Tra scienze e cultura, ad Agraria si parla di caffè

Studiare se è preferibile berlo tutto d’un fiato o sorseggiarlo in piccole dosi per avvertire meglio l’aroma è scienza. Darsi appuntamento davanti a una tazzina è cultura. Discutere di materie prime digerite da animali esotici è scienza. Tracciare una geografia che da Abissinia e Yemen porta in Sudamerica e in Europa e una storia che da secoli lontani arriva fino a oggi è cultura. Al centro di tutto la bevanda più amata dai napoletani, il caffè, diventata protagonista del convegno “Il caffè tra Scienza e cultura”, firmato Federico II, Dipartimento di Agraria e Kimbo. “Il titolo del convegno evoca la prospettiva che il Dipartimento persegue, cercando l’incontro tra aspetti scientifici e cultura”, ha rimarcato in apertura il Prorettore della Federico II Arturo De Vivo. Un Dipartimento che si pone, secondo il Direttore Matteo Lorito, “come il luogo ideale nel quale affrontare questo discorso, perché il caffè, prima di essere una bevanda, è una pianta”. Un luogo che è radicato a Napoli: “difficile non rendersi conto dell’importanza culturale che ha il caffè in questa città”. Ad ascoltare i relatori nella Sala Cinese un centinaio di persone, tra studenti e docenti. A tutti loro si è rivolta la dott.ssa Maria Cristina Tricarico, responsabile qualità di Kimbo, “una realtà industriale campana, italiana e internazionale”. Un’azienda che sta cercando di promuovere la formazione, “affinché chi si occupa della trasformazione del caffè nella ristorazione sappia farlo rispettando la tradizione”. In ottica formazione e ricerca, nella sede universitaria di Portici l’azienda ha investito circa un milione di euro per la realizzazione del CoffeeLab, il laboratorio incentrato sullo studio di tutti i processi relativi alla produzione del caffè, dalla pianta al bancone del bar, come ha spiegato il prof. Fabrizio Sarghini, responsabile del laboratorio. “Il caffè è un farmaco da banco e come tale va assunto con consapevolezza”. Chi meglio di un docente del Dipartimento di Farmacia poteva parlare in questi termini del caffè? Storia e miti della bevanda sono stati raccontati dal prof Alberto Ritieni, docente di Chimica degli alimenti. Tante le opinioni infondate smontate nel corso della sua relazione. Ne apprezzeranno una in particolare gli amanti della forma fisica: “il caffè di per sé non fa ingrassare. Anzi, quattro o cinque al giorno elevano del 10% il metabolismo”. Parentesi sull’aroma del caffè per il professore di Genetica agraria Luigi Frusciante, che ne ha analizzato i segreti presenti nei geni. Su preparazione e modalità di consumo, invece, si è soffermato il professore di Scienze e tecnologie alimentari (e violinista che si è esibito a fine convegno) Raffaele Sacchi. Di fronte a una tazzina da 25 ml meglio buttare tutto giù d’un fiato o sorseggiare dieci ml per volta? I bevitori accaniti prendano nota: “bevendolo d’un fiato abbiamo un rilascio d’aroma più basso rispetto a quello derivante da due sorsi e mezzo”. Dal mondo veterinario, con argomenti decisamente meno appetitosi, è intervenuto il prof. Alessandro Fioretti, docente di Malattie infettive degli animali domestici, che ha presentato i caffè preziosi dal mondo animale. Un esempio? Il Kopi luwak, “un caffè ottenuto da un animale, lo zibetto delle palme, che consuma, ed espelle con le feci, le bacche dalle quali deriva il caffè”. Stesso iter per il Black Ivory Coffee, prodotto dagli elefanti, “servono 33 kg di bacche per ottenerne un chilo nelle feci”. In Sudamerica, invece, per un caffè del genere ci si affida agli “sforzi” di un volatile, la Penelope obscura. Chiusura affidata ad Antonio Corbo, giornalista de “La Repubblica”: “è bello vedere l’Università e un’azienda privata muoversi come rette parallele per una ricerca migliore e corretta. Occorrerebbe comunicare il più possibile che accanto a Kimbo c’è Agraria della Federico II”.
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