condividendo con noi il desiderio di andare oltre la teoria che studiamo tutti i giorni e realizzare qualcosa di progettuale. Ora siamo tutti amici. La nostra forza motrice è la passione comune per il lavoro che stiamo svolgendo e che ha creato tra noi un bel feeling”. Preparare un progetto da competizione europea va ben oltre l’esame universitario, è come trovarsi catapultati già nel mondo del lavoro. E i ragazzi ritengono di avere una marcia in più: lo spirito di squadra. Nel gruppo, ognuno è la forza dell’altro, ognuno sostiene e supporta l’altro nei momenti di indecisione e di difficoltà: “Lavoriamo proprio come se fossimo già in un’azienda, il che è un esercizio di estrema utilità. Stiamo imparando tante cose, in primis a collaborare, ascoltare e rispettare le opinioni e le proposte degli altri e a discutere tutti insieme. Siamo persone diverse, con caratteri diversi, ma riusciamo a trovare un’armonia”. Il gruppo è diviso in sottogruppi, “ciascuno si occupa di un aspetto del progetto: la parte elettronica, gli studi sulla fluidodinamica, sulle possibili configurazioni dei capillari, sui materiali per la stampa 3D. Abbiamo un gruppo Telegram che utilizziamo per aggiornarci ogni giorno e ci riuniamo nell’aula Ferri al quarto piano di Piazzale Tecchio che i professori ci permettono di utilizzare”. I docenti “ci forniscono nozioni di base e letteratura scientifica. A volte moderano i nostri incontri, fanno da mediatori, ascoltano le nostre opinioni e ci propongono un confronto. Ma sono sempre rispettosi delle nostre proposte e ci lasciano agire in autonomia”. Rispettivamente, il momento più difficile e la gratificazione più grande sono stati “l’inizio di questo lavoro quando ci sentivamo un po’ persi e il suo vedere come si concretizzava giorno dopo giorno. Ancora non abbiamo realizzato che presto saremo in Olanda, ci sembra un sogno!”. Gli EFEST non staccherebbero mai dal loro lavoro, tanto grande è il loro coinvolgimento, ma sono pur sempre studenti e la vita universitaria continua: “In questa sessione ciascuno di noi ha scelto di rinunciare ad un esame che avrebbe potuto sostenere e che ha deciso di rimandare al prossimo mese per non togliere troppo tempo al progetto. È un sacrificio che abbiamo fatto volentieri, non sentiamo di aver perso qualcosa”. In Olanda, ciascuno dei sette gruppi avrà venti minuti per presentare il proprio lavoro e venticinque minuti in cui la commissione potrà porre delle domande: “Partiremo in otto, che è il limite posto dall’ESA, e saremo proprio i primi a conferire – precisa Emanuela – Tutto si svolgerà in inglese. Al momento stiamo cercando di entrare in quest’ottica preparando le bozze e le presentazioni in lingua”. La competizione è tanta e la vittoria non è scontata: “Se vincessimo forse potremmo conoscere gli ingegneri e gli astronauti che prenderanno in carico il nostro lavoro. Anche in curriculum questo avrà il suo valore”. Un’ipotesi aleggia nell’aria: “Anche se non dovessimo vincere e quindi passare alla fase successiva, vorremmo comunque provare a realizzare praticamente la nostra idea. Siamo arrivati fino a questo punto e vale la pena andare fino in fondo. Giuseppe, il dottorando, da questo lavoro trarrà un articolo. Quanto a noi, forse qualcuno potrà utilizzarlo ai fini della sua tesi di laurea. Ma nessuno ha già fatto piani in questa direzione. Per ora pensiamo al presente”.
Carol Simeoli
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