“La cultura pop sudcoreana sta avendo un ascendente sempre più forte sui ragazzi italiani”, afferma il prof. Andrea De Benedittis
Il coreano è trendy. Lo testimoniano la diffusione del suo insegnamento nelle Università italiane, il successo di serie tv – chi non ha visto o sentito parlare dei giochi mortali di Squid Game? – gruppi musicali come i Bts, che stanno dominando le classifiche. Senza dimenticare la neonata star del panorama calcistico partenopeo: Kim Min-Jae. Per capirne di più, della lingua e della cultura della Corea del Sud, non ci si potrebbe rivolgere che a L’Orientale, Ateneo che ha trovato il suo posto nel mondo proprio a partire dall’apertura all’Est del globo. Il prof. Andrea De Benedittis, accademico che ha studiato a Seul, poi in Cina, già docente a Cà Foscari, Roma, ora associato di Lingua coreana a Palazzo Corigliano e, tra l’altro, legato al giocatore asiatico degli azzurri da un simpatico aneddoto, racconta ad Ateneapoli le principali caratteristiche dell’idioma, la sua storia e chi sono i sudcoreani. “La cultura pop sudcoreano sta avendo un ascendente sempre più forte sui ragazzi italiani – racconta De Benedittis – tutto ciò si traduce anche in un numero elevato di iscrizioni all’Università per studiare la lingua”.
Estetica e pragmatismo
Tra gli innumerevoli fattori, pare abbia un certo peso il fatto che i sudcoreani sono molto bravi a curare l’estetica dei prodotti, quali che siano: “Anche a parità di contenuti, riescono sempre a rendere più attrattivo ciò che fanno. In questo penso abbiano mutuato qualcosa dai giapponesi. Musei, Università, packaging, siti internet, coreografie di ballo. Lì è tutto incredibilmente ben organizzato e curato, a prescindere dal settore. Non solo, riescono ad arrivare anche prima degli altri per esempio nella tecnologia. Penso ai semiconduttori, ai droni, che dovrebbero sostituire il traffico aereo”. Grande peso all’estetica, capacità tecnologica e, soprattutto, pragmatismo. Se l’italiano “è molto più romantico, anche nella scelta dell’Università, il sudcoreano bada al sodo, decidendo in base a cosa è più utile e fa guadagnare soldi”.
Quanto alla lingua, il coreano è parlato da 50 milioni di persone nel Sud, circa 25 milioni al Nord e da quasi 8 milioni disseminati tra Cina, Giappone e Stati Uniti – i coreani della diaspora: “Secondo sempre meno studiosi, apparterrebbe alle cosiddette lingue arcaiche, le ultime ricerche sembrerebbero negare questa paternità. Ad ogni modo il coreano è imparentato al giapponese dal punto di vista sintattico e grammaticale, al mongolo, ad alcuni dialetti della Manciuriae, venendo verso l’Europa, addirittura al turco, per le armonie vocaliche ad esempio”. In molti si saranno posti una domanda a proposito di questa lingua: c’è qualche differenza tra il coreano del Nord e quello del Sud? A quanto pare sì: “sono vagamente diverse, in particolare dal punto di vista lessicale, ma i rispettivi abitanti si capiscono senza alcun problema. Il Sud, nel tempo, ha introiettato molti lemmi dell’inglese americano, non a caso i due Paesi sono partner. Al contrario, il Nord è sempre stato molto refrattario, anche se ha subito l’influenza del cinese e del russo”.
Traduttore per Kim, il calciatore idolo dei tifosi
De Benedittis rivela anche una delle domande più frequenti degli studenti a lezione. Cioè, se sussista una certa continuità tra cinese e coreano: “Innanzitutto il cinese appartiene alle lingue sinotibetane. Dunque grammatica, sintassi e pronuncia risultano differenti in toto. A livello lessicale, tuttavia, ci sono molti richiami. Addirittura fino a qualche decennio fa i coreani scrivevano in caratteri cinesi”. Piccolo paradosso a tal proposito: “gli studenti cinesi sono molto avvantaggiati nello studio del coreano. Ma fanno grande difficoltà nella pronuncia, peggio degli italiani”. Tra somiglianze, influenze e differenze ne viene fuori una lingua che viaggia veloce sulla narrativa e “molto sofisticata in ambito poetico. Il coreano ha delle sfumature semantiche veramente uniche per esprimere colori, sensazioni, sentimenti. Sono letteralmente intraducibili. Tant’è vero che gli stessi coreani, scherzando, dicono che non riceveranno mai un Nobel per questo motivo. Giusto per fare un esempio: in italiano abbiamo un solo aggettivo per descrivere la piccantezza del cibo. In coreano ce ne sono decine”.
Dulcis in fundo, De Benedittis chiude con l’aneddoto riguardante Kim Min-Jae. In piena estate, mentre la squadra era in ritiro a Castel di Sangro, la chiamata per fare da interprete all’atleta in sede di presentazione ai giornalisti: “Quando sono stato contattato dalla società ero a pranzo con i miei familiari, tutti tifosissimi. Sono stati loro a costringermi ad accettare, ero l’unico ad essere indeciso, dato che sì, parlo il coreano, ma non sono un interprete. Alla fine devo dire che è stata una bellissima esperienza”. E, volente o nolente, i video della conferenza hanno girato all’impazzata in Corea del Sud, regalando una popolarità inaspettata al docente.
Claudio Tranchino