La pace: potrebbe concretizzarsi “solo con il ritiro delle truppe russe dai territori occupati”

Conflitto russo–ucraino: l’intervento dello storico Andrea Graziosi

Il 24 febbraio scorso sono iniziate le ostilità tra Russia e Ucraina. Da allora, un profluvio di bombe e missili, migliaia di sfollati e morti; tutto intorno, le due propagande martellanti. Ad un angolo del ring gli oppressi, che rivendicano la propria autonomia, legittimata da un sistema democratico che aspira all’entrata nell’Unione Europea; dall’altro gli aggressori, mossi dall’aspirazione a reintegrare nel proprio territorio alcune regioni come Donbass e Crimea – perché russofone – e a limitare l’allargamento della Nato. E, come un giudice posticcio a decidere la contesa tra due bambini per la maglia di un calciatore famoso, i media si affrettano a spingere sull’acceleratore del dualismo, spesso senza tentare la strada dell’analisi storica di una guerra cominciata ben prima della data ufficiale. Ci ha provato invece il prof. Andrea Graziosi, docente di Storia contemporanea alla Federico II, ospite lo scorso 16 maggio dell’Università Suor Orsola Benincasa, nella Biblioteca Pagliara, dove assieme alla prof.ssa Elisabetta Morlino, a capo della cattedra di Diritto amministrativo presso l’Ateneo di Corso Vittorio Emanuele, lo storico ha messo sul piatto il tema del momento andando a ritroso: “Russia e Ucraina dopo il 1991: storia di una divergenza”. L’incontro, promosso dal Dipartimento di Scienze giuridiche, ha accolto un pubblico di studenti provenienti dai più disparati Corsi di Studio, a dimostrazione di quanto il conflitto pesi nelle menti di ognuno e stia “cambiando le coordinate dell’Europa”, ha detto Morlino in apertura, che poi ha lasciato la parola al Rettore per i saluti istituzionali. L’Università ha tante missioni: quella di essere riserva di competenze per il Governo e la cittadinanza è tra queste. In tal senso, Graziosi è la via migliore per comprendere ciò che sta accadendo”, ha affermato il prof. Lucio d’Alessandro. Un’ora e mezza di confronto che ha toccato tantissimi nervi scoperti: dalle rispettive ideologie andate formandosi dopo la caduta del Muro di Berlino, alla questione linguistica, così come alla possibilità della pace e a quello che lo scontro sta facendo emergere. Ma non ci sono grossi dubbi, la guerra in corso è cominciata nel 2014e sta mettendo in evidenza due Paesi molto diversi tra loro, esordisce lo storico, che ha subito aggiunto di non volersi “sottrarre ad esprimere le proprie opinioni. La prima è che non esistono, per me, categorie collettive. Sono le classi dirigenti ad avere le responsabilità”. Come un faro di notte, lo scontro sta spargendo luce attorno ad alcuni fatti che sembrano incontrovertibili: L’Unione Europea ha nuovi confini. Dopo la Brexit e la rottura con la Turchia, ora si aggiunge anche quella con la Russia. In secondo luogo, è forte la distanza anche tra il Vecchio Continente e gli USA. Chiarito il contesto geopolitico di riferimento, le conseguenze a medio e lungo termine, Graziosi è entrato nel merito delle divergenze tra i due contendenti, partendo da ciò che sta avvenendo sul campo di battaglia: “Kiev e Kharkiv sono praticamente libere. Prima o poi l’Ucraina, che ha già vinto qualcosa, entrerà nell’UE ridisegnandone nuovamente i confini. Di contro, la Russia sta perdendo. Voleva limitare la Nato e ora si ritrova a dover fronteggiare la volontà di Svezia e Finlandia di farne parte”. Quanto alla narrazione comune, che vorrebbe leggere nello scontro tra i due attori la contrapposizione di due nazionalismi, lo storico non ci sta, bandendo questa facile ricetta. Non si tratta di nazionalismi classici, hanno caratteristiche diverse. La Russia costruisce il proprio discorso a partire dalla vittoria della Seconda guerra mondiale e sull’idea di un Occidente corrotto che ha fatto il suo tempo. La Russia si reputa quasi un continente, piuttosto che una nazione. All’opposto l’Ucraina impernia la propria ideologia post-sovietica sullo spirito revanscista contro chi li ha affamati e la ritiene un serbatoio di sotto-russi. Se proprio si volesse declinare il concetto di nazionalismo ucraino, lo si dovrebbe fare a partire dall’unità civica che si riscontra nel Paese. La domanda vera è se sia possibile costruire un’ideologia a partire dalla sconfitta”. Quello della lingua, inoltre, sarebbe un falso problema: tanti ucraini sono russofoni, il 50% dei soldati parla russo, e tuttavia “si tratta di un idioma veicolare che serve per fare carriera, come accade oggi a noi europei con l’inglese. Non per questo viene meno la nostra identità nazionale”. Sulle possibilità di una pace, il docente è lapidario: “Si concretizzerebbe solo con il ritiro delle truppe russe dai territori occupati”.La lunga panoramica di Graziosi si è poi conclusa con le risposte alle domande da parte degli studenti, alcune delle quali molto articolate. Diversi i quesiti a proposito del ruolo dell’Europa tanto nell’evolversi del conflitto quanto del suo futuro. Il docente ha risposto: “abbiamo dimostrato di avere una struttura economica e legale fortissima durante il Covid, tuttavia se questa non dà luogo ad una struttura pure politica non può reggere all’infinito. Mancano una lingua definitiva, un’opinione pubblica, una classe dirigente e un discorso legittimante. Io queste quattro cose non le vedo”.

Claudio Tranchino

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