Nasce all’Orientale il primo corso per interpreti organizzato da una Università nell’Italia centro –meridionale. E’ un vero e proprio Master post lauream, che partirà ad ottobre 2000, grazie all’accordo ed alla collaborazione tra l’ex Collegio dei Cinesi ed il Servizio Comune Interpretazione e Conferenze, al quale partecipano otto università europee. Il Master sarà a numero chiuso e ad esso potranno partecipare massimo venti laureati. In virtù del Programma Inserimento Giovani, previo superamento di un test, alla fine del Master si diventa interpreti nell’ambito delle istituzioni comunitarie. L’iniziativa è stata presentata il 17 novembre nell’Aula Magna di Palazzo Duomo, affollata di studenti ed ancora più umida del solito, complice una copiosa infiltrazione d’acqua d’incerta provenienza che ha trasformato lo spazio antistante la cattedra in una pozzanghera ed ha costretto i custodi dell’edificio ad imporre un break ed a fare gli straordinari per asciugare, ramazze e secchi alla mano. Assente il Rettore Mario Agrimi, trattenuto altrove da concomitanti impegni, in sua vece ha preso la parola il professor Adriano Rossi, ex rettore e docente presso la facoltà di Lettere e Filosofia. “Qualche decina di persone all’anno non è una cifra enorme e tuttavia è comunque un quantitativo in più, grazie al quale aumentano gli sbocchi occupazionali”, ha detto. Maria Padovan Dubini, trenta anni di esperienza nel settore, capo unità cabina italiana per il Servizio di interpretariato fornito nell’ambito delle istituzioni della Comunità Europea, ha illustrato ai presenti, nel dettaglio, quale sia l’attività che lei ed i suoi colleghi svolgono, quale la preparazione richiesta, quali i canali di accesso alla professione. “L’interprete è un professionista che viaggia molto, lavora a livello internazionale a contatto con le massime personalità politiche. E’ un lavoro intenso, che comporta uno stress mentale elevato; qualcuno lo ha paragonato a quello dei controllori di volo”. Ecco l’identikit che traccia: “e’ un laureato universitario, un comunicativo, ma anche un po’ un attore il quale, se il delegato fa una battuta, deve renderne il senso e se invece si arrabbia deve arrabbiarsi a sua volta. Conosce le lingue, ne parla almeno due e ne capisce perlomeno tre; ha un’ottima cultura. Legge i giornali, si aggiorna. Conosce le problematiche internazionali ma anche i nomi dei finalisti dell’America’s Cup, perché può capitare che un delegato faccia una battuta sportiva e lui deve essere in grado di trasporla. Ha una lingua ed una identità comune con il delegato. Non è un esperto in ogni campo, naturalmente. Si informa sempre al computer circa l’ordine del giorno della riunione che dovrà seguire e si aggiorna sui termini, fosse anche un incontro sulla malattia della patata. Non è un traduttore, perché non ha il tempo di riflettere e di ponderare con calma su quale termine utilizzare; fornisce il servizio in tempo reale, svolge un lavoro di acrobazia senza rete. Infine, non è un robot”.
Come detto in apertura, al termine del Master i partecipanti i quali avranno superato un test accederanno alla carriera di interprete attraverso il Programma Inserimento Giovani. “Di norma, invece, si diventa interpreti vincendo il concorso riservato ai laureati. Il vantaggio del programma Inserimento Giovani, che peraltro vale fino al quarantacinquesimo anno di età, è che ci si può presentare al test con la comprensione di due e non tre lingue straniere”. Non sono tutte rose e fiori, ovviamente. “Ci sono colleghi che ad un certo punto non ne possono più dei continui spostamenti”, sottolinea Padovan Dubini. “Altri patiscono il fatto che l’interprete non lasci traccia, non lavora mai per iscritto. Tra le mani, di creativo, non resta nulla”
Alla presentazione del Master non poteva mancare il professor Giovan Battista De Cesare, Preside della facoltà di Lingue e Letterature Straniere. “Fino a questo momento lo sbocco dei laureati in Lingue era l’insegnamento. Si stanno creando adesso altre opportunità, tra le quali questa della quale si discute oggi. Trattasi di un Master postlauream al quale si accede per selezione. Si ipotizza che saranno ogni anno una ventina i laureati ammessi; avranno il privilegio di elevate probabilità d’impiego in un’attività professionale di prestigio. La più antica facoltà d’interpretariato è quella di Trieste; negli anni si è aggiunta Forlì, sede distaccata di Bologna. Rilasciano titoli per interpreti e traduttori; i laureati, a quanto so, si collocano tutti abbastanza rapidamente sul mercato. La Padovan mi diceva che i laureati di Forlì in gran parte sono assunti dalla Regione. Noi per il Master pensiamo di partire con un paio di lingue più diffuse – per esempio due tra Inglese, Francese e Spagnolo – ed un paio più rare. La Padovan mi diceva anche che al di sotto di Roma non ci sono iscritti all’albo degli Interpreti. Il Master supplisce a questa carenza”. La copertura economica è in gran parte assicurata attraverso fondi comunitari; i partecipanti pagheranno una tassa da definire. “Con il Master- ha concluso Rossi- l’Orientale scioglie la promessa che aveva fatto dieci anni fa, quando si parlò di un Diploma Triennale di Interpretazione che poi non è decollato, per vari motivi”.
Fabrizio Geremicca
Come detto in apertura, al termine del Master i partecipanti i quali avranno superato un test accederanno alla carriera di interprete attraverso il Programma Inserimento Giovani. “Di norma, invece, si diventa interpreti vincendo il concorso riservato ai laureati. Il vantaggio del programma Inserimento Giovani, che peraltro vale fino al quarantacinquesimo anno di età, è che ci si può presentare al test con la comprensione di due e non tre lingue straniere”. Non sono tutte rose e fiori, ovviamente. “Ci sono colleghi che ad un certo punto non ne possono più dei continui spostamenti”, sottolinea Padovan Dubini. “Altri patiscono il fatto che l’interprete non lasci traccia, non lavora mai per iscritto. Tra le mani, di creativo, non resta nulla”
Alla presentazione del Master non poteva mancare il professor Giovan Battista De Cesare, Preside della facoltà di Lingue e Letterature Straniere. “Fino a questo momento lo sbocco dei laureati in Lingue era l’insegnamento. Si stanno creando adesso altre opportunità, tra le quali questa della quale si discute oggi. Trattasi di un Master postlauream al quale si accede per selezione. Si ipotizza che saranno ogni anno una ventina i laureati ammessi; avranno il privilegio di elevate probabilità d’impiego in un’attività professionale di prestigio. La più antica facoltà d’interpretariato è quella di Trieste; negli anni si è aggiunta Forlì, sede distaccata di Bologna. Rilasciano titoli per interpreti e traduttori; i laureati, a quanto so, si collocano tutti abbastanza rapidamente sul mercato. La Padovan mi diceva che i laureati di Forlì in gran parte sono assunti dalla Regione. Noi per il Master pensiamo di partire con un paio di lingue più diffuse – per esempio due tra Inglese, Francese e Spagnolo – ed un paio più rare. La Padovan mi diceva anche che al di sotto di Roma non ci sono iscritti all’albo degli Interpreti. Il Master supplisce a questa carenza”. La copertura economica è in gran parte assicurata attraverso fondi comunitari; i partecipanti pagheranno una tassa da definire. “Con il Master- ha concluso Rossi- l’Orientale scioglie la promessa che aveva fatto dieci anni fa, quando si parlò di un Diploma Triennale di Interpretazione che poi non è decollato, per vari motivi”.
Fabrizio Geremicca