Dovesse riscrivere oggi il suo libro, aggiungerebbe un altro capitolo. Quello sul genocidio. Così Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi, durante la presentazione al Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo de L’Orientale del report di marzo ‘Anatomia di un genocidio’ sulla situazione dei diritti umani a Gaza e di ‘J’accuse. Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’apartheid in Palestina e la guerra’. “Giuristi militanti”, lei e l’altro ospite, Luigi Daniele, docente alla Nottingham Law School, che hanno incontrato un’accoglienza calorosa da parte di un pubblico assai numeroso, sia docenti che studenti: tutti esauriti i posti a sedere nella Sala Conferenze – molti si sono dovuti accontentare di stare in piedi – e circa 70 le persone che hanno seguito l’evento su Zoom.
La presenza di Albanese è stata fortemente voluta dalle docenti organizzatrici Daniela Pioppi e Sara Borrillo – pure moderatrici. Quest’ultima, in apertura, oltre a chiarire che l’evento si inserisce in una cornice di manifestazioni di Ateneo più ampia chiamata ‘Focus Palestina’, ha spiegato i motivi alla base dell’invito: per contrastare la “narrazione mainstream che mistifica i fatti e i contenuti della guerra in atto”. E ha aggiunto: “in punta di diritto”.
Che non è un orpello, ma uno strumento che traccia un perimento che va rispettato, quel diritto che “può sanare i conflitti, ma che è sempre stato tradito in Palestina” ha detto chiaro e tondo Albanese. Che nel suo ormai famoso ultimo rapporto affronta il tema decisivo del genocidio, e non a caso a febbraio il Ministro degli Esteri e il Ministro dell’Interno israeliano hanno dichiarato che le Nazioni Unite avrebbero dovuto prendere pubblicamente le distanze dalle “dichiarazioni antisemite” di Albanese e addirittura rimuoverla immediatamente dall’incarico che ricopre.
Attraverso il rigoroso riferimento alla giurisprudenza internazionale, al lavoro sul campo, secondo la relatrice, dei cinque atti specifici “commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale”, che determinano un genocidio secondo la Convenzione internazionale del 1948, Israele avrebbe dato seguito a tre di questi. Ovvero: “uccidere membri del gruppo, causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo e infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per portare alla sua distruzione fisica totale o parziale”. “Il trauma collettivo che i palestinesi stanno vivendo diventerà un’eredità per le generazioni a venire”, ha detto Albanese.
E i dati lasciano ben poco all’immaginazione: secondo il rapporto, sono ben oltre 30 mila i palestinesi uccisi, dei quali più di 13 mila minori. Circa 71 mila feriti, molti dei quali con mutilazioni e il 70% delle aree residenziali andato distrutto. Della popolazione rimasta in vita l’80% è stata sfollata con la forza. Tutto questo per dire che “il colonialismo d’insediamento è di per sé genocida, ed è iniziato ben prima del 7 ottobre scorso. Il genocidio di Israele sui palestinesi di Gaza è una fase di escalation di un processo di cancellazione coloniale di lunga data”, ha affermato la relatrice, che ha fatto riferimento anche alla legge marziale cui sono sottoposti i palestinesi da decenni.
Prima delle domande finali – che sono state molte – è intervenuto anche Daniele, con parole e toni durissimi, accompagnati spesso da immagini, esempi di propaganda dei giornali nostrani, nonché dati agghiaccianti sul numero di vittime, tra le altre, di personalità del mondo accademico: “tra ottobre e gennaio sono stati uccisi circa 80 accademici e scienziati palestinesi”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n.09 – 2024 – Pagina 7