Temono “un futuro nero”

Un brusio di sottofondo. Le voci degli studenti risuonano nei corridoi. Sta per cominciare la prima assemblea contro il decreto Gelmini della Facoltà di Scienze della Formazione. E’ mercoledì 12 novembre. Gli studenti sono accorsi in massa, preoccupati del loro futuro, ansiosi di far valere le proprie ragioni, di chiedere spiegazioni. Ma se la protesta può essere condivisa, quanti sono disposti a partecipare attivamente? “E’ quello che cercheremo di capire oggi – spiega Letizia del gruppo Studenti NON Indifferenti-. Per la prima volta, il 7 novembre, abbiamo partecipato alla manifestazione contro la legge 133. Forse non eravamo moltissimi, ma abbiamo rappresentato degnamente la Facoltà e le idee in cui crediamo fortemente”. Molti chiedono chiarimenti, la maggior parte è scarsamente informata e fino a quel momento indifferente di fronte a tematiche che, invece, possono cambiare il futuro lavorativo. “Se siamo qui – spiega Valentino, estensore di un documento che spiega con dovizia i motivi della protesta – è perché i nostri Corsi di Laurea saranno quelli più penalizzati in futuro. Non possiamo rimanere indifferenti ai tagli al settore dell’educazione. Rappresentiamo tutte le maestre e gli educatori che per motivi di lavoro non hanno potuto prendere parte all’assemblea, sono qui con noi contro i 150.000 licenziamenti previsti. Oggi redigeremo un documento che in seguito dovrà essere approvato dall’assemblea, solo così possiamo capire se siamo coesi o meno”. L’atmosfera si riscalda, alcuni studenti chiedono il blocco della didattica, altri, insieme ai rappresentanti del Movimento studentesco campano, invitano gli studenti a partecipare alla manifestazione che si terrà a Roma il venerdì successivo. “La nostra non è una protesta contro la riforma – spiega Paolo, rappresentante degli studenti in Senato Accademico – ma contro i tagli in essa previsti. Fino ad ora non siamo intervenuti perché aspettavamo che gli scenari fossero più chiari, una volta però che sono stati lesi i diritti che assicurano il nostro futuro lavorativo siamo scesi in campo. La nostra non è una lotta fine a se stessa, siamo pronti a redigere una controproposta che, consegnata al Preside, sottoporremo all’attenzione delle persone competenti”. Gli studenti di Scienze dell’educazione e di Formazione primaria si dichiarano studiosi di didattica e pedagogia e non economisti o giocolieri della finanza e respingono la riforma in toto. “Il termine riforma – spiega Luca – è forzato e strumentale, in quanto si tratta semplicemente di tagli. Il sistema formativo che emerge dalla legge evidenzia la volontà di far pagare ai bambini e ai ragazzi i costi della crisi economica. Inoltre si configura un tipo di scuola classista dove i figli delle famiglie proletarie dovranno accontentarsi di un’istruzione semplificata, utile al mercato del lavoro”.  Si riducono le ore di permanenza degli educatori nelle scuole, proprio quando bullismo e marginalità assumono i contorni di un’emergenza sociale. “Per noi studenti – sottolinea Valentino – nell’ambito del settore dell’educazione questa riforma significa un futuro nero, fatto di miseria e disoccupazione”. Un applauso scoppia nell’aula. Valentino ha sintetizzato perfettamente la paura che accomuna tutti: lo spettro della disoccupazione e delle zero aspettative future. Due signore sulla quarantina prendono la parola. “Siamo qui per laurearci e per poter finalmente insegnare. Con la chiusura delle Sicsi chi garantisce il nostro futuro? Se non ci saranno più concorsi, i nostri figli saranno penalizzati in quanto si ritroveranno di fronte persone incompetenti e maestri anziani che non vorranno lasciare più il posto di lavoro”. 
Il prof. Alfredo Carannante, docente a contratto, spiega, attraverso degli schemi, come i tagli si ripercuoteranno sulla ricerca. “Abbiamo i migliori ricercatori d’Europa, le menti più brillanti dopo la Germania. Ma i fondi non ci sono e per ricerche svolte siamo al 5° posto nella media europea. La fuga dei cervelli, di cui si sente tanto parlare, subirà un’accelerata pazzesca e molti ricercatori saranno costretti a recarsi all’estero. Menti nate in Italia porteranno benefici e prestigio in altri Paesi perché il nostro non è in grado di assicurare lo sviluppo di progetti; così si arresta la crescita economico-sociale”. Un rappresentante della Facoltà di Lettere prende la parola. “Noi studenti di Lettere abbiamo già redatto un documento in cui si deduce la nostra voglia di andare avanti. Anche se in ritardo, ci siamo uniti agli altri Atenei campani per partecipare alle manifestazioni che si terranno nelle prossime settimane. Vogliamo creare un movimento corposo? Vogliamo far diventare questa una giornata storica per il Suor Orsola? Non studenti passivi che studiano una realtà che rischia di non esserci più, ma ragazzi indipendenti ed autonomi che si battono per veder realizzati i propri diritti”. Un applauso e un fronte unico. Gli studenti si coalizzano per respingere in toto la riforma. “Siamo qui – conclude Letizia – insieme a professori e dottorandi perché la nostra posizione è ormai chiara. Anche se siamo partiti con ritardo, chiediamo il ritiro della legge. Per questo scenderemo in campo e saremo lì quando sarà il momento di batterci per il nostro futuro. L’educazione, il settore primario della nostra società, non deve morire e per questo noi non possiamo starcene a guardare. E’ tempo di mettersi in discussione”.   
Susy Lubrano
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